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"Silenzi, prestiti e favori: così Berlusconi ha pagato le Olgettine e i fedelissimi", di Carlo Bonini e Piero Colaprico

Inchiesta Verdini, 17 milioni dal conto privato del premier. Gli inquirenti hanno seguito il filo di un maxi versamento a Dell’Utri. Tra i beneficiati la segretaria Brambilla, Querci e Sciascia. Come fantasmi di cui non riesce a liberarsi, le “cene eleganti”, le “bambine”, i legami con rottami di un passato che non passa (Tangentopoli, la vicenda Mangano), afferrano di nuovo il Presidente del Consiglio. Ripropongono l’abisso di una “dipendenza sessuale” costata a Silvio Berlusconi, in soli 18 mesi (gennaio 2007-giugno 2008), 17 milioni di euro in contanti. Ma non solo. Documentano legami che si sapevano di stima (quelli con la fidata segretaria Marinella) e non anche a sei zeri. E questa volta lo svelamento, dopo Milano, è della Procura di Firenze.

In un’indagine appena chiusa con il deposito di 65 mila pagine. Incardinata nell’accusa a Denis Verdini, coordinatore nazionale Pdl, di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. E con al centro la sua banca, il “Credito Cooperativo Fiorentino”, oggi commissariato, dove questa storia ha inizio.
Il 22 maggio del 2008, il senatore Marcello Dell’Utri, correntista del “Credito”, banca nei cui confronti ha accumulato, con il placet di Verdini, un’esposizione insostenibile (circa 7 milioni di euro), riceve un bonifico di 1 milione e mezzo di euro.

La somma, che deve aiutarlo a mettere una toppa, è importante, quanto il conto da cui proviene. E’ il numero 1.29, acceso presso la filiale di Segrate del “Monte dei Paschi di Siena” ed è intestato a Silvio Berlusconi. Quel conto non è nuovo, né alla magistratura, né alle cronache. E’ stato oggetto delle indagini della Procura di Milano, alla ricerca di riscontri nella vicenda di Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori. E lo è stato per il biennio 2009-2010. Ma i pm di Firenze hanno per le mani un bonifico del 2008 e dunque chiedono al Ros dei carabinieri di percorrere a ritroso la storia di altri 18 mesi di quel conto.

Ecco allora (per come lo documentano due note investigative del 21 marzo e 1 agosto scorsi) cosa ne viene fuori.

16 milioni per “Spino”
Cominciamo dal ragionier Giuseppe Spinelli, detto “Spino”, che tra “prestiti infruttiferi” e assegni a lui intestati, cambia in contanti per conto di Silvio Berlusconi, suo datore di lavoro, non meno di 16 milioni, 966mila e 752 euro. Quasi sempre si tratta di somme tra i 200 e i 400mila. Con qualche eccezione. Oltre un milione nel luglio 2007, l’estate delle feste in Sardegna; un milione e 300 mila l’8 aprile 2008, proprio durante le elezioni, e un milione e 400mila il 4 giugno di quello stesso anno, quando deve avere la maggioranza al Senato.

Dove finiscono questi contanti?
E’ un fatto che alla voce “prestiti infruttiferi” il conto “Mps” di Berlusconi documenta bonifici importanti alla sua “cerchia stretta”. Un milione e 900mila arrivano in due diversi momenti all’ex segretario Niccolò Querci. Mezzo milione all’ex ragioniere Fininvest ed ex ufficiale della Finanza Salvatore Sciascia, arrestato durante “Mani pulite”, condannato in Cassazione per corruzione, ora senatore Pdl. Un milione e 400mila, il 17 aprile 2008, sono per Marinella Brambilla, la fidatissima assistente, quella che custodisce il canale preferenziale del Presidente con Valter Lavitola. Appena 60 mila al medico catanese Umberto Scapagnini. Tre milioni vanno a Giuliana Speziale (l’infermiera che aveva assistito “mamma Rosa”) e Angelo Tordera, impegnati in una robusta operazione immobiliare.

