attualità, politica italiana

"L’opposto dell’Aventino", di Stefano Menichini

Voltare le spalle, anche fisicamente, a questo governo. Lasciare Berlusconi solo, a declamare la terza edizione di un discorso programmatico che tre anni fa in apertura di legislatura suonò sorprendente e perfino promettente, e oggi suona vuoto, insultante, un’umiliazione per chi lo pronuncerà, per chi lo applaudirà senza credere a una sola parola, e per chi dovrebbe essere costretto ad ascoltarlo come fosse un serio passaggio politico in un parlamento serio. Cosa che non è.
Allora ottima scelta andarsene dall’aula di Montecitorio. Ottimo farlo tutti insieme, le opposizioni che sono già nei fatti e nella sostanza un’ampia maggioranza del paese, e che speriamo siano e si sentano già pronte a governarlo sia quanto a idee che quanto a perimetro politico.
L’Aventino? Ma di quale Aventino parlano mezze figure come questo Reguzzoni, uno che gli stessi leghisti se ne liberebbero a calci se solo fossero quegli uomini liberi che dicono?
Qui è l’esatto contrario. È l’opposto dell’Aventino del ’24.
Perché conosciamo quella storia. I deputati che seguirono Turati e gli altri nella secessione parlamentare erano destinati a ritrovarsi presto divisi, isolati, incapaci di affondare il colpo contro un regime allora in estrema difficoltà. E alla fine finirono loro per essere minoranza, oggetto estraneo in un paese che pure non era ancora fascistizzato. Oggi l’oggetto estraneo rispetto all’Italia è quel corpo di deputati nominati, rissosi, disorientati e spaventati che rimarrà ad ascoltare un capo nel quale non crede più, ma al quale deve rimanere aggrappato perché non può darsi un’alternativa, non concepibile nell’autocrazia berlusconiana.
La minoranza è la destra che rimane in aula: rappresentava una grande parte di popolo, aveva consenso e potere, la strada spianata per cambiare il paese come avesse voluto. Ha fallito, e nel modo più miserabile, per colpe sue che soverchiano assedi giudiziari, gossip intrusivi e crisi finanziarie. La maggioranza è quella che si allontana per un’ora per poi tornare e rimanere, ma comunque non saranno il Pd, Di Pietro o il Terzo polo, a girare le spalle a Berlusconi. È l’Italia che si gira e se ne va, se n’è già andata.

da Europa Quotidiano 13.10.11

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“Opposizioni unite, un segnale al Colle Opposizioni unite, un segnale al Colle”, du Rudy Francesco Calvo

Bersani, Casini e Di Pietro decidono di disertare l’Aula per protesta contro Berlusconi
Non sarà una fiducia come le altre, così come non è stato un semplice “incidente” quello di martedì a Montecitorio. Le opposizioni vogliono metterlo ben in chiaro e per questo hanno deciso di comune accordo di non partecipare stamattina alle comunicazioni di Berlusconi nell’aula della camera, né al successivo dibattito.
«Questa situazione – spiegano in un comunicato congiunto – non è più né decorosa, né tollerabile per l’Italia. La bocciatura del rendiconto dello stato configura un’inedita situazione che nella storia della repubblica si era risolta solo con le dimissioni dei presidenti del consiglio.
Di conseguenza, il voto di fiducia chiesto dal governo non risolve i problemi costituzionali aperti ed è soltanto un inutile tentativo di prorogare uno stato imbarazzante di incertezza e paralisi».
Pd, Idv e Terzo polo saranno presenti, però, domani per votare la sfiducia al governo: troppe le divisioni nella maggioranza, troppi gli svarioni già visti fra quei banchi. Non si può rischiare, quindi, di far mancare i voti che potrebbero far cadere l’esecutivo. Una tentazione che è balenata tra alcuni esponenti del Pd, ma anche tra le file dei dipietristi.
È stato soprattutto Gianfranco Fini a esercitare una moral suasion per evitare strappi più duri. Nel pomeriggio comunque tutti, dem in testa, sono stati chiari nel tirarsi fuori: non è con l’Aventino in occasione del voto che si risolve il problema.
Le opposizioni, quindi, hanno voluto dare prova di responsabilità e di assoluta compattezza, seppure al termine di una giornata di colloqui incrociati.
Nella mattinata di ieri, Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini hanno incontrato a Montecitorio Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli.
Questi ultimi, poi, hanno avuto un colloquio con Gianfranco Fini. I capigruppo delle opposizioni, inoltre, sono stati d’accordo nel chiedere al presidente della camera di riferire al capo dello stato il loro disagio di fronte al blocco dei lavori parlamentari. Fini è salito al Colle intorno alle 16, nonostante le proteste della maggioranza, che sottolineava l’irritualità dell’incontro e l’ambiguità del suo ruolo di rappresentante di tutto l’emiciclo e di leader di uno dei partiti di opposizione.
La posizione unitaria concordata da Pd, Idv e Terzo polo voleva essere d’altra parte anche un segnale chiaro nei confronti del capo dello stato. La nota diramata ieri mattina dal Quirinale è stata apprezzata.
Tra i dem, alcuni si auguravano un intervento più netto del capo dello stato nel pomeriggio, al termine dell’incontro con Fini. Il fatto che Napolitano abbia rimandato tutto alle parole di Berlusconi di oggi è stato letto però nell’assemblea del gruppo alla camera come inevitabile. Nessuno vuole tirare per la giacca Napolitano, inducendolo a esporsi più di quanto non stia già facendo.
Anche perché, se la situazione precipitasse, sarebbe sconveniente per il presidente della repubblica trovarsi pregiudizialmente contro metà del parlamento, soprattutto nel caso in cui si volesse dar vita a un governo di transizione.
Una speranza che tra le opposizioni non è tramontata. «Berlusconi si dimetta e poi Napolitano deciderà cosa fare», invocava ancora ieri in aula Franceschini. Tende però a prevalere sempre più un certo scetticismo, perfino tra chi spinge con maggiore convinzione verso questa soluzione: «Per me al 60 per cento Berlusconi incassa anche questa fiducia e si va a votare in primavera – è il borsino di un autorevole esponente di MoDem – al 30 per cento si fa un governo di transizione che ci porta fino al 2013, al 10 questo esecutivo riuscirà a completare la legislatura». E anche un deputato del Terzo polo scuote la testa: «Per me, non se ne fa niente».

