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"Gli indignati e la sinistra", di Alessio Postiglione

La protesta degli indiñados impone a tutti i riformisti di interrogarsi sulla propria identità. Riemergono temi propri della tradizione socialista, come la critica alla “dittatura delle banche”, e nuove progettualità che disegnano la sinistra che verrà: beni comuni e nuovi diritti di cittadinanza, in primis. Questa tensione identitaria, d’altronde, era stata già vissuta dal Pd quando la famosa lettera agostana di Draghi e Trichet che “commissariava” il governo Berlusconi fu resa pubblica. I democrat si dividevano fra chi riteneva le ricette della Bce praticabili e chi le liquidava come pericolosi tecnicismi che attentavano al principio di solidarietà. Il tema, in pratica, era ed è quanto la sinistra possa essere liberale, per rimanere fedele a se stessa, prima di degradare in quel liberismo che vira a destra.
La lettera degli indiñados consegnata a Bankitalia indica che l’eclissi della sovranità degli Stati nazionali e la fine del primato della politica sono dei temi molto sentiti. Questi movimenti, evidentemente, non rappresentano l’antipolitica.
Essi rivendicano, invece, più politica, ma oltre i luoghi tradizionali della rappresentanza, cioè i partiti.
Se i movimenti accusano le banche, le privatizzazioni e l’Europa, vale la pena chiedersi, allora, come possa la sinistra incanalare queste domande politiche. Il vecchio spettro del dominio di un potere finanziario senza volto incute timore ed è condiviso da parte della sinistra e della destra, come dimostra l’avversione leghista al mercatismo teorizzato da Tremonti.
In realtà, le missive della Bce non ledono il principio di sovranità né le banche centrali sono assimilabili a oscuri poteri che governano il mondo sulla pelle delle masse.
La Costituzione stabilisce che l’Italia acconsente «a limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», come l’Unione europea. La Bce, d’altronde, è un’istituzione democratica: il Comitato esecutivo della banca, infatti, è scelto dai governi nazionali, sentito il parere del Parlamento europeo. È vero, però, che i movimenti chiedono ancora maggiore democrazia.
Ma questa riforma può avvenire solo con l’Europa, non contro di essa. Bisognerebbe dare più poteri al Parlamento europeo, ad esempio, e favorire il decision making sovranazionale, rispetto al metodo intergovernativo.
Le cattive politiche del governo Berlusconi, d’altronde, non sono state dettate da un fantomatico commissariamento della Bce. Dipendono dalle cattive scelte del centrodestra.
La stessa Bce, infatti, distingue puntualmente fra liberalizzazioni e privatizzazioni. Invece, in Italia, abbiamo svenduto i beni pubblici per favorire gruppi che, corporativisticamente, chiedevano protezione dal mercato e niente competizione. All’erario le bad company, ai padroni del vapore la polpa.
Gli indignati, infine, rivendicano l’intangibilità dei beni comuni, di quei servizi, cioè, dal cui godimento dipende l’inverarsi dei diritti di cittadinanza. Da questo punto di vista, la sinistra deve attenersi – con intelligenza seletiva – all’indicazione ideologica espressa nell’ambito dei referendum sull’acqua. Vale, però, la pena distinguere fra beni comuni e servizi pubblici, come i trasporti locali, che l’Europa ci chiede di affidare al mercato.
Anche qui, però, sarà possibile tenere insieme solidarietà e competitività solo liberalizzando, non privatizzando. Il peggioramento di alcuni servizi pubblici locali, ad esempio, dipende dal fatto che i Comuni non fanno sempre rispettare i contratti di servizio. Anche perché, magari, il soggetto affidatario è una spa ma a totale controllo pubblico. E risulterebbe particolarmente complesso, per un sindaco, rescindere un contratto di un’azienda che egli stesso controlla.
In definitiva, movimenti come gli indiñados dimostrano che l’esperimento del “liberismo di sinistra” preconizzato dagli economisti Giavazzi e Alesina e sperimentato dal New Labour di Blair è superato. Ciò non di meno esiste, a sinistra, uno spazio politico per tenere insieme democratici e socialisti, beni comuni e competitività.

da Europa Quotidiano 22.10.11