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"L'anomalia della violenza", di Miguel Gotor

Perché solo in Italia è esplosa la guerriglia urbana? La domanda non va elusa, anzi la condanna della violenza dovrebbe accompagnarsi a uno sforzo analitico per evitare di trasformarla in un rito autoassolutorio.
La furia di sabato è il risultato di un insieme di fattori culturali, politici, ideologici, economici e istituzionali che si sono progressivamente incistati nel corpo italiano: alcuni sono specifici e di lungo periodo, altri congiunturali e comuni ad altri Paesi, ma è la loro miscela ad avere innescato la miccia della sovversione.
Sul piano culturale scontiamo una responsabilità antica, quella di non essere stati capaci di fare i conti con la violenza degli anni Settanta: la demonizzazione delle Brigate rosse è stata funzionale a relativizzare, sino a occultarle, le responsabilità dell´area di contiguità, l´acqua dove a lungo hanno nuotato quei pesci. Abbiamo esecrato la lotta armata, ma prima blandito e poi rimosso la violenza extraparlamentare, preferendo scegliere la strada dell´interessato cabotaggio politico. Gli effetti revisionistici sono sotto gli occhi di tutti: ieri nel Corriere della Sera ancora si raccontava la favola che «Nel 1977, gli studenti romani cacciarono Luciano Lama dalla Sapienza. Erano poche centinaia, ma interpretavano un disagio diffuso che Cgil e Pci non rappresentavano più». Nessuno, in realtà, ama ricordare che quell´assalto fu organizzato da Autonomia operaia ed era guidato, fra gli altri, dal brigatista Bruno Seghetti, spalleggiato da Emilia Libera e Antonio Savasta, che tutti sapevano essere tali e che partecipavano regolarmente alle assemblee del movimento del ´77 in rappresentanza delle Br, fino a pochi giorni prima del rapimento di Aldo Moro: assemblee pubbliche, non congregazioni di clandestini. Su questa ambiguità costitutiva è germogliata un´operazione “nostalgia”, alimentata da mitizzazioni, arzigogolii classificatòri e reducismi, che quanti oggi frequentano le aule universitarie vedono sopravvivere con il loro corollario di citazioni, simboli e parole d´ordine, che legano una generazione all´altra, come anelli arrugginiti di una sola lunga catena.
Si è poi in presenza di una crisi del sistema politico, la cui rappresentanza parlamentare non è mai stata così debole sul piano dell´autorevolezza e tanto spostata a destra. Nel 2008, tra gli sciagurati effetti della cosiddetta vocazione maggioritaria, nel forzoso tentativo di rendere l´Italia non solo bipolare, ma anche bipartitica, è scattato il meccanismo del voto utile che ha cancellato la sinistra radicale dal Parlamento. Essa, anche negli anni più bui del terrorismo, ha sempre rappresentato un punto di riferimento per l´antagonismo extraparlamentare, un´area di compensazione, di mediazione e di dialogo venuta meno all´improvviso, prosciugando lo spazio tra istituzioni e società, Palazzo e movimenti.
C´è anche una crisi ideologica strettamente connessa a quella politica. Siamo intossicati da anni di propaganda che, a destra come a sinistra, ha inculcato negli italiani l´idea che fare politica sia una cosa sporca per definizione e che tutti sono ladri. Si sarebbe dovuto distinguere la polemica giustificata contro i costi della politica, che appartiene per tradizione a un pensiero dell´austerità di derivazione progressista, da quella contro la casta che in tutte le sue varianti (elitista-liberale, qualunquista, fascista, gauchista) ha sempre aperto la strada alla reazione. Ma si è rinunciato a farlo: per pigrizia, per furbizia, per interesse, per demagogia, o per continuare a puntellare il governo di Berlusconi spostando il fuoco dell´attenzione dalle responsabilità dell´esecutivo verso una generica e generale dequalificazione della politica e del Parlamento nel loro insieme, che, nel condannare tutti indistintamente, finisce per assolverli. Ora, però, si inizia a pagarne le conseguenze. In questo vuoto pre e post politico si inseriscono con maggiore facilità proposte demagogiche speculari come l´annuncio di nuove misure restrittive da parte del ministro degli Interni Maroni o la richiesta di leggi speciali come quella avanzata da Di Pietro. Sarebbe più utile e serio impegnarsi ad applicare le norme già esistenti e soprattutto non continuare a umiliare le forze di polizia, costringendole a fare la colletta per pagarsi la benzina come denunciato in queste ore dai sindacati di categoria.
Esiste poi un problema economico legato alla cosiddetta «generazione 1000 euro», precaria e senza futuro. Manca il lavoro e quello che c´è è sporco, ma una persona senza lavoro è priva della sua dignità, della possibilità di avere una speranza. È out, escluso dall´universo dei consumi e dei sogni e, in tempi di crisi economica, ciò provoca uno scatto nevrotico, da cui possono scaturire il gesto violento, privo di ragione, poiché è il prodotto di una sragionevolezza quotidianamente vissuta che non si sa più gestire sul piano psicologico. Disperata. Tali meccanismi non sono tipicamente italiani: sono gli stessi che hanno indotto in Francia e in Inghilterra i figli degli immigrati di prima generazione a distruggere le periferie di Parigi e di Londra, o i giovani di Atene a tentare di assaltare il Parlamento. L´originalità nostrana è che il problema riguarda ancora giovani italiani, che non chiedono democrazia perché sanno che la democrazia li ha traditi non riuscendo a mantenere le sue promesse. Sono una grande questione sociale che dovrà trovare delle risposte politiche riformiste all´altezza perché altrimenti la fuga sarà a destra, secondo il solito circuito repressione/consenso alimentato dal populismo. L´altra specificità italiana è che il processo di americanizzazione (il tuo valore si misura in base al guadagno, la competizione è un dovere morale) è avvenuta in assenza di una società aperta, fondata sulla responsabilità individuale come negli Usa. Da noi si è venduto un sogno consumistico senza che nessuno potesse viverlo in base alle proprie capacità, ma solo se garantito da una famiglia alle spalle (che offre casa, lavoro, assistenza) o da una corporazione. Tutto ciò si trasforma nell´abuso sempre più intollerabile di un mondo chiuso, in cui la libertà diventa privilegio e l´escluso è indotto a scegliere tra le strade della depressione, dello sballo, del nichilismo, della corruzione o della violenza: verso se stesso, o verso gli altri.
C´è infine il fattore Berlusconi, il problema istituzionale di un governo senza autorevolezza. Negli ultimi mesi questa è la seconda volta che Roma viene messa a ferro e fuoco. Sarà un caso, ma ciò è avvenuto sempre quando si votava la fiducia al suo pencolante esecutivo. L´impressione è che ci sia la convenienza nel provocare, in ore di attesa e di instabilità politica, il ribellismo sociale così da diffondere l´idea che un cambio di fase farebbe precipitare il Paese nel caos. Non c´è bisogno di infiltrare o di eterodirigere, è sufficiente lasciar fare, allargare i cordoni della prevenzione e del contenimento, gestire “politicamente” l´ordine pubblico, un´attitudine al “sovversivismo dall´alto” in cui le classi dirigenti italiane hanno una lunga ed efficace tradizione. La violenza di sabato era ampiamente attesa, monitorata e monitorabile, ma serve per spegnere la vitalità di un movimento in gran parte pacifico, per annichilire l´etica del bene comune che lo alimenta, per bruciare l´idea di un cambiamento possibile che contribuisca a un risveglio italiano.

La Repubblica 18.10.11