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I quarantenni del Pd: «Basta subalternità al neo liberismo», di Simone Collini

I trenta-quarantenni del Pd chiedono che sia il partito a prendere in mano la bandiera della giustizia sociale. Orlando: nuovo modello di sviluppo. Zingaretti: cambiare anche il linguaggio Servono parole e analisi nuove, smettendola di mostrare una certa subalternità al modello liberista. E una classe dirigente che per esprimerle con credibilità deve essere anch’essa nuova. Perché altrimenti andrà in scena un film già visto, con un finale ben noto fin d’ora, brutto per tutti.
I trenta-quarantenni del Pd che a settembre si erano dati appuntamenti a Pesaro per discutere della situazione economica, sociale, politica e anche per costringere i vertici nazionali ad aprire un confronto su un diverso modo di gestire il partito sono tornati a riunirsi a L’Aquila. Non è casuale che per questo secondo appuntamento abbiano scelto la città simbolo dell’incapacità della destra, e anche peggio, «dell’utilizzo del dramma come strumento di propaganda», come dice il responsabile Giustizia Andrea Orlando aprendo i lavori.
Tra questi edifici ancora tutti puntellati, lontani ma non troppo da quelli abbandonati a loro stessi del centro storico (il giro nella zona rossa che fanno prima di cominciare il seminario lascia tutti sgomenti) si sono ritrovati in circa duecento tra amministratori locali, segretari regionali e provinciali, responsabili dipartimentali, parlamentari nazionali del Pd. Qui, per lanciare una serie di «idee per la ricostruzione», come recita il titolo della giornata. Ci saranno altri due appuntamenti e poi una grande convention
nazionale a Roma, a gennaio. Cioè alla vigilia è l’auspicio di questa platea in cui l’ipotesi governo di transizione viene vista come il rischio di un ulteriore allontanamento tra istituzioni e società di un voto con Bersani candidato premier: «E dovremo scegliere i candidati al Parlamento con le primarie», dicono Orlando, Enrico Rossi e molti altri.
CHIUDERE QUESTO VENTENNIO
Se per quel che riguarda l’Italia un po’ tutti insistono sulla necessità che il Pd prenda in mano con più determinazione la bandiera della giustizia sociale, anche sulla gestione del partito le critiche non mancano. A cominciare dalla denuncia di un «non dichiarato patto di sindacato» tra gli esponenti dell’attuale gruppo dirigente, come dice il responsabile Informazione Matteo Orfini, che «va scardinato perché oggi non è più in grado di rappresentare il Paese».
La critica che muove il responsabile Economia Stefano Fassina è anche alla mancanza di uno «spazio per approfondire l’analisi», che è ciò che oggi serve perché «se non condividiamo l’analisi è difficile metterci d’accordo sul che fare». Il che fare, per Debora Serracchiani, consiste nel «marcare le differenze rispetto al centrodestra», nel chiudere questo ventennio, come dice il governatore della Toscana Enrico Rossi, «dominato
dal liberismo con il centrosinistra che ha mostrato subalternità rispetto a questa ideologia», nell’aprire un nuovo ciclo riformista che, sostiene il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, «deve fondarsi su parole nuove e una nuova classe politica, altrimenti sarà la ripetizione di qualcosa già visto».
NUOVI MODELLI, NUOVE PAROLE
Sulla necessità che il Pd lavori su un nuovo modello di sviluppo insiste Orlando, per il quale in una società in cui si accentuano le diseguaglianze il Pd deve farsi paladino della battaglia sulla «giustizia sociale», visto che negli anni passati «la disuguaglianza come stimolo alla crescita è stata idealizzata dalla destra senza incontrare troppe resistenze».
Il responsabile Giustizia critica «una generazione che ha sognato di abbattere il capitalismo e che per ansia di legittimazione sembra aver rinunciato anche a riformarlo». Dice Orfini: «Quando qualcuno di noi ha criticato l’idea che lasciando libera l’economia si sarebbe prodotta ricchezza diffusa è stato trattato da eretico. È il tema della politica di oggi». È questione anche di linguaggio, dice Zingaretti. «Non possiamo essere subalterni anche nel lessico. Pressione fiscale introduce già un disvalore, mentre noi dovremmo parlare di giustizia fiscale. Non dobbiamo neanche dire scudo fiscale, che indica il senso della protezione per un imbroglio vergognoso. Cominciamo a chiamarlo schifo fiscale».
NÉ GIOVANILISMO NÉ LEADERISMO
Il rinnovamento concettuale, per essere credibile, va però accompagnato da un rinnovamento della classe dirigente. Lo dice Rossi, riferendosi ai passati governi di centrosinistra e pensando a eventuali futuri governi a guida Pd: «Squadra che perde si cambia». E lo dice Orfini: «Non pos-
siamo presentarci 15 anni dopo con le stesse facce che hanno contribuito, seppur in minima parte rispetto a Berlusconi, a portarci in questa situazione». Nessuno si spinge sul crinale della rottamazione, e anzi arrivano molte critiche nei confronti di Matteo Renzi e del “Big Bang” che ha organizzato per la fine del mese. «Qui si discute una proposta politica – dice Orfini – che non ha bisogno di cantanti, scrittori, di farsi show mediatico». Dice Fassina: «La nostra non è una proposta generazionale ma non abbiamo alcun problema a stare all’ interno di un fiorire di iniziative, purché non servano interessi personalistici, che sfruttano l’onda dell’antipolitica, indebolendo il partito anziché rafforzarlo». E comunque Renzi non è l’unico bersaglio, se Orlando dice che questa generazione è «stretta tra sessantenni navigati che si improvvisano nuovisti e giovani trentenni spazientiti da logiche di partito che non possono comprendere».

L’Unità 17.10.11