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"Salatissime cure anticancro ma sono utili?", di Cristina Pulcinelli

Uno studio della prestigiosa rivista Lancet Oncology rivela che nelle fasi finali della malattia i prezzi dei farmaci usati crescono vertiginosamente mala durata e la qualità della vita del paziente se ne avvantaggiano poco. Sipuleucel T , nome commerciale Provenge, è una nuova immunoterapia per il cancro della prostata in stadio avanzato messa in commercio
negli Stati Uniti nel 2010. Un trattamento di tre dosi costa 100.000 dollari (circa 74.000 euro) e allunga la vita al paziente di circa 4 mesi. È solo un esempio di quello che sta accadendo con le terapie anticancro nei Paesi ricchi del mondo: si mettono a punto cure sempre più complesse, e quindi costose, anche se hanno un beneficio limitato. Ed è uno dei motivi (anche se non l’unico, come vedremo) per cui le spese per il cancro sono aumentate a dismisura negli ultimi anni. Tanto che qualcuno comincia a chiedersi se possiamo permetterci di continuare così.
La rivista inglese Lancet Oncology ha messo in piedi una commissione formata da 37 persone, tra medici, economisti e rappresentanti dei pazienti, guidate da Richard Sullivan del King’s Health Partners Integrated Cancer Centre di Londra per fare luce su questo punto. Il rapporto, intitolato «Fornire cure contro il cancro a prezzi accessibili in Paesi ad alto reddito», è stato presentato al congresso European Multidisciplinary Cancer di Stoccolma e ha fatto discutere.
Si parte da un dato di fatto: il cancro ci costa caro, non solo in termini affettivi, ma anche economici. Nel 2008 il mondo ha pagato 895 miliardi di dollari per morti premature e invalidità legate a questa malattia, escludendo quindi i costi medici diretti. Solo i nuovi casi di cancro emersi nel 2009 nel mondo sono costati 286 miliardi di dollari, la metà dei quali sono serviti a coprire le spese mediche. Le cose non andranno meglio in futuro: la popolazione invecchia e il numero dei malati di cancro è destinato ad aumentare. Se oggi nel mondo si contano 12 milioni di nuovi pazienti all’anno, nel 2030 se ne conteranno 27 milioni: più del doppio. Contemporaneamente, le cure diventano sempre più complesse e quindi costose. In un mondo in cui le risorse sono finite (e molto meno disponibili di quanto pensassimo solo qualche anno fa) dobbiamo porci il problema di capire se queste risorse sono allocate in modo corretto o se altre priorità andrebbero valutate. Se questo vale per tutti, c’è però un
problema specifico per i Paesi ricchi del mondo. Negli ultimi 20 anni l’aumento della spesa per cura e prevenzione del cancro in questi Paesi è cresciuto a dismisura. Il rapporto cita come esempio gli Stati Uniti passati da una spesa per il cancro di 27 miliardi di dollari nel 1990 a una spesa di 90 miliardi nel 2008. E nel 2020 diventeranno 157 miliardi di dollari: una aumento del 600% in 30 anni. Perché? A far crescere i costi contribuiscono diverse spinte. Ad esempio l’innovazione, sia nel campo dei farmaci sia in quello della diagnostica: le procedure sono sempre più complesse e diffuse, ma sono più efficaci? Ad esempio, se una cura fa restringere il tumore,ma non migliora la sopravvivenza del paziente è efficace? Oppure, se ottiene una risposta positiva in un piccolissimo gruppo di pazienti, ma nessun effetto sulla maggioranza
dei pazienti, è efficace? Domande difficili, ma che oggi vanno affrontate. C’è poi l’eccesso di utilizzazione di un farmaco: trattare un paziente che non ne ha bisogno o che non risponde
è inutile, a volte addirittura dannoso visto l’effetto tossico di alcuni farmaci. Eppure si fa, spesso per mancanza di tempo, o perché il paziente lo chiede. Infine, c’è il problema del trattamento inutile a fine vita. Alcune chemioterapie nelle ultime settimane di vita non solo sono inutili,ma compromettono la qualità della vita del paziente. Se potessimo predire
con certezza quali cure sono inutili eviteremmo al paziente dolore e false speranze, dicono gli estensori del rapporto.
GLI ESEMPI
Ma questo modo di ragionare deve fare i conti con il mercato. La multinazionale Roche incassa ogni anno 19 miliardi di dollari vendendo solo rituximab (nome commerciale Rituxan),
bevacizumap (Avastin) e trastuzumap (Herceptin). Il primo è usato per la cura del linfoma, il secondo per cancro al colon ma anche al seno e al polmone, l’Herceptin per il cancro al seno. Il trattamento con questi farmaci può costare fino a 100.000 dollari l’anno. Non tutti possono permetterseli, tanto che la multinazionale svizzera ha deciso poco tempo fa di sospendere la fornitura di medicinali per la cura del cancro agli ospedali pubblici greci che non pagano le fatture da 4 anni. La stessa sorte, scrive il Wall Street Journal, potrebbe toccare a Spagna, Portogallo e anche all’ Italia. Come accadde anni fa con gli antiretrovirali per l’Aids, entrano in
campo le aziende farmaceutiche indiane e cinesi e dicono che sono sul punto di vendere copie a prezzi più bassi anche di questi farmaci anticancro. Ma l’amministrazione degli Stati
Uniti si batte perché non ottengano il riconoscimento di un accordo internazionale per cui potrebbero aggirare i diritti proprietari sui brevetti. Avere una cura migliore, tuttavia, non è sempre un problema di nuovi farmaci. Anche una strategia terapeutica diversa può avere effetti positivi. Uno studio riportato dal New England Journal of Medicine ha riscontrato ad esempio che in pazienti con un tumore al polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, le cure palliative aggiunte precocemente al trattamento standard garantivano una migliore qualità della vita, un trattamento meno aggressivo a fine vita e anche due mesi di sopravvivenza in più.

L’Unità 18.10.11