attualità, politica italiana

"Le parole che il governo non ascolta", di Paolo Baroni

Bambole, non c’è una lira. Ieri il presidente del Consiglio ha ammesso pubblicamente che per il decreto sviluppo non ci sono soldi, per cui «ci dobbiamo inventare qualcosa». «Senza fretta» però, perché è ormai evidente a tutti che oltre ai soldi mancano anche le idee. Non quelle improvvisate da un qualche ministro con smanie di protagonismo, ma quelle buone, quelle in grado di dare la scossa al Paese. Ancora ieri le imprese, tutte assieme, hanno scritto al governo per chiedere misure «concrete e credibili» ed annunciare che «il tempo è scaduto», perché la fiducia è ai minimi e la recessione incalza. Servono subito risorse e interventi strutturali, non un condono magari raffazzonato ma interventi su fisco, pensioni e liberalizzazioni. La risposta: nuovi tavoli tecnici, nuovi vertici ed i soliti ricatti sulla nomina alla Banca d’Italia che paralizzano tutto.

Il Paese affonda ogni giorno di più ed il governo è letteralmente senza bussola. Arriva a proporre misure come la liberalizzazione dell’attività di estetista o quella del commercio di margarina, mentre il resto del mondo (banche, imprese ed economisti) continua a spiegare che uno sviluppo a costo zero non esiste. Parole che il governo non sa o non vuole ascoltare.

La Stampa 19.10.11