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"Via dall´aula quando parla il premier non saremo complici della paralisi", di Annalisa Cuzzocrea

Il compromesso raggiunto in un vertice dei capigruppo Bersani: “Quella di oggi non sarà una fiducia ordinaria, bisogna segnare uno stacco”. Scelgono il vuoto e il silenzio, le opposizioni. Per dire che questo non è un voto di fiducia qualunque, che davanti alla caduta sul rendiconto dello Stato il premier avrebbe dovuto dimettersi, Pd, Idv, Udc, Fli, Api e Libdem non saranno in aula. Stamattina alle undici Silvio Berlusconi parlerà a un emiciclo semivuoto, farà promesse e prenderà impegni davanti ai deputati della maggioranza, completamente ignorato da centrosinistra e terzo polo. Che non prenderanno parte neanche al dibattito, o alle dichiarazioni di voto. Silenzio, appunto, per dire più forte che la frattura è grave e non sanabile. «Per far salire la tensione e drammatizzare la crisi», spiega un dirigente del centrosinistra. Rientreranno solo al momento del voto di fiducia, probabilmente già domani a mezzogiorno. E voteranno il loro no quindi, «per rispetto delle istituzioni repubblicane e del Parlamento». Insomma un Aventino a metà.
La decisione è il risultato di riunioni incessanti: ieri mattina a Montecitorio si sono visti Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli. Sono andati da Fini, a manifestare tutto il loro disagio. E la riunione dei capigruppo ha deciso che quel disagio fosse il presidente della Camera a portarlo al Colle, suscitando ancora una volta le ire del centrodestra su un ruolo a loro dire partigiano del leader fli.
Poi, in aula, Casini – il più scettico sulla scelta dell´Aventino – spiega: «Con il voto di ieri è scoppiata una sorta di bomba atomica in un Paese sempre più distante dalla politica. E tutto questo perché Berlusconi non vuole lasciare la poltrona di presidente del Consiglio. Questa è la realtà, il resto sono chiacchiere». Ci sono altri incontri, i partiti si riuniscono uno a uno, a sera si vedono tutti i capigruppo di opposizione. E si trova il compromesso: non esserci ma votare. A premere per il coup de thèatre sono stati a sorpresa i popolari del Pd, la segreteria non era convinta, ma a sera la linea è decisa: «Per noi la situazione non può rimanere come è stata finora – dice il segretario Bersani – quella che Berlusconi chiederà domani non è una fiducia ordinaria, bisogna segnare uno stacco». «Fiducia farsa», la chiama il capogruppo Franceschini. Antonio Di Pietro usa la stessa immagine finita sul Financial Times il 22 settembre: Berlusconi che come Nerone suona la cetra mentre Roma brucia. «Lasciamo che se la canti e se la suoni da solo», dice il leader Idv, e affonda: «Un Parlamento nel quale un giorno si vota la sfiducia con il bilancio consuntivo e il giorno dopo si vota la fiducia, dopo che evidentemente alcuni deputati hanno incassato la seconda “rata”, non è un Parlamento democratico, ma di stile mafioso».
Altrettanto duro Nichi Vendola, che a Repubblica dice: «Quel che accade segnala quanto profonda sia la voragine che si è creata tra Berlusconi e il resto del mondo. In quella voragine, il premier sta trascinando le istituzioni e l´intera società italiana. Sullo sfondo di questa crisi drammatica si sta consumando una feroce lotta per il potere interna a tutti i partiti del centrodestra».

La Repubblica 13.10.11

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L´affondo di Bossi: “Restino fuori così abbiamo risolto il problema”, di ALBERTO D´ARGENIO e
RODOLFO SALA