48 milioni a “Paolo”. Uno strano dare-avere
C’è del grano – e parecchio – anche per il fratello Paolo, editore. In varie tranche, Silvio gli bonifica 48 milioni di euro come “finanziamento per conto azionista”. Mentre un altro “dare-avere” è un po’ speciale. Berlusconi, infatti, il 28 febbraio 2008 accredita un milione e mezzo all’immobiliarista Renato Della Valle (identificato dal Ros come l’uomo che si ascolta nella celebre telefonata del 1988 sulla assunzione ad Arcore dello stalliere mafioso Mangano). Lui, gliene restituisce il 9 aprile più di metà (800mila). È l’unico che “dà”. Il che ricorda un solo altro caso simile nella storia giudiziaria del premier: quando dal conto di Bettino Craxi tornano nella galassia “All Iberian” cinque dei quindici miliardi di lire ricevuti. Già, l’ex segretario del Psi. Un ricordo che il Presidente continua ad onorare (l’11 luglio 2007, accredita alla “Fondazione Bettino Craxi” 200mila euro).

2 milioni e 700 mila per le papi-girls
Per carità, sempre meno di quanto meritano alcune delle papi-girls. Per dirne una, a Evelina Manna arrivano 700mila euro. Qualcuno forse ricorda che nel giugno del 2007 Berlusconi la “caldeggia” al direttore generale della Rai Agostino Saccà: “Sto cercando di aver la maggioranza in Senato, questa Evelina Manna (…) mi è stata richiesta da qualcuno con cui sto trattando”. E qualcuno ricorda anche, forse, che lei, di soldi non ha mai parlato. Piuttosto, di notti “a seggiolina, stretti stretti”, con un Berlusconi profumato nel respiro da “una mentina o una caramella Iodosan”.

Di ragazze che conoscono molto del premier il conto “Mps” 1.29 è pieno nella colonna “dare”. Alla russa Raissa Skorkina, casa in via Olgettina, vanno 135mila euro dal 18 gennaio 2007 al 21 febbraio 2008. Ad Albertina Carraro, rampolla della ricca borghesia milanese, figlia di Franco, al centro di un clamoroso divorzio nei panni dell'”altra”, Berlusconi accredita 300mila euro. A Isabella Orsini, attrice umbra e principessa per matrimonio (sposa in Belgio il principe Edouard Maloral de Ligne), piovono in cinque rate 275mila euro. Alla valletta del “Lotto alle otto”, Rasa Kulyte, ex miss Lituania, per le amiche di palazzo Grazioli e di Arcore semplicemente “Giada”, toccano 220 mila euro e, come si sa, compensi da star alla Rai di Mauro Masi.

Altre prendono o si “accontentano” di meno. L’ex annunciatrice tv Virginia Sanjust, che si dirà “devastata” dall’incontro con Berlusconi, arrivano 150mila tondi. Stessa cifra che incassa chi ha sempre smentito “relazioni”: la cantante sarda Cristina Ravot.

Le giornaliste, le macchine i gioielli
L’elenco non finisce quei. In una folla di nomi più o meno noti – Friederike Girth 130mila; Valentina Frascaroli 40mila; Angela Sozio 38mila; Alessandra Sorcinelli e la maggiorata Natalia Bush 20mila; Claudia Galanti 10mila; l’ex segretaria e poi giornalista del Tg4 Impiglia 50mila; come pure Imma Di Ninni, vincitrice di “Uno, due tre stalla”, e la brasiliana Renata Teixeira Nune, spogliarellista tv per il Milan – meritano una citazione speciale in tre. Julia Coque Espino, sinora sconosciuta, che prende 200mila; Barbara Matera, ora euro-parlamentare, ma non all’epoca dei versamenti, con 95mila euro; la scrittrice Michelle Nouri (10 mila), autrice di una celebrativa intervista al Premier per il periodico “Tempi” nel 2007.