Bersani, Casini e Di Pietro decidono di disertare l’Aula per protesta contro Berlusconi
Non sarà una fiducia come le altre, così come non è stato un semplice “incidente” quello di martedì a Montecitorio. Le opposizioni vogliono metterlo ben in chiaro e per questo hanno deciso di comune accordo di non partecipare stamattina alle comunicazioni di Berlusconi nell’aula della camera, né al successivo dibattito.
«Questa situazione – spiegano in un comunicato congiunto – non è più né decorosa, né tollerabile per l’Italia. La bocciatura del rendiconto dello stato configura un’inedita situazione che nella storia della repubblica si era risolta solo con le dimissioni dei presidenti del consiglio.
Di conseguenza, il voto di fiducia chiesto dal governo non risolve i problemi costituzionali aperti ed è soltanto un inutile tentativo di prorogare uno stato imbarazzante di incertezza e paralisi».
Pd, Idv e Terzo polo saranno presenti, però, domani per votare la sfiducia al governo: troppe le divisioni nella maggioranza, troppi gli svarioni già visti fra quei banchi. Non si può rischiare, quindi, di far mancare i voti che potrebbero far cadere l’esecutivo. Una tentazione che è balenata tra alcuni esponenti del Pd, ma anche tra le file dei dipietristi.
È stato soprattutto Gianfranco Fini a esercitare una moral suasion per evitare strappi più duri. Nel pomeriggio comunque tutti, dem in testa, sono stati chiari nel tirarsi fuori: non è con l’Aventino in occasione del voto che si risolve il problema.
Le opposizioni, quindi, hanno voluto dare prova di responsabilità e di assoluta compattezza, seppure al termine di una giornata di colloqui incrociati.
Nella mattinata di ieri, Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini hanno incontrato a Montecitorio Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli.
Questi ultimi, poi, hanno avuto un colloquio con Gianfranco Fini. I capigruppo delle opposizioni, inoltre, sono stati d’accordo nel chiedere al presidente della camera di riferire al capo dello stato il loro disagio di fronte al blocco dei lavori parlamentari. Fini è salito al Colle intorno alle 16, nonostante le proteste della maggioranza, che sottolineava l’irritualità dell’incontro e l’ambiguità del suo ruolo di rappresentante di tutto l’emiciclo e di leader di uno dei partiti di opposizione.
La posizione unitaria concordata da Pd, Idv e Terzo polo voleva essere d’altra parte anche un segnale chiaro nei confronti del capo dello stato. La nota diramata ieri mattina dal Quirinale è stata apprezzata.
Tra i dem, alcuni si auguravano un intervento più netto del capo dello stato nel pomeriggio, al termine dell’incontro con Fini. Il fatto che Napolitano abbia rimandato tutto alle parole di Berlusconi di oggi è stato letto però nell’assemblea del gruppo alla camera come inevitabile. Nessuno vuole tirare per la giacca Napolitano, inducendolo a esporsi più di quanto non stia già facendo.
Anche perché, se la situazione precipitasse, sarebbe sconveniente per il presidente della repubblica trovarsi pregiudizialmente contro metà del parlamento, soprattutto nel caso in cui si volesse dar vita a un governo di transizione.
Una speranza che tra le opposizioni non è tramontata. «Berlusconi si dimetta e poi Napolitano deciderà cosa fare», invocava ancora ieri in aula Franceschini. Tende però a prevalere sempre più un certo scetticismo, perfino tra chi spinge con maggiore convinzione verso questa soluzione: «Per me al 60 per cento Berlusconi incassa anche questa fiducia e si va a votare in primavera – è il borsino di un autorevole esponente di MoDem – al 30 per cento si fa un governo di transizione che ci porta fino al 2013, al 10 questo esecutivo riuscirà a completare la legislatura». E anche un deputato del Terzo polo scuote la testa: «Per me, non se ne fa niente».

da Europa Quotidiano