ambiente

"Il presepe violato di Monterosso", di Michele Serra

Le Cinque Terre sono una specie di iperLiguria, un concentrato stupefacente di quello che questa costa verde e profumata è stata lungo i secoli, prima che le seconde case e gli insediamenti industriali la scempiassero per quanto è lunga. A parte il mare, ogni cosa è piccola, preziosa e rubata al monte.
Guardando dalla barca, la presenza umana appare minuziosa e delicata come un intarsio. Come se le case e la ferrovia, i tunnel e le strade, i paesi e i porti avessero scelto di non imporsi al paesaggio, e piuttosto di aderirvi, di assumerne la forma.
Nei paesi dalle case variopinte che oggi stentiamo a riconoscere, coperti di fango, ci sono piazze grandi come camere, dove il pubblico e il privato, l´ingresso delle case e i tavoli dei bar, non hanno separazione visibile, confine percepibile. E le strade sono budelli che si arrampicano sopra e sotto le case, e al posto delle automobili circolano i profumi di rosmarino e focaccia, salmastro e pesce fritto. A Tellaro (appena più a Est, oltre La Spezia) la piazza minuscola è anche banchina del porto ed è anche terrazza di una casa privata, la pietra è la stessa per i pochi bagnanti stesi al sole, per i gerani, ci ho visto convivere tranquilli perfino cani e gabbiani. In molti tratti di Liguria lo spazio da abitare è così ridotto che o ci si abbaia l´un l´altro, anche tra umani, o ci si affida docilmente alla convivenza, e si diventa in qualche maniera comunità.
Sopra i paesini le Cinque Terre sono un mondo vasto di foreste e di sentieri, di profumi e di solitudine, i camminatori sono parecchi ma difficilmente diventano massa dove non ci sono funivie a scaricarli come un gregge: e questi sono posti impervi, scorbutici, o li guadagni in barca o sudando parecchio, a piedi e in bicicletta. La fatica – per fortuna – fa da vaglio severo agli eccessi del turismo di massa. Di notte la rarefazione delle case e delle luci rende ancora profondo il buio, abbastanza profondo da vedere le stelle brillare.
Amare le Cinque Terre e frequentarle significa anche prendere atto, per contrasto, della catastrofe che la più spietata alluvione di tutti i tempi, quella del cemento, ha prodotto a est e a ovest, oltre La Spezia e verso Genova. E poiché è al cemento che si imputa di avere trasformato ogni vallone e ogni lungofiume ligure in un cannone d´acqua e fango puntato contro le città e le case, ci si domanda come sia stato possibile che l´alluvione abbia colpito così duramente proprio il lembo di Liguria meno cementificato, e più integro.
A parte l´eccezionale potenza della tempesta, un forte indizio viene dal presidente della Regione, Claudio Burlando: «Questa volta il colpevole non è ciò che l´uomo ha fatto, ma ciò che l´uomo non ha fatto». Non il cemento, dunque, ma l´abbandono al suo destino di un territorio così forgiato dall´uomo da non potere più fare a meno della sua mano, della sua presenza costante. Le Cinque Terre così come sono (e torneranno a essere, una volta vinto il fango) non esistevano, così come non esisteva la Liguria, prima che generazioni di contadini le erigessero pietra su pietra e terrazza su terrazza, migliaia di chilometri di muri a secco, migliaia di ettari ritagliati sulle pareti scoscese, vigna e olivo da curare, e canali di scolmo da pulire, fossi da mantenere pervi, boschi da rastrellare. In pochi altri posti al mondo il paesaggio e la natura sono il risultato di un così paziente artificio.
L´abbandono progressivo dei campi, dei crinali, della montagna (ci sono zone dell´Appennino dove la popolazione è passata da cento a dieci) non ha rappresentato solo una repentina mutazione antropologica e sociale, in Liguria come in tutta Italia. Ha indebolito a morte il territorio, rendendolo sempre più esposto agli squassi del clima, meno sorvegliato, più vulnerabile.
È come se l´Italia fosse divisa, a macchia di leopardo, in due differenti Paesi: uno sopra il quale accanirsi a oltranza, quello edificato (ben più esteso di quello edificabile). L´altro da abbandonare al suo destino, quello agricolo, ex agricolo e boschivo, quello che non promette lucro a breve o medio periodo, quello che si pretende esista e resista senza che lo sguardo e le cure dell´uomo lo considerino. E si vendica vomitando fango, mangiandosi il reticolo di fossi che lo innerva e lo preserva, smottando, affogandoci come formiche.
Nel frattempo, proprio mentre il terreno perde forma e l´uomo smette di progettarlo e proteggerlo (i due verbi, oltre che assonanti, sono in questo caso quasi sinonimi…), la tropicalizzazione del clima aggrava gli effetti dell´incuria. Lunghi periodi di siccità (a Nord Ovest non pioveva da tre mesi…) induriscono il terreno, specie quello incolto, gli impediscono di trattenere l´acqua assorbendola. Buon senso e buona politica vorrebbero che la sola Grande Opera che l´Italia riconosce urgente, vitale per il suo futuro, è il governo del territorio, la messa in sicurezza di tutto ciò che scivola, frana, si sgretola. I drenaggi, la pulizia dei fiumi e dei greti, il rinforzo degli argini (in Liguria se ne sono visti friabili come grissini), la manutenzione dei fossi che sono il minuto, umile sistema venoso della terra: ecco qualcosa di dettagliato e insieme enorme, “local” e “global” nello stesso tempo e nella stessa fotografia aerea, che cambierebbe in meglio non solo lo stato fisico del paese, ma le sue condizioni psicologiche, la percezione di se stesso come è veramente, metro per metro, valle per valle, paese per paese, bosco per bosco.
Pochi pezzi d´Italia come le Cinque Terre riescono a dare il senso dello splendore e della delicatezza di un paese che non ha la sua identità paesaggistica nelle grandi estensioni selvagge, nella natura libera da ogni vincolo; ma nello stretto intreccio tra natura e presenza umana, tra il corso della natura e il lavoro dell´uomo. Tutto, nelle Cinque Terre, suggerisce la necessità della cura, dell´attenzione, della fatica (anche intellettuale) che serve a far sopravvivere la vigna tra le rocce, e gli uomini sopra e sotto gli strapiombi. Ma è una fatica che siamo ancora in grado di affrontare, non solo come classe dirigente, dico proprio come cultura diffusa, come idea corrente del nostro paese?

