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""Non consegnerò l'Expo alla mafia” Pisapia cambia le regole degli appalti", di Alberto Gaino

Il primo appalto di Expo 2015, 90 milioni di euro per la pulizia dei terreni, è stato vinto con un ribasso del 47% sulla base d’asta. La cosa mi ha molto colpito: o ci si è sbagliati nella valutazione dei costi del lavoro o l’offerta vincente è stata davvero anomala. Ne ho parlato con Sala, l’ad di Expo, e abbiamo deciso di cambiare le regole dei bandi di gara». Al seminario sulle «Mafie al Nord» organizzato a Torino da Libera, Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, porta la sua preoccupazione per la penetrazione della criminalità organizzata negli appalti per le grandi opere, in cima alle quali, ora, c’è l’Expo. Per riscrivere le regole degli appalti si è affidato ad un pool di esperti. Ma ci sono anche altri piani su cui Pisapia vuole lavorare. «Stiamo approntando una task force – dice ancora che incroci tutti i dati disponibili per arrivare alle ricchezze che non hanno spiegazioni. Le ultime normative consentono ai Comuni di incassare il 100% delle multe per evasione fiscale cui si sia pervenuti sulla base delle nostre segnalazioni. Questo tipo di lavoro può essere speso anche nella lotta per scoprire i patrimoni mafiosi».

La Lombardia è la terza regione d’Italia per beni sequestrati ai mafiosi. E uno di questi – un centro sportivo milanese finito nelle mani sbagliate e poi chiuso dal prefetto – è stato incendiato ieri. «Un pessimo segnale e che sia accaduto in pieno giorno è ancora più grave» il commento del sindaco. Speculare all’infiltrazione negli appalti pubblici è quella nella politica. Su quest’ultimo versante l’analisi-denuncia di un altro primo cittadino, Marta Vincenzi, sindaco di Genova, è netta: «Fra il 2007 e il 2009, periodo di grande trasformazione dei partiti tradizionali e della nascita di nuovi, hanno fatto il loro ingresso nella politica figure di secondo piano da cui stanno emergendo soggetti che sfiorano questi mondi. Il fenomeno del voto di scambio è preoccupante e ha a che fare con quasi tutti i partiti». Per Vincenzi nemmeno il suo, il Pd, può chiamarsi fuori: «Parlo per la mia parte, non di chi non si pone la questione della legalità. Ce ne siamo accorti in ritardo, quando erano già in atto questi fenomeni, accentuati dal decadimento dell’economia e della classe dirigente». Lato positivo: «L’aver concentrato i fondi europei nel risanamento urbanistico e culturale dei nostri quartieri più degradati».

Anche Piero Fassino, sindaco di Torino, conviene: «La politica è più debole ed è più esposta a questi fenomeni, proporrò anch’io una commissione antimafia comunale. A Torino comunque, negli ultimi 20 anni, è stata affrontata una gigantesca trasformazione urbanistica a partire dai 10 milioni di metri quadri di aree industriali dismesse e l’aver gestito gli appalti nel segno della trasparenza è stato un modello positivo». Abbozza «una certa invidia» Nando Dalla Chiesa, autore di una lucida analisi del modello opposto, quello della ‘ndrangheta che nel Milanese «sa sfruttare i «coni d’ombra (anche dell’informazione)». L’economista Marco Vitale aveva scelto pure lui, poche ore prima, di parlare di «anticorpi debolissimi del mondo milanese».

Sulla «mimetizzazione» delle mafie hanno insistito in tanti – fra magistrati, operatori sociali, studiosi e volontari sul territorio nei due giorni di confronto – e in particolare il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, ha dato conto di quanto «la ‘ndrangheta sia stata più lungimirante di Cosa Nostra nel precederla di un decennio in questo processo di mimetizzazione dell’economia mafiosa e dei suoi uomini al Nord».

Va da sé che don Luigi Ciotti, nel chiudere i lavori, denunciasse «l’urgenza di alzare il livello dell’allarme sull’insediamento delle mafie nell’economia del Nord». Ma la vera novità emersa dal seminario che il presidente nazionale di Libera ha rilanciato con forza è stata «la proposta di cambiare il codice antimafia che entrerà in vigore il 13 ottobre. Misurando le parole, io dico che non c’è solo il rischio di un passo indietro nella lotta alle mafie. Il passo indietro c’è già, perché, fra le altre difficoltà che introduce, in questo codice c’è la furbizia di una prescrizione breve anche dei beni confiscati».

Anna Canepa, della Direzione nazionale antimafia, non dimentica le «nuove» misure legislative in materia di intercettazioni: «Rappresentano anche un forte depotenzionamento nella lotta alle mafie: non ci consentiranno più di chiedere al giudice intercettazioni per i reati-spia che conducono spesso alla scoperta delle associazioni mafiose».

La Stampa 09.10.11