attualità, politica italiana

"La crescita delle poltrone", di Michele Brambilla

Il governo è stato di parola: appena ottenuta la fiducia alla Camera, ha varato gli annunciati provvedimenti per la crescita. Crescono infatti le poltrone del governo medesimo: ce ne sono tre nuove, due da viceministro e una da sottosegretario. Inutile aggiungere «a chi» tali poltrone siano andate: i due nuovi viceministri sono deputati che avevano appena votato la fiducia. Deputati che fino a qualche tempo fa non l’avrebbero votata; e cioè una ex finiana e un ex dipietrista. Quanto al nuovo sottosegretario, ha un passato nell’Udc. Le opposizioni gridano al mercimonio. Ma forse, più che questa distribuzione di «premi di risultato», colpisce la tempistica. Una volta ci si preoccupava non dico di salvare le apparenze, ma perlomeno di cercare di far passare tutto nel dimenticatoio. Si aspettava qualche mese, e poi si distribuivano le medaglie. Ieri invece la ricompensa è stata fulminea: voto, fiducia, Consiglio dei ministri e nuove nomine in meno di mezza giornata. Com’è possibile che Berlusconi e i suoi ministri non capiscano che una simile sollecitudine è anche una plateale ostentazione? Come non tenere conto delle reazioni che un gesto del genere provoca nella gente comune? Ma l’impressione è che della gente comune, e quindi del Paese, non ci si preoccupi più. Pensino quello che vogliono, chi se ne importa.

Anche l’esultanza da stadio dei parlamentari della maggioranza dà il senso di un distacco fra il Paese e il Palazzo. Certo il governo ha ottenuto la fiducia, è legittimato a continuare e ha tutti i motivi per esserne rinfrancato. Ma che cosa ci sia da festeggiare, non lo si capisce.

Di certo non lo capiscono gli italiani, messi a dura prova – o come minimo spaventati – da una crisi finanziaria che non ha precedenti negli ultimi cent’anni. Le Borse crollano, il nostro debito viene declassato, si parla di default: e di fronte a tutto questo la classe politica che cosa fa? In altri Paesi questa temperie ha portato maggioranza e opposizione a collaborare con lo stesso spirito con cui si collabora quando c’è una guerra o un terremoto. Qui da noi, di un fronte comune contro la crisi non è neppure il caso di parlare. Almeno fosse unito il governo. Invece abbiamo un ministro dell’Economia pubblicamente sfiduciato da metà, per non dire due terzi, del suo stesso partito; opinioni diverse su pensioni, condono, patrimoniale, tasse; malpancisti vari nel Pdl e nella Lega.

È evidente che il centrodestra ha necessità di ripensarsi. Ma chiunque al suo interno ponga la questione è scomunicato come un traditore, o un ingrato, o un ambizioso in cerca di gloria personale. Era già successo a Casini, e poi a Fini: ora succede a Formigoni, a Pisanu, a Scajola, a Maroni. E in realtà sono poi molti altri ancora i parlamentari e i ministri che in privato dicono che così non si può più andare avanti, ma che in pubblico non hanno il coraggio di riconoscere che la barca affonda.

E così si rimane aggrappati, più che alla difesa del centrodestra (non parliamo neppure del Paese) a quella del suo premier, come se una parte politica dovesse coincidere in eterno con una sola persona. Si rimane aggrappati a qualche voto in più, da ricompensare con qualche inutile poltrona. Chiusi in un bunker mentale impermeabile agli umori degli italiani, elettori di centrodestra compresi.

La Stampa 15.10.11

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Dopo il voto due viceministri e due sottosegretari
di Federica Fantozzi

