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"Gelmini e i precari", di Manuela Ghizzoni

I pochi dati statistici resi noti dal Ministero Istruzione mostrano impietosamente il fallimento delle politiche di questo governo.La precarietà non cala e resterà strutturale senza seri interventi . Dopo una lunga attesa, sono stati finalmente resi noti dal MIUR taluni dati statistici riguardanti alcuni aspetti del sistema d’istruzione: evidentemente qualcuno ha segnalato alla ministra che esiste un preciso obbligo di legge circa la divulgazione dei dati raccolti per il servizio statistico nazionale!

Le informazioni desumibili dai dati sono necessari per qualsiasi considerazione sul sistema di istruzione e per valutare gli effetti degli interventi attuati dall’attuale governo di destra, che abbiamo contrastato fin dalla loro approvazione. Effetti che già oggi, scuola per scuola, appaiono disastrosi a chi nel nostro sistema di istruzione studia e lavora.

Sulla base dei dati resi noti, pare pertanto opportuno avanzare alcune riflessioni, a partire da quelli sull’esito dell’esame di maturità. Se da un lato diminuisce la percentuale dei bocciati, dall’altro si abbassa il voto finale: si tratta di due andamenti che andrebbero indagati insieme, invece di limitarsi a nascondere il fenomeno – come pare abbia fatto la ministra – per timore che la retorica del rigore subisse un contraccolpo.

I dati sul sostegno agli alunni disabili informano che mentre cresce il numero degli studenti i docenti diminuiscono percentualmente: nel 2006/07 si registrava un docente ogni 1,91 alunni, nel 2011-12 ve ne è uno ogni 1,99.

Molto interessanti paiono poi i dati che riguardano i docenti precari rispetto a quelli di ruolo e che smentiscono totalmente la propaganda propalata dalla ministra su tale argomento. Risulta, infatti, che nell’anno scolastico 2010/11 i precari siano 115.000: di questi, come risulta dai dati resi noti dalla Corte dei Conti nel Rendiconto annuale per il 2010, 23.640 hanno avuto un incarico annuale e ben 92.113 sono stati assunti fino al termine dell’anno scolastico.

Rispetto al totale dei docenti (778.736 unità), i precari rappresentano il 14,9%: interessante notare che si tratta della stessa percentuale registrata nell’anno scolastico 2005/06, riferita ad un totale di 834.683 docenti. La percentuale dei docenti precari resta dunque la stessa a fronte di una diminuzione di ben 55.947 unità (di cui 47.551 a tempo indeterminato) del totale dei docenti in servizio. Si aggiunga che nel biennio 2008/9 – 2009/10 è stato operato agli organici un taglio di 67 mila posti, con il licenziamento di alcune decine di migliaia di precari.

Ma come è possibile che la percentuale dei docenti precari in servizio non sia diminuita nonostante la riduzione degli organici? Non solo perché i docenti precari assunti non coincidono sempre, per materie ed ambiti provinciali, con i posti cancellati, ma soprattutto perché i posti lasciati liberi dai pensionamenti non corrispondono con quelli tagliati in maniera pressoché lineare. Peraltro, anche con le nomine effettuate per l’anno scolastico in corso il fenomeno dei docenti precari non subirà rilevanti variazioni, poiché ci si è limitati al turn-over. È quindi del tutto evidente che il fenomeno è destinato a permanere “negativamente strutturale” se non si procede con regolarità al reclutamento in ruolo e se non si mettono a disposizione tutti i posti vacanti, anche al fine di realizzare l’organico funzionale all’offerta formativa prevista nel piano di istituto.

Di fronte a queste evidenze paiono destituite di fondamento le dichiarazioni della ministra in merito ad una presunta maggiore “stabilità” della scuola e crollano miseramente le sue litanie propagandistiche che liquidavano il fenomeno del precariato come un sistema eterodiretto finalizzato alla creazione di un ammortizzatore sociale, fonte di inutili sprechi e bubbone da estirpare attraverso la politica dei tagli massicci agli organici. Politica prontamente attuata dalla ministra, che non ha ridotto il precariato ma danneggiato il nostro sistema scolastico. A fronte di questi dati incontrovertibili, non sarebbe opportuno che la ministra – per il bene del nostro sistema pubblico di istruzione e della sua dignità – riconoscesse la fallacia delle teorie finora propugnate e mostrasse la volontà di comprendere un fenomeno complesso mettendo in campo reali misure per superarlo?

Tra i dati resi noti dal Miur mancano quelli sul tempo scuola: è dal 2008 che lamentiamo l’assenza di informazioni sui moduli didattici e sul funzionamento della scuola. Perché tale silenzio? Forse che qualcuno al ministero ritiene sconveniente far conoscere al Paese, ad esempio, che il ritorno al “maestro unico” – la prima “riforma epocale” della ministra – è stato bocciato dalle famiglie?

Stando a quanto afferma la Relazione della Corte dei Conti sul rendiconto dello Stato parrebbe proprio di sì: da essa si apprendere che nell’anno scolastico 2009/20 solo lo 0,5 delle classi prime è stato costituito con orario settimanale di 24 ore, a testimonianza del fatto che le famiglie hanno orientato la propria scelta verso moduli didattici ad orario scolastico più lungo (27, 30 e 40 ore).
Restiamo pertanto in attesa di conoscere tutti i dati sul funzionamento della scuola primaria dopo gli interventi a “gamba tesa” della ministra. Gli ultimi dati ufficiali risalgono all’anno scolastico 2007/08, quando su un totale di 2.275.310 studenti, 669.101 frequentavano classi di 40 ore settimanali a tempo pieno (due insegnanti con 4 ore di compresenza); 430.770 erano in classi con un orario settimanale variante dalle 31 alle 39 ore con mensa (i cosiddetti “moduli con team di docenti”); 53.311 in classi da 31 a 39 ore senza mensa; 1.303.473 frequentavano classi con un orario variante tra le 28 e le 30 ore settimanali e 118.665 stavano in classi con 27 ore settimanali. Qual è la situazione oggi? Coraggio ministra Gelmini tiri fuori il “cadavere” dal cassetto!

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