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"Siamo come Malta ed Estonia", di Giovanni Stringa

Perché la Gran Bretagna si porta a casa nove A di rating (AAA da Standard & Poor’s, AAA da Moody’s e AAA da Fitch), mentre l’Italia riesce a malapena a incassarne tre (A da Standard & Poor’s, A2 da Moody’s e A+ da Fitch)? Perché queste sei A di differenza, quando il Regno Unito dovrebbe chiudere il 2011 con un disavanzo che vale, in percentuale, più del doppio di quello italiano (8,8% contro 3,7%)? E quando l’economia italiana, nel secondo trimestre dell’anno, è cresciuta più di quella britannica (+0,8% contro +0,6%)?

32 mila miliardi

Delle motivazioni per la bocciatura del debito pubblico italiano a lungo termine, è stato ampiamente scritto. Ma quali sono le considerazioni che hanno portato alla promozione inglese? Prendiamo Standard & Poor’s, quartier generale europeo a Londra, nel distretto finanziario di Canary Wharf, poco lontano dal cuore economico (la City) e politico (Westminster) della Gran Bretagna. S&P’s — si legge sul sito — «è nota come una società indipendente che assegna rating (valutazioni, ndr) sul credito» e sotto la sua lente ci sono 32 mila miliardi di debito. Lo scorso tre ottobre ha confermato il suo trenta e lode al debito pubblico britannico (AAA e outlook stabile, meglio non si può), nonostante il boom del deficit, per «un’economia in salute, aperta e diversificata — ha scritto S&P’s — sostenuta da un sistema politico e da una struttura di misure macroeconomiche ben consolidati». «Un’economia — insomma — che può rispondere velocemente alle sfide». Nel dettaglio, gli analisti di S&P’s hanno lodato — per esempio — le strategie dell’esecutivo di Sua Maestà per ridurre il deficit, a cui si aggiunge «un grande e liquido mercato per i titoli di Stato». Poi ci sono — spulciando tra i dati — il debito, in salita ma più basso del nostro, o la crescita del Pil, che sta accelerando mentre noi rallentiamo. E alla fine, tra economia, politica e cascata di A, Londra paga sul suo debito un tasso d’interesse più basso di oltre tre punti percentuali rispetto a Roma.

I confronti

Sono invece sullo stesso livello — rating identico — l’Italia e la Spagna? No, Madrid ci batte su tutti e tre i fronti, conquistando, nelle diverse sfumature, la doppia A tanto di S&P’s quanto di Moody’s e Fitch. Allora forse il pareggio è con il Belgio, altro Stato dell’Eurozona con un debito non da poco? No, anche Bruxelles ci surclassa sei (A) a tre. Per arrivare a un Paese dell’Eurozona che abbia le stesse nostre pagelle bisogna scendere sotto la vicina Slovenia (anche qui è un sei a tre), la Slovacchia e l’Estonia (che ci battono per S&P’s e Moody’s, mentre per Fitch è pareggio). Ricordandoci — per esempio — che il Paese baltico ha un debito che vale solo il 6,7% del Pil (il nostro è quasi diciotto volte tanto). E poi, finalmente, si arriva all’Italia, a pari merito perfetto (stessi voti da tutti e tre i «maestri») con Malta.

Con La Valletta, Roma spartisce la dodicesima e la tredicesima posizione su un totale di 17. In una classe, quella dell’Eurozona, in cui svettano la tripla-tripla A (AAA, AAA e AAA) di Austria, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo. I quali, dopo il declassamento estivo degli Stati Uniti da parte di Standard & Poor’s, battono anche Washington.

Ansia da rating

Che cosa succederà adesso? Difficile dirlo, visto che l’ultimo maxi declassamento di Moody’s ha «portato fortuna» tanto a Piazza Affari (la risposta sono state tre sedute frizzanti) quanto al debito (gli spread sui Bund tedeschi si sono assottigliati). Il motivo? Forse il mercato aveva già scontato la bocciatura, forse l’«ansia da rating» — tra gli investitori — non è più quella di una volta, o forse gli errori del passato delle agenzie fanno sperare, anche questa volta, in nuovi errori. E, magari, veloci revisioni al rialzo. Allora, per esempio su Lehman Brothers, alcuni voti si erano rivelati decisamente troppo generosi. Oggi potrebbe essere il contrario? L’ultima parola spetta al mercato: per ora, purtroppo, la risposta degli investitori sembra essere un chiaro no (basta vedere l’impennata dei tassi sui Btp decennali nell’ultimo anno). Le scintillanti parole della pagella britannica, insomma, sono ancora lontane.

Il Corriere della Sera 08.10.11