attualità, politica italiana

"La diplomazia delle gaffe, di Filippo Ceccarelli

«NON facciamoci riconoscere» si diceva nei tempi antichi della modestia, della prudenza e del riserbo, preziosissime virtù in politica estera. Un oscuro affanno, invece, un ego smisurato e un impulso istrionico senza freni spingono da sempre il presidente Berlusconia farsi riconoscere nella cerchia dei Grandi come il più grande simpatico di tutte le epoche – con i risultati che si vedono oggi. Così, per restare agli ultimi mesi, varrà giusto la pena di ricordare che a Deauville il Cavaliere ha bloccato Obama rovesciandogli addosso i suoi impicci politici e giudiziari.

Poi a Villa Madama, avendo al fianco il premier Netanyahu, si è consentito il divertimento di reinterpretare il Parnaso di Appiani, dipinto nel 1811, all’insegna del bunga bunga: «Quello là sono io e questo rappresenta Mariano Apicella»; quindi ricevendo a Palazzo Chigi una delegazione cinese che gli aveva recato in dono un pregiatissimo vaso, il presidente italiano – ooops! – ha fatto finta di farselo cadere di mano, suscitando viva e cortese ilarità, e aggiungendo poi, quando se n’erano andati: «Mi hanno promesso che me ne porteranno un altro, spero non coni fiorellini, ma con il kamasutra» – che in realtà è tutt’altro che cinese. L’altro giorno sempre nella sede del governo Berlusconi ha ricevuto il premier macedone Gruevski e mentre aspettava, approfittando di un lieve ritardo, non si è saputo trattenere: «Si sarà fermato a mangiare una macedonia».

Ora, al netto dello spirito e della sua qualità invero da seconda media (la soglia prescelta dal Cavaliere per le sue performance), sarà pure che una battuta «pulisce il cervello», come dice lui, e che una risata può distendere il clima. Però nel caso in esame sembra che dell’attività internazionale dell’Italia non rimangano che frizzi, lazzi, scenettee barzellette. Quando non sono gaffes, figuracce, smarronate e personalissime patologie che una volta rese pubbliche creano difficoltà molto serie a tutti; e certamente contribuiscono a spiegare il tono da Cerbero della lettera della Bce,o il mancato riconoscimento di Obama al contributo italiano alla guerra di Libia, o anche l’esclusione decretata dalla cancelliera tedesca e del presidente francese e quindi non esattamente da quei «circoli anglofoni» su cui il Cavaliere andava sollevando dubbi e allusioni. Così il punto vero e anche preoccupante e perfino doloroso della faccenda è che Berlusconi è solo anche sul piano della politica estera, e per i leader occidentali che ormai decisamente lo fuggono, saltano gli incontri bilaterali, evitano foto e conferenze stampa: dal gag-man che era, è vissuto ormai come un pericolo pubblico: per sé e per loro.

Tre giorni orsono il Financial Times ha scritto che per la storia della Merkel, tirata in ballo dal presidente in una greve e malinconica conversazione con quel Tarantini di cui un anno fa, al termine di un incontro con Zapatero, il Cavaliere aveva fatto finta di storpiare il cognome, beh, insomma, si è sfiorata la crisi diplomatica con la Germania, in piena speculazione, e il governo tedesco era pronto a richiamare il suo ambasciatore per consultazioni.

Del tutto plausibile è che la Merkel si sia anche un po’ scocciata. Prima il cu-cù, e passi; poi quell’altra volta che Berlusconi la fece attendere in piedi su una scalinata mentre lui passeggiava a debita distanza con il telefonino all’orecchio, un minuto, due, davanti alle tv di tutto il mondo.

Disse poi il presidente italiano che stava cercando di convincere Erdogan. Ma si sa come vanno queste cose: basta una bugia e il suo autore diventa bugiardo per sempre, ma non quando parla al telefono con il suo ruffiano.

E non è per andare sempre a battere lì, maa parte Forza Gnocca tradotto in tutte le lingue del mondo adesso c’è pure da stare attenti a quello che può venire fuori dal processo Ruby, dato che nelle festicciole di Arcore le ragazze non si travestivano solo da monache, poliziotte, calciatrici del Milan e infermiere crocerossine. No, per il sollazzo del padrone di casa pare che si esibissero al palo della lap dance avendo sul volto le maschere dei potenti della terra, che bella idea, che bella trovata.

E anche qui: come la dovrebbe prendere Obama? Appena eletto, Berlusconi gli dice che lui è pronto a spiegargli come va il mondo, poi fa lo spiritoso sul fatto che è «abbronzato», e insiste, abbronzato lui e abbronzata la moglie, poi quando viene ricevuto le fa dei complimenti fin troppo vistosi, ma visibilmente Michelle lo tiene a distanza, anzi gli dà la mano: «Con la cautela – scrive il Daily Telegraph – di chi mette un topo morto in bocca a un coccodrillo». E ancora. Di Sarkò, rivolgendosi al presidente rumeno, fa il segno che è un po’ tocco. Con la premier finlandese ha già fatto il galletto (impareggiabile vanaglorioso, lui dice: «Le mie doti da playboy»). Con la coppia Blair si è messo la bandana. Per abbracciare Bush travolge un leggio.

Davanti alla regina Elisabetta, nel corso di un’indimenticabile foto di gruppo, si mette a chiamare «Mr Obaaaama!» e lei si secca. Gheddafi, si sa, non voleva disturbarlo durante i massacri; gli ha pure baciato la mano, passano i mesi e Berlusconi spiega che da quelle parti si fa così, è un fatto di «buona educazione».