Tirare a campare è un’arte. Dà frutti solo se coltivata. Berlusconi, che ne è maestro, incassa la boccata di ossigeno e guarda avanti. A Barroso, nei giorni scorsi, ha assicurato che in ogni caso il prossimo candidato premier sarà Angelino Alfano «fantastic boy». Ai peones, ha mandato un segnale preciso con il rimpastino, accolto dal gelo dentro il Pdl e dalla delusione di chi è rimasto a bocca asciutta. Di più: una vera e propria rivolta contro l’ex finiana Catia Polidori, rea di essere stata in missione (e dunque assente) al voto finito male sul Rendiconto dello Stato. «Nel giorno della fiducia – sibilano anche i più berluscones del Pdl – è davvero troppo». Pazienza. Con i suoi, rinfrancato dalla fiducia sia pure magrolina, Berlusconi ha ostentato ottimismo persino sul referendum elettorale. Di più, è andato in attacco: «Se la Consulta dà via libera, lo cavalcherò ». L’intenzione è intestarsi – con uncontorsionismo degno di Houdini – l’attuale battaglia dell’anti-politica. Cogliendo due piccioni con una fava: accontentare Scajola che gli chiede «una scossa» come nel ‘94 e neutralizzare Casini. «Così incastro Pier – va ripetendo il Cavaliere – Se si vota con questa legge Casini sarà il signore assoluto del Parlamento. E rischio che anche la Lega ci lasci». Verdini, tabelline alla mano, gli ha spiegato la differenza per lui tra Porcellum e Mattarellum, e il Cavaliere ha capito.

«NIENTE SMAGLIATURE»
Parola d’ordine, dunque, d’ora in poi niente smagliature nella maggioranza. Ecco l’ostentato feeling con Tremonti (assai meno espansivo) preso pubblicamente a braccetto. Ecco l’invito ai suoi ad essere più presenti in aula. Ecco un consiglio dei ministri se non unitario almeno rassegnato ai ridimensionamenti di budget. E la partita ancora tutta da giocare (e il Cavaliere vuole che sia a suo favore) di Bankitalia. Al riguardo, raccontano che il suggerimento di Via Nazionale di reintrodurre l’Ici sulla prima casa non abbia esattamente fatto felice il premier. Soprattutto il Cavaliere ha puntato sul rimpastino. Segnale preciso di una maggioranza che vuole a tutti i costi sopravvivere e convincere i – molti – interessati dinonavere il respiro corto. Strapuntini di sottogoverno. Preziosi però. Accompagnati dagli strali di Pd, IdV, Udc e Fli.

E dal gelo dentro il Pdl, dove accontentarne uno significa scontentarne cento. Esemplare il commento a caldo del mite Enrico Costa, capogruppo in Commissione Giustizia: «Nomine difficilmente difendibili sul piano politico ». Non importa. Berlusconi va avanti come un panzer. Da Palazzo Chigi escono quattro nomine non indispensabili eppure, a quanto pare, non procrastinabili. Due promossi viceministri da sottosegretari. La bionda Catia Polidori, imprenditrice umbra omonima di Mister Cepu, ex finiana che voltò le spalle alla seconda carica dello stato il fatidico 14 dicembre dell’anno scorso. E il calabrese Aurelio Misiti, uscito dal lombardiano Mpa quando votò contro l’autorizzazione ai pm milanesi di perquisire l’ufficio di Spinelli, il cassiere dell’Olgettina, eppure molto critico negli ultimi giorni sulla premiership del Cavaliere. Lei va allo Sviluppo Economico, lui alle nodali Infrastrutture. Premiato anche Pino Galati, tormentato Cristiano-Popolare che assieme al sodale Baccini aveva suggerito il binario morto per la legge sulle intercettazioni. Diventa sottosegretario all’Istruzione taslocando all’Interno Guido Viceconte. Ma nel mirino del partito ci sono Misiti e, soprattutto, la Polidori. «Per colpa della sua assenza siamo andati sotto al voto sul Rendiconto che ci è costato la fiducia – sibila un sottosegretario azzurro di provata fede – Premiarla così è uno schiaffo alle istituzioni ». Pare che la questione abia compattato tutte le anime Pdl: dai frondisti di Crosetto agli scajoliani, dal deluso Pionati a Mario Pepe. Furiose le donne: Ravetto, Bernini, Saltamartini.

www.unita.it

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Il premier brinda: “Ma adesso il pericolo è il giorno per giorno”, di Amedeo La Mattina

Oggi fatemi godere questa giornata, il resto lo risolveremo: il pericolo è il giorno per giorno». Berlusconi è consapevole che la vittoria sul campo della fiducia non ha risolto i suoi problemi di tenuta della maggioranza. Si è presentato al Quirinale a mani vuote sulla nomina del nuovo governatore di Bankitalia, non sa dove trovare le risorse da mettere nel decreto sviluppo, non ha un’idea di quale legge elettorale potrà disinnescare il referendum. «Tuttavia ho dimostrato al capo dello Stato di poter andare avanti. Lui mi ha chiesto come farò sui singoli provvedimenti, innanzitutto su quelli economici, e io gli ho risposto che trasferirò il governo alla Camera».

