attualità, politica italiana

"Il libro dei sogni", di Massimo Giannini

Il «libro dei sogni» di un premier che non fa più sognare. Il manifesto di politica economica di un governo che non può più governare. Il piano anti-crisi, illustrato da Berlusconi alla Ue, dissolve i sorrisi ironici di Sarkozy e della Merkel. Ma non risolve i problemi drammatici del Paese. Né sul fronte interno, né sul fronte internazionale. L´Europa chiede decreti legge. L´Italia offre pezzi di carta. L´Europa invoca misure concrete. L´Italia evoca promesse future. Con la sceneggiata di Bruxelles, il Cavaliere compra un po´ di tempo. Ma il tempo, ormai, lavora contro di lui.

La lettera inviata ai partner europei sembra l´ultimo atto di un governo morente. Per tre anni e mezzo ha dissipato e tirato a campare, nell´inedia e nell´accidia. E ora, nel suo crepuscolo dannunziano, tenta il «gesto inimitabile», la «bella morte». In quelle undici cartelle c´è infatti un compendio di intenzioni magnifiche e di provocazioni ideologiche. C´è l´elenco minuzioso delle solite «cose fatte» (e puntualmente inattuate, dalla pseudo-riforma Gelmini alla pseudo-riforma Brunetta) e la lista puntigliosa delle cose da fare (e colpevolmente mai realizzate, dalla riforma delle professioni alle privatizzazioni). Ma non c´è l´intervento che più di ogni altro avrebbe fatto recuperare credibilità al governo italiano, cioè un aggiustamento convincente sulle pensioni d´anzianità, magari con il passaggio al sistema contributivo per tutti. Sulla previdenza, viceversa, non c´è nulla, se non la «truffa» del «requisito anagrafico… pari ad almeno 67 anni per uomini e donne nel 2026». Un risultato già previsto dalla legislazione vigente, ed anzi addirittura lievemente peggiorativo rispetto alle stime.
Le intenzioni magnifiche sono quelle più neutre per il consenso politico: il risanamento dei conti, il pareggio di bilancio nel 2013, la ricostituzione di «un avanzo primario consistente», la creazione delle «condizioni strutturali favorevoli alla crescita». Peccato che questi obiettivi, alla luce di quanto è accaduto dal 13 aprile del 2008 in poi, non sono più credibili. Non è credibile l´obiettivo di un abbattimento del debito pubblico al 112,6% del Pil nel 2014, dopo che in questi tre anni e mezzo il governo lo ha fatto crescere dal 113,7 al 120%. Non è credibile un avanzo primario al 5,7%, dopo che in questi tre anni e mezzo il governo lo ha polverizzato dal 3,8 allo 0,2%. Non è credibile, soprattutto, l´ennesimo «piano d´azione per la crescita», promesso alla Ue «entro il 15 novembre», dopo che Tremonti aveva annunciato il «tagliando alla crescita» il 7 settembre, varato il primo «decreto-scossa» il 2 febbraio e il secondo «decreto sviluppo» il 5 maggio. Fiumi di parole, finti incentivi alle imprese, crediti d´imposta fasulli, semplificazioni di facciata, Piani Sud e Piani Casa venduti e rivenduti.
Le provocazioni ideologiche sono quelle più «abrasive» per il consenso sociale. La lettera ipotizza «entro il maggio 2012» una minacciosa «riforma» imperniata su «una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato». Dopo la sostanziale sconfitta subito sull´articolo 8 della manovra d´agosto (neutralizzata dal successivo accordo bilaterale tra le patti sociali) il governo cerca una rivincita, riproponendo una norma che aggira i limiti ai licenziamenti fissati dall´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non solo. La lettera azzarda anche «la mobilità obbligatoria del personale» e «la messa a disposizione con conseguente riduzione salariale del personale».
Qui c´è il vero paradosso di questo declino berlusconiano. Flessibilizzare il mercato del lavoro, rendendo più facili i licenziamenti nel settore privato e introducendo la mobilità e la Cassa integrazione nel settore pubblico, è oggi un impegno quasi proibitivo per qualunque governo. Lo si può fare sull´onda delle pressioni del Direttorio franmco-tedesco, che chiede sacrifici ai Paesi più deboli dell´Eurozona ma che può comunque contare su un suo solido sistema di Welfare e di assistenza per chi il lavoro lo perde o non lo trova. Lo si può fare sull´onda delle sollecitazioni della Bce, che nella famosa missiva del 5 agosto al governo italiano chiedeva esattamente questo, salvo sollecitare anche la contestuale introduzione di «un sistema di assicurazione della disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e i settori più competitivi».
Ora il governo italiano si dichiara pronto a raccogliere questi inviti. Ma solo nella parte più distruttiva (la libertà di licenziare per le imprese) e non in quella più costruttiva (il diritto a veri sussidi di disoccupazione per i lavoratori). È una scelta irresponsabile: non può non suscitare la dura e immediata reazione dei sindacati e delle opposizioni. Ma è soprattutto una scelta insensata: un governo che non ha più una base politica e che ormai sta perdendo anche quella parlamentare, può mettersi contro l´intero schieramento dei corpi intermedi della società italiana, dalla Confindustria ai sindacati alla Chiesa cattolica?
Molte delle misure annunciate nella lettera di Berlusconi sono inique e sbagliate. Molte altre sarebbero opportune e necessarie. Come avverte il Capo dello Stato, «servono decisioni urgenti e anche impopolari». Il vero problema è che il rito si celebra fuori tempo massimo. Un programma come quello spiegato dal Cavaliere ai capi di Stato e di governo di Eurolandia avrebbe avuto un senso il 14 aprile 2008, il giorno dopo il trionfo elettorale che consegnò a Berlusconi la più larga maggioranza della storia repubblicana. Un progetto tosto, da vera destra thatcheriana, pronta a reggere l´urto delle piazze perché cementata da un impianto politico-culturale compiuto e condiviso. Lanciarlo oggi – con una coalizione devastata dagli scandali di Berlusconi, logorata dagli sbadigli di Bossi e azzoppata dalla delegittimazione di Tremonti – è una mossa disperata e velleitaria. Sembra solo un modo per cadere sul campo, fingendo di combattere oggi la «buona battaglia» che non si è avuto la forza e la voglia di combattere tre anni e mezzo fa.
Quale Consiglio dei ministri tradurrà in decreti tutti gli impegni scritti sulla lettera? Quale Parlamento li tradurrà in legge? Mentre il Cavaliere declamava il suo piano anti-crisi al direttorio europeo che l´ha ormai «commissariato», alla Camera la sua maggioranza si liquefaceva per la novantaquattresima volta dall´inizio della legislatura, su due provvedimenti minori. Mentre il Cavaliere tediava l´uditorio di Bruxelles riparlando di bunga bunga e toghe rosse, il rendimento dei Bot all´ultima asta cresceva oltre la soglia di guardia. È la prova più tangibile, ma anche la più amara, della strage delle illusioni berlusconiane.

La Repubblica 27.10.11