attualità, politica italiana

"Se il potere esige la privacy", di Carlo Galli

La maggior parte dei goffi tentativi di rendere accettabile l’inaccettabile legge-bavaglio si fonda sull’argomento liberale della privacy, cioè della tutela della vita privata del cittadino. Ma si tratta di una mistificazione. Lo dimostra un’analisi non ideologica. Lo dimostra una valutazione non dogmatica ma storica e politica del liberalismo. È una mistificazione che nasce dall’identificazione di Berlusconi con “il cittadino”, ovvero dall’omissione, voluta e consapevole, dell’elemento del potere, dei rapporti di potere; omissione che è appunto l’essenza dell’ideologia. La privacy – insieme all’habeas corpus di cui è una conseguenza – è stata infatti progressivamente elaborata, in età moderna, per affermare l’autonomia e l’autocontrollo del cittadino, il suo dominio su se stesso, per consentirgli, insomma, di difendersi dal potere; per istituire uno spazio fortificato, e ben presidiato dalla legge, che custodisce la prima libertà moderna: la vita del singolo. Ma questa affermazione di libertà si inserisce in una lotta fra popolo e governi assoluti, e non si esaurisce in se stessa; fa parte di una più ampia rivendicazione di trasparenza e di pubblicità del potere, delle sue origini e dei suoi modi d’esercizio, che dal liberalismo storico si è diffusa fino alla contemporanea civiltà democratica, divenendo patrimonio di costumi e di costituzioni.

L’opacità difensiva che riveste la sfera privata del singolo individuo ha infatti il proprio pendant nella lotta dei cittadini contro il segreto, contro l’opacità della politica assolutistica, contro gli arcana imperii. Il liberalismo non consiste solo nel fare i propri comodi, nel vivere nascosti, come sembrano ritenere parecchi di coloro che affollano l’improvvisata platea dei liberali italiani: è anche iscrivere la vita politica di tutti nel paradigma della pubblicità. Ossia dell’opinione pubblica, e delle pubbliche istituzioni. E la pubblicità implica non solo la strenua difesa della prima e più elementare forma di trasparenza, cioè della legalità – tema liberale anch’esso, non “giacobino” né “comunista” – e l’esercizio della critica; che per avere senso deve essere informata.

Di qui il ruolo decisivo, in un contesto liberale, della libera stampa, che fornisca al pubblico le notizie sul potere, delle quali i cittadini hanno bisogno per poterlo criticare e giudicare, approvare o disapprovare. E quindi per tentare – esercizio sempre più difficile – di essere liberi. Eludere la dialettica fra il potere e i cittadini, uniformarli entrambi in uno spazio politico omogeneo e informe costituito da m o n a d i t u t t e ugualmente chiuse in se stesse, opache a ogni valutazione, non è liberalismo; è appunto una mistificazione. È infatti evidente che ciò che non fa notizia nel caso di un privato cittadino – le sue conversazioni, o il fatto che porti i calzini viola (come invece fu amabilmente fatto rilevare da una persecutoria trasmissione televisiva a proposito di un giudice sgradito al potere) – può farlo se il soggetto che agisce è uno degli uomini più importanti d’Italia, la principale carica politica del governo. Le cui azioni e frequentazioni, i cui stili di vita pubblica e privata – soprattutto quando pubblicoe privato, spassi sessuali e appalti, si intrecciano l’un l’altro inestricabilmente – , hanno rilievo pubblico perché rientrano nella sfera del potere; che in una società liberale, in una cultura politica liberale, è sempre tenuto a un tasso di virtuosità e di trasparenza superiore a quelli dei cittadini. O, se si vuole è sempre sorvegliato speciale; così che tutto ciò che lo riguarda fa notizia: la pera di Ein a u d i c o m e l e escort di Berlusconi. Se, come nel caso che il nostro Paese per l’ennesima volta si appresta ad affrontare, il potere si difende s p r o f o n d a n d o s i nell’opacità, nella riservatezza, nel bunker della privacy, benché si collochi sullo stesso piano dei cittadini fa in realtà un’operazione assolutamente contraria, nella sostanza, all’uguaglianza; fa un’operazione da ancien régime, aggiornata nella forma in omaggio ai tempi nuovi – non moderni ma postmoderni – . Infatti, l’insindacabilità della vita privata del premier implica di fatto l’insindacabilità del suo agire pubblico, che privato dello sfondo su cui si staglia resta anch’esso opaco, incomprensibile. Un premier che vuole presentarsi ai cittadini come crede meglio, mettendo in scena se stesso con tutti gli artifici e gli accorgimenti del caso, per nascondere i retroscena, non è il premier di un Paese libero, o liberale; è una nuova edizione dell’autorappresentazione barocca del potere. Incarna la vecchia pretesa al monopolio dello sguardo, dell’interpretazione, della decifrazione della politica. È un potere estraneo alla pubblicità e alle sue logiche politiche, che di volta in volta vuole lo status di ‘difeso speciale’ dalla magistratura e quello di ‘semplice cittadino’ uguale a tutti gli altri. È, in una parola, un potere arbitrario, un’autocrazia che, classicamente, esercita una vera e propria censura, ammantandosi di malintesa liberaldemocrazia garantista.

La legge-bavaglio, proprio perché è un dramma per la magistratura e per la libera stampa, colpendo la legalità e la libertà d’informazione, è quindi un dramma per l’insieme delle civili libertà, per ciò che ne resta. Un dramma che, come spesso accade, stravolge concetti, li imbastardisce, e priva i cittadini di ogni difesa – logica, intellettuale, prima che politica – davanti alle vecchie e nuove forme del sopruso. Che tale resta, anche se passa attraverso il lavacro formale della legge.

La Repubblica 11.10.11