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"Italia commissariata dopo i crolli. L’Unesco pronta a salvare Pompei", di Giuseppe Salvaggiulo

Troppi ritardi, l’Organizzazione si occuperà del sito: caso unico al mondo. Un anno dopo l’allarme, non sono arrivati né soldi né tecnici Negli scavi c’è un solo archeologo I mecenati francesi Pronti a mettere 200 milioni, ma con garanzie che finora il ministero non è riuscito a dare. A salvare Pompei ci penserà l’Unesco. Tra un mese sarà siglato un inedito accordo con il ministero dei Beni Culturali con cui il massimo organismo internazionale in materia scende in campo per salvare il sito archeologico. Le formule ufficiali sono «collaborazione istituzionale e assistenza tecnica», ma la sostanza è che caso unico al mondo l’Unesco si occuperà in prima persona di un «patrimonio dell’umanità», svolgendo un ruolo che generalmente gli Stati sono in grado di esercitare da soli. «Niente scandalo né gelosie, in tanti campi l’Italia ricorre al “podestà straniero” spiega il sottosegretario Riccardo Villari -. Non ci sarà ingerenza nelle nostre prerogative, solo un rapporto più stretto».
Se non si tratta di «commissariamento» (come anche nel ministero si temeva), poco manca. Anche perché non è stata l’Italia a chiedere aiuto. L’idea è emersa nel corso dei colloqui che Unesco e ministero hanno avviato dopo i crolli di un anno fa. Il prestigioso organismo con sede a Parigi si è mosso subito dopo il cedimento della Scuola dei gladiatori, manifestando «profonda preoccupazione» e inviando una «missione di esperti» per valutare «lo stato di conservazione» di Pompei. Gli archeologi hanno redatto un duro rapporto, esprimendo «profondo rammarico» per la gestione del ministero e inviando a Roma una lista di raccomandazioni stringenti per evitare il declassamento dalla lista dei World Heritage Sites, in cui è stato inserito nel 1997. Infine, l’Unesco è intervenuta su richiesta degli imprenditori francesi disposti a donare fino a 200 milioni di euro per salvare Pompei, mettendoli in contatto con lo Stato italiano.
Il nuovo accordo, che secondo Villari «impedisce che il cartellino giallo dell’Unesco diventi rosso», va incontro alle richieste degli industriali francesi di precise garanzie su destinazione e procedure di utilizzo dei fondi che sono intenzionati a mettere a disposizione. Sin dai primi abboccamenti, la cordata transalpina ha chiarito: niente soldi a fondo perduto, niente cambiali in bianco, vogliamo un piano di intervento dettagliato altrimenti non mettiamo un euro. Ma il piano non c’era e i tempi si sono allungati. La presenza dell’Unesco garantisce che il ministero si adegui alle prescrizioni di tutela del dossier dell’organizzazione, con inevitabile sollievo francese.
L’intervento del «podestà straniero» (mutuando la definizione di Mario Monti) anche nel campo dei Beni culturali giunge dopo il nuovo e annunciato crollo di venerdì. Evento in sé di relativa gravità (i muri di Pompei si sgretolano come in ogni altra città), ma scoraggiante se contestualizzato. Tutti Unesco, soprintendenza, archeologi, ministero sapevano che alle prime piogge autunnali sarebbe accaduto. Il dramma, come sottolinea l’Associazione nazionale archeologi, è essere arrivati a fine ottobre senza aver combinato nulla.
Un anno dopo il crollo della Schola Armaturarum definito dal capo dello Stato Giorgio Napolitano «una vergogna per l’Italia», nessun piano straordinario di tutela è stato avviato. Al di là degli annunci e dell’attesa messianica su 100 milioni di fondi europei ancora da sbloccare, non un solo euro è stato stanziato e in compenso a Pompei sono stati sottratti 5 milioni (20% del bilancio) per ripianare i debiti del Museo di Capodimonte di Napoli. Nemmeno un tecnico dei 26 necessari (e 170 sbandierati) è stato assunto per lavorare su 65 ettari di scavi in cui opera un solo archeologo e l’ultimo mosaicista, mai sostituito, è andato in pensione dieci anni fa.

La Stampa 24.10.11