Più facile a dirsi che a farsi, per la verità. Il presidente del Consiglio dovrebbe inchiodare ministri e sottosegretari ai lavori parlamentari, almeno quando si dovrà votare. Non ha scelta, del resto: senza di loro non avrebbe ottenuto i 316 voti che gli hanno consentito di cantare vittoria. Ma ieri c’è stato un momento che questo risultato sembrava sfuggirgli. E allora il premier aveva già pronto un piano B: se fosse andato sotto, sarebbe salito al Colle per chiedere a Napolitano di sciogliere solo la Camera. Aveva pure previsto che Napolitano gli avesse detto di no: a quel punto Berlusconi avrebbe rilanciato con la richiesta di sciogliere il Parlamento e andare ad elezioni anticipate tra novembre e dicembre.

Non avrebbe mai e poi mai permesso che si formasse un governo di transizione. «Bersani e Casini – ha raccontato Berlusconi – avevano già pronto un nuovo governo e promettevano posti a tutti quelli che avrebbero tradito. Mi risulta che anche Montezemolo ha telefonato per convincere alcuni deputati a votare contro. Ci è riuscito solo con un paio di loro, ma ha fallito». Presunti tentativi che alla fine il Cavaliere ha sventato e proverà a sventare fino a dicembre. Poi a gennaio potrebbe essere lui ad aprire le danze delle urne. Adesso si gode la «figuraccia» dell’opposizione, lo «spettacolo delle facce scure di Fini e Casini che si sono accodati ai biechi trucchi del parlamentarismo inventati dal Bersani che ha perso i Radicali». Ha rincarato la dose Osvaldo Napoli. «Casini e gli ammennicoli del Terzo Polo sono stati risucchiati nel vortice di un’opposizione radicale che si muove seguendo lo spartito scritto da Di Pietro in Parlamento e da Vendola nelle piazze».

A proposito di Radicali. Per il Cavaliere vanno ricompensati. Ci penserà il ministro della Giustizia Nitto Palma. Come non è ancora certo. Niente amnistia o indulto, ma dovrebbe trattarsi di qualcosa che ha a che fare con le carceri. Vedremo. Intanto, con le nomine di due viceministri (Misiti e Polidori) e di un sottosegretario (Galati) sono state accontentate alcune aree della maggioranza in ebollizione. Ad esempio quella di Galati, che fa capo ai cristiano popolari di Baccini, era entrata in sofferenza da quando c’era stata l’infornata governativa per ricompensare i Responsabili: coloro che avevano fatto fallire il blitz del 14 dicembre. Sardelli è uno di quelli che non è stato accontentato ed è passato all’opposizione. Altri sono rimasti a bocca asciutta anche ora e potrebbero ascoltare le sirene del Terzo Polo. Dall’Udc, in particolare. Anche il discorso con Scajola non è del tutto chiuso.

L’ex ministro, dopo il primo incontro con Berlusconi martedì scorso, aveva avuto un colloquio a quattr’occhi con Casini. Prospettandogli un’alleanza di moderati. «Ma tu e i tuoi amici – gli ha chiesto l’ex presidente della Camera – voterete la fiducia?». «Sì, perché non posso votare in questo momento contro Silvio». «Allora, ne riparliamo quando ti sarai deciso a fare il passo giusto», ha tagliato corto il leader dell’Udc. Insomma, i movimenti parlamentari non sono chiusi e il Cavaliere non potrà mai dormire sonni tranquilli, visti i numeri ballerini che si ritrova. Si potrà godere la giornata di ieri ma da oggi tornerà ad avere il cuore in gola. Anche perché le nomine dei due viceministri e di un sottosegretario non hanno scontentato solo alcuni Responsabili. Pure dentro il Pdl c’è malcontento, soprattutto tra i quarantenni. Queste nomine sono «difficilmente difendibili sul piano politico», ha detto Enrico Costa.

La Stampa 15.10.11