attualità, politica italiana

"Finisce la farsa dei ministeri al Nord", di Filippo Ceccarelli

Quando il regime degli spettacoli prende in ostaggio le istituzioni, l´effetto circo non solo è garantito, ma di norma assume anche la sua più inconfutabile forma pagliaccesca. Con tale avvertenza ha principio e fine l´epopea ridanciana, ma pure abbastanza triste, dei ministeri al Nord: se ne trova originaria traccia in un disegnino sul biglietto d´auguri natalizio del ministro Calderoli, vedi un po´ come, quando e da dove rotolano le soluzioni del decentramento amministrativo all´italiana. Poi Natale passa, Pasqua pure, la Lega prende un bagno al primo turno delle elezioni e il 22 maggio, tra una pernacchia e l´altra, Bossi chiede due ministeri al Nord.
Sarebbe questa la «sorpresa» annunciata a un partito e a un elettorato che stanno annaspando. Ma per dire l´accoglienza, in pratica risponde con sdegno solo il sindaco di Roma, Alemanno, che pochi mesi prima, coram populo, ha offerto rigatoni con la pajata al Senatùr – e la Polverini, per l´occasione aggregatasi al «cerchio magico», l´ha addirittura imboccato.
Dopo la sventola del secondo turno c´è molto altro di più impellente a cui pensare. Ma la sede ministeriale è individuata nella Villa Reale di Monza, città oltretutto governata da un borgomastro leghista, il signor Mariani, che però aspetta i decreti perché Berlusconi pure ha impicci più seri di cui occuparsi. Pontida, 19 di giugno, arriva quando il Carroccio è ormai in piena crisi. Così a un certo punto, per rianimare il gentile pubblico divenuto un po´ nervoso, oltre che osannante Maroni, salgono sul palco Cota e Calderoli per la solenne ostensione delle targhe d´ottone, fatte in casa, quindi buffe. C´è scritto Ministero della semplificazione e Ministero delle riforme. Poi si aggiungeranno altri ministeri (Turismo, Economia, Interni), che tuttavia spariranno, sia come singoli che in gruppo.
Per restare a quelle due targhe, con un balzo in avanti nel tempo converrà subito dire che al momento, nella villa, sono nascoste e quasi invisibili per timore che qualcuno se le rubi. Nel frattempo l´eventuale trofeo finisce in qualche cassetto. Oltre che sull´eresia maronita, la vita padana s´incentra sui record di velocità dell´onorevole Speroni in autostrada (tedesca: 316 km all´ora), sui balbettii telematici del Trota, presto divenuti un cult della rete, e sul divieto di servire spezzatino di orso a una festa leghista nel Trentino.
Fino a quando, il 23 di luglio, sotto il cielo brianzolo è finalmente allestito lo spettacolo della finta inaugurazione. E non solo perché si tratta di tre stanzette semivuote destinate a rimanere tali, con suppellettili padane, ritratti del giovane Bossi e statuette di Albertino da Giussano, nonché drammaticamente senza bagno. Fuori, protetti dalla polizia e circondati da cittadini con il tricolore, si pavoneggiano il rubizzo Calderoli, sempre più simile alla cantante inglese Susan Boyle, e Bossi in camicia e vistosi occhiali neri alla Blues brothers, per via dell´operazione alla cataratta, alla presenza di diversi dignitari e portaborse, ma non di Maroni.
Alla compagnia si è quindi «aggiunta la rossa»: così, dopo aver allegramente mandato a quel paese e minacciato di prendere a cazzotti i giornalisti, il Senatùr segnala l´arrivo della Brambilla, ovviamente su vertiginosi tacchi, poi destinati a figurare in primo piano nelle foto di lei adagiata sui divani. Nel suo comizietto Bossi esibisce anche un pacco di banconote per rafforzare l´idea che lo scarno mobilio delle stanze – proveniente da Catania – è stato acquistato dai ministri leghisti.
La farsa padana, che vive anche di sottili distinzioni tra sedi ministeriali, sedi di rappresentanza e virtuali «sportelli» a beneficio dei cittadini (finora solo tre si sono rivolti a Monza: uno per un capannone, un altro per consigli sul decreto sviluppo, un terzo per lasciare un curriculum), ecco, dopo appena 72 ore la buffa commedia istituzionale è folgorata dai dubbi e dai rilievi del presidente della Repubblica.
Ma il ministro Rotondi, incautamente ingolositosi, ha già comunicato di voler aprire pure lui una sede ad Avellino, sua città natale e frequentatissima. A riprova che le ideacce faranno anche ridere, ma soprattutto sono contagiose.