Alla beatificazione di Papa Wojtyla, seduto fra il presidente Napolitano e il Segretario di Stato Bertone tra la prima e la seconda lettura si mette a dormire alla grande, destandosi solo quando sulla piazza si leva il giubilo, «Alleluja! Alleluja!».

Viene da chiedersi in che modo, un domani, gli storici delle relazioni internazionali tratteranno questa stagione un po’ folle, questo carosello così terribile e frivolo. I dispacci di Wikileaks raccontano che a Ben Alì Berlusconi racconta barzellette sul Papa e che mentre Israele bombarda Gaza propone di costruirvi alberghi e resort, pure annunciando di poter trovare degli investitori. A Lula in visita fa trovare dei calciatori, a Chavez passa Aida Yespica al telefonino. Con Putin va tutto benissimo, ma in pratica gli è rimasto solo lui. Ha scritto l’ambasciatore Spogli: «La voglia di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione dell’Italia in Europa ed ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio del Paese».

L’esclusione di ieri non è solo l’esito catastrofico della diplomazia del cu-cù, ma il suo più crudo rovesciamento: farsi riconoscere sì, ma solo per gli spropositi e per le magagne.

La Repubblica 11.10.11

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“Siamo sempre più isolati”, di ANDREA BONANNI

IL GOVERNO italiano dichiara di «non aver capito quale sia stato il succo dell’incontro» tra la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy. Definisce questi summit franco-tedeschi «una perdita di tempo». E chiede di non rinviare il vertice europeo in programma per il 17. L’attacco viene dalla più autorevole voce diplomatica italiana, il ministro degli Esteri Franco Frattini (certo ormai più credibile di Berlusconi nell’arengo europeo). L’Europa ci risponde a stretto giro di posta con l’ennesimo schiaffo, rinviando il vertice al 23 ottobre, come chiedevano i tedeschi. Mentre Berlino, per bocca di un portavoce, fa sapere che «Germania e Francia sono le economie nazionali più grandi dell’Eurozona. E hanno una responsabilità particolare per il futuro dell’Europa e della moneta unica». Come dire: stiamo lavorando anche per te, non disturbare. Come se non bastasse, Obama applaude agli sforzi comuni franco-tedeschi per guidare la crisi, ignorando le lamentele di Roma.

C’è una logica dietro questo ennesimo smacco italiano sulla scena europea. Il governo Berlusconi teme che, una volta deciso il rifinanziamento delle banche, e messi al sicuro gli istituti di credito francesi e tedeschi che sono i più esposti verso il debito greco, Parigi e Berlino accettino di pilotare la Grecia verso un default che appare comunque difficilmente evitabile. Ma che lascerebbe l’Italia in prima linea, esposta ai rinforzati attacchi dei mercati contro il nostro debito ipertrofico. Non a caso ieri Frattini ha insistito molto sulla necessità di garantire al più presto il via libera al secondo prestito che era stato promesso ad Atene.

La preoccupazione italiana è legittima.

Avendo ormai preso il posto che era del Portogallo e della Spagna come anello debole nella catena del debito europeo, abbiamo tutto l’interesse ad evitare un default della Grecia anche se le nostre banche ne soffrirebbero probabilmente meno di altre. Infatti è assai probabile che il prossimo Paese a finire nel mirino saremmo noi.

Quella che non è legittima, e neppure tanto avvisata, è la reazione scomposta all’intesa franco-tedesca, dove si mischiano impropriamente nuovi timori e vecchi rancori per la conventio ad excludendum di cui Berlusconi è da tempo oggetto in Europa.

Per questa esclusione, il capo del governo dovrebbe rimproverare solo e unicamente se stesso e l’immagine grottesca che ha dato di sé (e purtroppo del Paese che rappresenta) nel corso degli innumerevoli vertici europei a cui ha partecipato. Quanto all’asse francotedesco, esso esiste dal momento della nascita della Comunità europea. L’intesa tra Parigi e Berlino è l’Europa. E ne costituisce il motore irrinunciabile anche se a volte scomodo.

Perfino i britannici hanno imparato ad accettarlo. È proprio di ieri l’intervista al Financial Times in cui il premier David Cameron esorta Francia e Germania a mettere da parte le divergenze e a «tirare fuori il bazooka» per risolvere una volta per tutte la crisi europea dei debiti sovrani.

È indubbio che l’asse Merkel-Sarkozy abbia finora gestito la crisi in modo irritante. Ma per le incongruenze, le contraddizioni, l’inadeguatezza delle proposte, come fa notare Cameron. Non certo per quell’eccesso di leadership o di dirigismo che il governo italiano sembra rimproverarle riscoprendo in malafede,e con quindici anni di ritardo rispetto all’euroscetticimo berlusconiano, le virtù del metodo comunitario.

Il governo italiano farebbe meglio a preoccuparsi da un lato di aver messo il Paese al riparo dagli attacchi dei mercati grazie ad una manovra credibile (il che non è), e dall’altro che l’annunciato piano franco-tedesco sia il più efficace possibile e offra veramente quella rete di sicurezza europea che finora è mancata. Invece, ancora una volta, l’immagine che diamo è quella di essere i passeggeri incoscienti di una nave sull’orlo del naufragio, che invece di cercare un giubbotto di salvataggio se la prendono con i piloti perché non sono stati invitati sul ponte di comando. Il sospetto è che il governo non solo non abbia capito «il succo dell’incontro di ieri»; ma non abbia capito né che cosa sia l’Europa, né la gravità della situazione in cui si trova.

La Repubblica 11.10.11