Una postilla. Il conto 1.29 alimenta anche il concessionario d’auto (236 mila euro) e il gioielliere di via Montenapoleone (337 mila) che rifornisce le mantenute. Ma, come si sa, erano solo “cene eleganti”.

La Repubblica 27.10.11

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“Da ‘agendare’ a ‘zuppa di latte’ il nuovo alfabeto di Lavitola”, di Francesco Merlo

L’Italia dello strapotere nel nuovo linguaggio del faccendiere. La parola chiave è “cazzo”, quella che surroga tutti i significati, che copre la mancanza di senso. C’è il comparaggio e anche un manifesto della ribalderia nella “caccia grossa” del generale Poletti. Da “Agendare” a “Zuppa di latte” ecco il lavitolese, lessico di un’Italia gradassa e truffaldina che non aveva rappresentanza prima di Berlusconi ma stava ai margini, tenuta a bada sia dalla buona educazione sia dalla forza pubblica. Adesso è l’Italia al potere, l ‘Italia dello strapotere.

AGENDARE “Ti prego, agèndami”. Essere ricevuto, essere infilato nell’agenda è la sua ossessione. Appuntata nell’agenda è infatti la faccenda, agendiere e faccendiere sono parenti stretti e l’indaffarato è sempre agendato: i latini ago e facio più che sinonimi sono gemelli.

AMO’ Una locuzione che dalla Roma di Vigna Clara e dai Parioli è trasmigrata sino alle ultime fermate della metropolitana. Sta per “amore”, gioia, piccolina, bella…: copre il genere femminile. Con “vero tesoro” invece ringrazia anche Paniz per avere segretamente scritto la traccia del lodo Alfano. Il retrogusto protezionista-paternalista di amò è da presa per i fondelli e l’abbondanza di sentimenti nasconde sempre la truffa: Tarantini diventa anche “fratellino” e “piccolino mio” mentre Lavitola trattiene i suoi soldi e si intrattiene con sua moglie.
Andare a Torta Spartirsi un finanziamento pubblico.

ARMI “Sto andando a fare le foto per il porto d’armi. Sono emozionato”.

BACIONE Ci risiamo con il bacio, che in Italia è il rituale del comparaggio.
C’è stato il vasa vasa pubblico di Cuffaro e il bacio segreto di Andreotti a Riina. L’accrescitivo “un bacione” sarà per sempre quello di Lavitola a Berlusconi.

BECCACCE “Qui non vola una penna”. Va a cacciarle in Albania “con l’aereo privato”, nel Montenegro …, “ma è più bello sui Nebrodi”. Gli piace sparare anche ai camosci ma preferisce le beccacce che “volano sui boschi di tamerici”, quelle della Pioggia nel pineto, perché sono anche metafore, sono i citrulli che infila nel carniere.

BERTONE “Ieri sera mi ha chiamato Bertone”. La stranezza non è la mitomania di Lavitola ma il fatto che più grosse le spara e più gli credono. E più si meraviglia di essere creduto più si eccita: il nome Bertone è adrenalina. Sa che il Vaticano non è Palazzo Grazioli: lì anche gli imbroglioni sono ben più elevati di grado, al livello dello Spirito Santo.

BRASILE È il suo altrove: affari, fatture, intrallazzi, donne e fuso orario. E va bene anche il Paraguay, l’Argentina, il Panama, l’Uruguay (vedi). Sono i luoghi della satrapia sudata. È quel “Sudamerica” che già Paolo Conte aveva segnalato come nuovo sottofondo dell’anima gaglioffa dell’italiano piccolo piccolo: “Il giorno tropicale era un sudario / davanti ai grattacieli era un sipario / campa decentemente e intanto spera / di essere prossimamente milionario”.

CACCIA GROSSA Resterà nella piccola storia dello slang dei malintenzionati questo manifesto da filosofo teoretico della ribalderia recitato al generale della Finanza Poletti: “Io faccio caccia grossa e quando sparo a un animale pericoloso, pure se è caduto a terra, gli sparo un’altra volta. Poi gli metto la canna del fucile vicino all’occhio per vedere se si muove. E poi gli risparo un’altra volta pure se è morto”.