A Napolitano che chiede se la maggioranza sia in grado di andare avanti, Umberto Bossi risponde: «Per adesso il governo è credibile, le leggi passano». E ancora, all´opposizione che oggi non sarà in aula per ascoltare il discorso del premier Berlusconi, il Senatùr replica con ironia: «Che non vengono nemmeno a votare, così abbiamo risolto il problema». La Lega resta aggrappata al governo. Nonostante le divisioni interne al movimento sempre più laceranti, nonostante mezzo partito e tutta la base di Berlusconi non ne voglia più sapere. E in serata il Senatùr in compagnia di Calderoli va a Palazzo Grazioli proprio dal Cavaliere.
Domani al momento di voto di fiducia la Lega sarà compatta. Lo dicono i fedelissimi di Bossi, lo dicono quelli del correntone maroniano che dal premier si sgancerebbero volentieri. Il capogruppo a Montecitorio Marco Reguzzoni – vicino a Bossi – può dire che da Berlusconi la Lega si aspetta «un discorso coraggioso, che parli dei temi che interessano davvero alla gente – ovvero il rilancio dell´economia – e che fissi date certe per le riforme costituzionali in modo che la nostra presenza al governo abbia senso». Il Senatùr, spiega chi gli ha parlato, da questo governo si attende che nel decreto sviluppo ci siano misure per aiutare le donne con figli a lavorare con contratti part time, soldi per le aziende del Nord e l´avvio della riforma tributaria. Per il dopo vuole la riforma costituzionale di Calderoli (meno parlamentari e Senato federale) e la legge elettorale. «Fino a quando crederemo di poter fare queste riforme resteremo al governo», spiegano i pretoriani di Bossi. Un termine tanto astratto che la Padania oggi titola “A casa Fini, non il governo”.
Se Bossi, assicurano i suoi, non si sta preparando ad una eventuale caduta del governo (al massimo si sente tirato dalla giacca sia da Berlusconi che da Tremonti nel loro infinito duello), nella Lega qualcuno che cerca di disegnare scenari per non farsi trovare impreparato c´è. Come Roberto Maroni. Martedì sera il ministro dell´Interno era in visita ecumenica alla sezione di Varese e al suo nuovo segretario, il contestatissimo (dalla base) Maurilio Canton. Ha messo tra parentesi le roventi polemiche che hanno accompagnato (e seguito) il tumultuoso congresso provinciale, soffermandosi invece sugli scenari che potrebbero aprirsi sul governo.
L´uomo del Viminale sembra non escludere nulla, anche se non nasconde la sua personale propensione rispetto a tre ipotesi in campo. Eccola: crisi a gennaio e voto in primavera. Le altre sembrano avere meno appeal. La prima è che tutto crolli a breve, ma non per colpa correntone parlamentare della Lega, che proprio a Maroni guarda perché ritiene sempre più difficile sostenere questo governo. Insomma, niente imboscate alla Camera, semmai il pericolo per Berlusconi si annida tra pidiellini (Pisanu, Scajola) e Responsabili. “Bobo” in ogni caso non gioirebbe, perché a quel punto – è il suo ragionamento – si aprirebbe la strada a un governo tecnico, o di transizione, o istituzionale, che anche lui vede come il fumo negli occhi. Preferirebbe un nuovo governo politico di centrodestra, ma ormai l´opzione è difficile da realizzare. Eppure Maroni e i suoi non credono neppure che si possa, o di debba, andare avanti fino alla scadenza naturale della legislatura, nel 2013. Ecco allora la prima opzione: staccare la spina a gennaio e andare a elezioni la prossima primavera. Perché tra cinque o sei mesi, è il ragionamento, le chance del governo tecnico diminuirebbero in modo consistente.
In questa chiave va letto il messaggio che Maroni ha mandato alla Lega con la sua visita alla sezione di Varese, e con i toni più che distensivi da lui usati nei confronti di Canton: La segreteria provinciale è funzionale e funzionante, io la riconosco». Insomma: per ora niente strappi, non serve forzare la mano con gli avversari interni del Cerchio Magico, anche se tramano contro di lui e il segretario lombardo Giorgetti. Poi, a gennaio, l´offensiva può partire. Nella speranza di portarsi dietro tutta le Lega.

La Repubblica 13.10.11

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“L’opposto dell’Aventino”, di Stefano Menichini

Voltare le spalle, anche fisicamente, a questo governo. Lasciare Berlusconi solo, a declamare la terza edizione di un discorso programmatico che tre anni fa in apertura di legislatura suonò sorprendente e perfino promettente, e oggi suona vuoto, insultante, un’umiliazione per chi lo pronuncerà, per chi lo applaudirà senza credere a una sola parola, e per chi dovrebbe essere costretto ad ascoltarlo come fosse un serio passaggio politico in un parlamento serio. Cosa che non è.
Allora ottima scelta andarsene dall’aula di Montecitorio. Ottimo farlo tutti insieme, le opposizioni che sono già nei fatti e nella sostanza un’ampia maggioranza del paese, e che speriamo siano e si sentano già pronte a governarlo sia quanto a idee che quanto a perimetro politico.
L’Aventino? Ma di quale Aventino parlano mezze figure come questo Reguzzoni, uno che gli stessi leghisti se ne liberebbero a calci se solo fossero quegli uomini liberi che dicono?
Qui è l’esatto contrario. È l’opposto dell’Aventino del ’24.
Perché conosciamo quella storia. I deputati che seguirono Turati e gli altri nella secessione parlamentare erano destinati a ritrovarsi presto divisi, isolati, incapaci di affondare il colpo contro un regime allora in estrema difficoltà. E alla fine finirono loro per essere minoranza, oggetto estraneo in un paese che pure non era ancora fascistizzato. Oggi l’oggetto estraneo rispetto all’Italia è quel corpo di deputati nominati, rissosi, disorientati e spaventati che rimarrà ad ascoltare un capo nel quale non crede più, ma al quale deve rimanere aggrappato perché non può darsi un’alternativa, non concepibile nell’autocrazia berlusconiana.
La minoranza è la destra che rimane in aula: rappresentava una grande parte di popolo, aveva consenso e potere, la strada spianata per cambiare il paese come avesse voluto. Ha fallito, e nel modo più miserabile, per colpe sue che soverchiano assedi giudiziari, gossip intrusivi e crisi finanziarie. La maggioranza è quella che si allontana per un’ora per poi tornare e rimanere, ma comunque non saranno il Pd, Di Pietro o il Terzo polo, a girare le spalle a Berlusconi. È l’Italia che si gira e se ne va, se n’è già andata.

da Europa Quotidiano 13.10.11