La Repubblica 20.10.11

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“Anche la sentenza di Roma accentua le contraddizioni del Carroccio”, di Stefano Folli

Nel caos italiano può essere considerato un episodio minore, ma in realtà è carico di significati simbolici e politici. Una sentenza del Tribunale di Roma, raccogliendo il ricorso dei sindacati, cancella in pratica quel trasloco dei ministeri al Nord che è stato per mesi il cavallo di battaglia della Lega, o meglio dell’asse Bossi-Calderoli. In realtà la sentenza non annulla (né potrebbe farlo) i decreti amministrativi del governo: tuttavia ne sterilizza gli effetti sindacali e dunque di fatto li affossa.

I capi del Carroccio avevano presentato questo trasferimento come una sorta di rivoluzione. E c’è qualcosa di umoristico nell’immagine della rivoluzione bloccata da un ricorso sindacale (una scenetta che sarebbe piaciuta a Leo Longanesi). D’altra parte, i giornali già da tempo avevano dimostrato che nella Villa Reale di Monza, sede degli uffici trasferiti da Roma, mancava tutto, a cominciare dagli impiegati, tranne il ritratto di Alberto da Giussano.

Ora il cerchio si chiude com’era prevedibile. Era un gioco mediatico che per qualche mese, a cavallo della riunione di Pontida, è servito per tenere alto il vessillo leghista e nasconderne le profonde fratture interne. Ma non poteva durare all’infinito. Anche perché nel frattempo le divergenze non si sono attenuate. Tutt’altro.

La Lega di oggi assomiglia molto poco al partito coeso e determinato che per anni ha dettato l’agenda della politica. L’ultimo episodio, con il vecchio leader Bossi che insulta il sindaco di Verona, Tosi, la dice lunga sullo stato dei rapporti intestini. Tosi è uno dei giovani che meglio interpretano il «nuovo leghismo», quello che non si eccita a sentir parlare di secessione e rifugge dalla demagogia a buon mercato. Ma che pensa di inserirsi a pieno titolo nella dialettica politica dei prossimi dieci anni.

Per farlo ha bisogno di allontanarsi in misura sensibile dagli schemi, dai rituali e ormai anche dalla leadership bossiana. Non stupisce quindi che Tosi sia coperto di improperi; e peraltro il sindaco di Verona non è solo. Ci sono molti altri giovani che sono attenti alla buona amministrazione, parlano un linguaggio diverso dal passato e soprattutto guardano verso un orizzonte più ampio di quello dato dall’alleanza con Silvio Berlusconi.

In altre parole, la vecchia Lega si sta lentamente disgregando e a tenerla insieme non basta più il dito medio di Bossi alzato contro qualche avversario interno. Roberto Maroni, un passo dopo l’altro, guadagna terreno. Ed è noto che dietro il ministro dell’Interno si sta organizzando una forza consistente, benché ancora prudente nelle sue manifestazioni esterne.
Vedremo di qui a qualche settimana o mese. Senza dubbio Maroni ha un progetto politico abbastanza definito. Nelle sue mani la Lega si aprirebbe a un ventaglio di alleanze non rigide e potrebbe meglio concorrere a quella «coesione nazionale» su cui il presidente della Repubblica non cessa d’insistere. Semmai il tallone d’Achille del ministro è la gestione dell’ordine pubblico. Come responsabile politico del Viminale, Maroni è danneggiato dal ripetersi di episodi drammatici di guerriglia urbana, come a Roma. Non a caso ieri un berlusconiano intransigente qual è Stracquadanio, difensore dell’asse Berlusconi-Bossi, lo ha attaccato su questo punto. Un avvertimento che più chiaro non potrebbe essere.

Il Sole 24 Ore 20.10.11

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