CARTELLINA Una per ogni pasticcio, quasi sempre azzurra. Può trattarsi di “una baracca”, di “una piscina”, ma anche: Albania, Bertolaso, Finmeccanica, Frattini, Guardia di Finanza, Rai, Tarantini, affari, ricevute, promemoria del faccendario, “non mi ricordo cosa c’è”, “mò mi ricordo che ce l’ho sicuramente in ufficio”, “una copia a me e una copia a te”. La cartellina è anche il deposito della minaccia. Nel casellario dei vizi umani di cui Lavitola è un esperto la cartellina è il sapere. E, dunque, il potere.

CAZZO È la parola chiave del lavitolese, quella che surroga tutti i significati. Ecco come riferisce ai Tarantini un colloquio con Lui: “E Lui mi fa ‘ma che cazzo dobbiamo fare’, io ho detto che ne so, ‘ma non ho capito perché cazzo gli stiamo facendo tutto’, presidè non gli stiamo facendo un cazzo, e lui dice ‘come un cazzo’, … guarda io mi sono rotto i coglioni”. Come si vede, non c’è alcun senso. Ma c’è la parola cazzo che copre la mancanza di senso.

CULOSO Fortunato. In stato di grazia. “Perché sono culoso?” gli chiede l’interlocutore. “Perché hai me”

DUE “Porco due”. E aggiunge: “Non mi fare bestemmiare”. Anche nella bestemmia è furbo. Lo nomina invano fingendo di non nominarlo.

EMIRATI ARABI Parlano due collaboratori di Lavitola: “Una procura la signora (omissis) la ottenne negli Emirati Arabi. Si interessò Valter tramite Frattini, fece tutto quel casino, che prima il console aveva detto no e poi gliel’ha firmata il giorno dopo”. C’è sempre un Frattini, sia per le resistenze nei paesi lontani sia negli incontri con il vicepremier albanese: “mi manda Frattini” , “mi manda Lavitola”.

FARE IL PUNTO Significa “parlarne di persona”, meglio “in quel bar, vicino alla stazione, in via Marsala”, che è la strada della fretta, della folla e dei tassisti abusivi. James Bond o James Tont?

FERRARI A Tarantini racconta che Berlusconi si è lamentato: “Tarantini consuma come una Ferrari”. Tarantini piagnucola, ma Lavitola è spietato: “E cosa gli devo dire, che consumi come una ‘500’?”.

FOTO Sono le stecche, le mazzette, il bottino, il danaro contante che gli dà Berlusconi. “Sono pronte le foto?” chiede a Marinella.

GIUDICI Bisignani, collega e rivale, è “fetente, stronzo, pezzo di merda, una mezza figura, una testa di legno, uno che ha parlato con i giudici, e questa – dice a Tarantini – è la stronzata che hai fatto anche tu. Quando uno va dai giudici e parla, poi se la piglia solo nel culo”. È il linguaggio della mafia, manca solo “cornuto, infame e sbirro”.

INCULATA La pratica più evocata. Può essere “di pezza”, “storica”, “di brutto”, “di merda”, “biblica”. La teme per sé e la dispone per gli altri.

IO NON CONTO UN CAZZO È il suo vezzo e il suo blasone, lo dice a Masi, a Colucci, a Marinella e a Berlusconi. È un trucco retorico: “Donatino, non mi dire che ti sei ricordato di gente insignificante come me”. La risposta è: “Valterino, non fare lo stronzo”. E ancora: “Ah Valter, non ti dare arie”. L’espediente teatrale si chiama fishing for compliments e significa andare a pesca di complimenti, perfetto per chi vende fish, per un pescivendolo.

LAGONEGRO È il luogo dello scambio misterioso alle 7.20 del mattino. Potrebbe trattarsi di fucili, cani da caccia, foto in contanti, triglie dell’Aspromonte, copie dell’Avanti!

