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"Genitori italiani e familismo italico", di Lorenzo Mondo

Non sappiamo quanti fossero i mascalzoni e gli imbecilli (insieme agli aspiranti criminali) che hanno messo Roma a ferro e fuoco. Certo erano tanti e il fatto che soltanto nove di loro siano finiti in carcere dimostra che la repressione è stata inadeguata o di mano leggera. Anche troppo. Non la pensano così i genitori dei dimostranti finiti a Rebibbia, dei quali si stanno accertando le effettive responsabilità. Sono i campioni del familismo italico, da non confondere con il senso della famiglia, che non disgiunge dall’affetto la severità e l’educazione al rispetto di certi principi elementari. L’espressione più radicale di questo sentimento deviato si trova nelle donne di mafia che inveiscono a difesa dei congiunti in manette; ma si manifesta per mille rivoli in più quiete e domestiche circostanze della vita associata.

La Stampa 23.10.11

Non c’è punizione, anche tenue, ventilata tra i banchi di scuola o nei commissariati di polizia che non veda la reazione di genitori che giurano sulla correttezza e sull’innocenza dei figli, vittime di intenti persecutori. A Roma si sta recitando lo stesso, insopportabile spettacolo. I loro ragazzi, figuriamoci, non si occupano di politica (come se questo fosse di per sé un crimine), sono perfino impegnati nel «sociale», non farebbero del male a una mosca e, semmai, si sono lasciati trascinare dalla foga della protesta e dal cattivo esempio. Parole assolutorie anche per chi è inchiodato dalle telecamere, per l’energumeno che affrontava i poliziotti armato di un estintore (richiamando alla memoria, con un brivido, l’analogo episodio, risoltosi in modo funesto al G8 di Genova).

Quanta commiserazione per i figli detenuti in celle sovraffollate e umide, col rischio di prendersi malanni a causa del freddo, quanta sollecitudine per la cattiva nomea che comprometterebbe una onorata carriera di studio e di lavoro. Non uno che abbia esalato contro il figlio la parola cretino, che abbia dichiarato «gli sta bene», minacciando un «a casa faremo i conti»: in aggiunta al disagio della detenzione che, stante l’andamento della giustizia e in mancanza di gravi, personali addebiti, promette di essere temporaneo. Certo non suscita comprensione l’atteggiamento vigliacco dei dimostranti che, dismesso il piglio bellicoso, negano l’evidenza accampando ridicole giustificazioni e professando un candido pacifismo. Ma più indifendibili sono questi genitori fasulli, protettivi oltre misura nei confronti di rampolli che mostrano, quanto meno, di non conoscere neppure. Sintomo, anche loro, dell’offuscamento morale e civile che affligge questo Paese.