LUI Con Tarantini diventa “Quello là”. E ancora: “Lo teniamo sulla corda”, “lo mettiamo con le spalle al muro”. È pronome il capo dei capi, il duce, il boss, l’origine e lo scopo. È pronome chi non bisogna nominare, per rispetto e per omertà. “Non riesco a parlare con Lui, quant’è incasinato, “sto parlando con Lui a ripetizione”, “sono appena uscito da Lui”, “dobbiamo fare riflettere Lui”, “finalmente oggi Lui mi ha detto: dobbiamo vede’, dobbiamo fa’”, “non sta lucido, Lui”, “Lui mi ha detto, testuali parole, che ‘vuole assaltare il palazzo di Giustizia’”, “ti voglio dire delle cose di Lui, e magari Lui me le dice pensando che io poi te le dico”, “in questo periodo Lui non ci sta con la testa”, “sta appannatissimo, Lui, e ci vuole uno che lo fa ragionare”, “Lui è completamente fuori dalla brocca”, “sono stato mezzora al telefono con Lui, un po’ dice sì e un po’ dice no, Lui è fuori di sé”.

MALEDIZIONE DEL FARAONE È il mal di gola di (omissis), un dipendente che “ogni due e tre è malato”: “sto provvedendo a licenziarlo”, “‘sto deficiente di merda”, “‘sto imbecille”, “ogni mese si ammala, ogni giorno ha una stronzata”, “ha mandato un sms la mattina di giovedì: ‘non ce la faccio ad alzarmi'” “è come la maledizione del faraone” . Forte con i deboli, lavitoloso con i forti.

MASERATI Ne ha due, ne vuole una terza. È il sogno più significativo e imbarazzante di Lavitola perché, diciamo la verità, bisogna essere ricchi ma anche burini per andare in giro per Roma su una Maserati. Nobilissima auto sportiva di gran lusso è degradata qui ad orpello del faccendiere di provincia. Un po’ come la Bianchina divenne l’auto di Fantozzi, la quattro porte executive è l’auto di Lavitola ma con lo sconto perché “sono un consigliere di Berlusconi”. A Mauro Masi invece l’ha regalata Montezemolo per ricompensarlo di un favore: Masi-rati. È comprensibile che alla Maserati siano molto arrabbiati. Negli Usa la famosa Abercrombie&Fitch ha diffidato l’attore Mike Sorrentino dall’indossare i capi della ditta. Sorrentino è protagonista di ‘Jersey Shorè nel ruolo del tamarro (o coatto o buzzurro o zarro) italo americano. Alla fine Sorrentino è stato addirittura pagato per stare lontano da quel marchio. La Maserati è pronta a pagare Lavitola e Masi? E anche Montezemolo?

MERDA “Più merda c’è meglio è”. Rende Lavitolapiù vivo e più forte. La trasforma infatti in plusvalenze finanziarie e in rapporti industriali con le aziende Finmeccanica, Agusta, Selex, Telespazio, la Rai…

MINISTRO È la parola – grimaldello della vanità altrui: chiama ministro chi non lo è, ma sogna di diventarlo. Nicola Cosentino, per esempio. E a Masi: “Ci lavoriamo, lascia quel merdaio dove ti sei ficcato e vai a fare il ministro”. È come il titolo di colonnello nei film di Totò: “Ma io non sono colonnello!”, “La faranno, oh se la faranno!”. Chiede Masi: “Tu dici che me lo fa fare? “Qualunque cazzo gli chiedi Lui te lo fa fare”.

MONGOLFIERA “Io gli ho detto – spiega a Tarantini – che a te ti do 8.000 euro al mese, mentre invece te ne do 14, più tutti gli extra … fitto già pagato, più l’avvocato, più quello, più le emergenze che tieni. ‘Tu sei impazzitò mi ha detto Lui”. E anche i 500mila euro “perché credi che te li ha dati? Perché io gli ho fatto due palle come una mongolfiera”.

OLIO DI FEROBBA “È un olio brasiliano che lucida la faccia tosta”. “Ho capito, buono per incularmi”. “Eh no, per quello ci vuole il trapano”.

OGNI SCARPA DIVENTA SCARPONE Lo dice di Bonaiuti che si dà arie da statista. È la versione sarcasticamente lavitoliana del dantesco “Poca favilla gran fiamma seconda”.

POMPA “Io sinceramente non credo che ci sia una donna al mondo che se lei le telefona e le dice “vieni qua a farmi una pompa”, quella non viene correndo”. Così solletica il punto debole di Berlusconi. E lo spolpa.

POSITANO-ISCHIA Sono i luoghi-vetrina. “Col prefetto di Salerno hai rapporti?”. E il senatore Esposito: “Certo”. “Dunque io ho un vicino…”. C’è sempre un abuso da sanare o una casa da comprare. Sono i templi di visibilità del napoletano arrivato. Ma non c’è Capri, che forse gli mette soggezione.

PATONZA “Io non c’entro nulla con le feste, non sono mai stato invitato”. Marca la differenza, Lavitola. Non è uomo da patonza. Non va a mignotte ma seduce la donna del mignottaro che ha sotto tutela.

POVERINO Lo ripete parlando di sé, è un intercalare. La filosofia è quella del “Vuoi stare bene? Lamentati”.

RUOLO “Il mio è un ruolo, tra virgolette, di assistenza”.

SCEMO “Io non sono scemo” ha ripetuto Lavitola in tv. E “Berlusconi è tutto tranne che scemo”. Di Tarantini invece: “È un poco fesso”. Passare per scemo è il suo terrore. Per grazia fisiognomica Lavitola ha le sopracciglia unite e la faccia dell’intelligenza istintiva alla Bertoldo, della furbizia primitiva, bandiera degli spavaldi ribaldi e ricchi del berlusconismo, quelli che gli scemi siamo noi. Lo scemo è Cipputi e non Sacconi, lo scemo è il professore Biagi e non Scajola, lo scemo è il contribuente e non l’evasore, lo scemo è il drogato e non lo spacciatore, lo scemo è il pesce e non il pescivendolo. Ecco il mondosottosopra.

SOTTOSEGRETARIO “Lo so, lo so, avrà messo uno… uno a come si chiama, alla Santanché; e uno a Storace; e un altro, chi lo sa?, speriamo che volesse fà a me, boh”.

SUPPOSTA L’oggetto lo intriga forse perché è il feticcio di chi sa introdursi, e lui è bene introdotto. La propone a Maria, a Daniela, alle segretarie …: “Mò vengo, ti do una bella suppostina e ti guarisci”

STAMPA “È il vero problema di questo cacchio di paese”.

TRANQUILLO È il telefono che non può essere intercettato. “Hai visto che avevo ragione?” gli dice con amarezza Berlusconi rinfacciandogli le intercettazioni. ” Il mio maresciallo mi ascolta” dice e ricorre alle schede esotiche e tranquille, quelledei malavitosi: “Le passo il presidente Berlusconi”, “no, no, un momento, lo richiamo io tra due minuti”.

URUGUAY “Stanno in un conto chiuso in Uruguay” i 500mila euro che Berlusconi gli ha dato per Tarantini. Gli dice di tenerli lì “per il tuo futuro, per l’emergenza” (vedi anche Brasile).

VALTERINO Nella memoria degli italiani ci sono Walter Chiari e Walter Veltroni, entrambi con la W, che è una doppia V. Lavitola è il Valter con una sola V. È il surrogato italianizzato, come Ilary lo è di Hilary, come il faccendiere lo è del lobbista e del brasseur d’affaires. Ha nel nome l’incompiutezza metafisica: Machiavelli, editore, pescivendolo, ministro, “gli chiedo le deleghe di Gianni Letta”. È l’ambizione di chi ha una sola “V” e per tutta la vita insegue l’altra.

ZUPPA DI LATTE. Il contrario del celodurismo: “Se solo me lo chiedi vuol dire che mi consideri una zuppa di latte come a te”.