La Repubblica 28.10.11

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“Una grande alleanza per salvare il paesaggio”, di CARLO PETRINI

«Dopo i campi di sterminio, stiamo assistendo allo sterminio dei campi». Parole di Andrea Zanzotto, il grande poeta che ci ha da poco lasciato all´età di 90 anni. È una citazione famosa, che chi si batte contro il consumo di suolo (Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Alberto Asor Rosa, Luca Mercalli, Luca Martinelli) giustamente conosce e non esita a utilizzare.

Mi accodo buon ultimo anch´io, a maggior ragione di fronte a cosa hanno subito la Liguria e la Toscana negli ultimi giorni, senza dimenticare come Roma è andata in tilt una settimana prima a causa di piogge più intense della norma. Sia che si chiami in causa il cambiamento climatico, sia che si accusi l´eccessiva e disordinata cementificazione, più o meno indirettamente dietro a queste sciagure c´è sempre la mano incauta dell´uomo. Perché il cambiamento climatico lo causiamo noi, la cementificazione selvaggia la pratichiamo noi, abusiva o legale che sia. Le connessioni nascoste tra ciò che facciamo e certe loro brutte conseguenze sono sempre meno nascoste. E fanno male in termini di vite umane, territori cancellati, danni ingenti.
Allora, pur se profondamente rattristato dalle ultime alluvioni, voglio dare una buona notizia: domani, a Cassinetta di Lugagnano (MI), ci sarà la prima costituente Assemblea Nazionale del Forum dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio. Aderenti da tutta Italia lanceranno la campagna “Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori”. Non si può aspettare oltre, urge una mobilitazione. Oggi, dopo quell´insostituibile bene comune qual è l´acqua siamo passati anche alla tutela attiva sul territorio del secondo bene comune irrinunciabile: il suolo fertile. Come il Forum Nazionale dei Movimenti per l´Acqua che ha vinto l´importante battaglia dei referendum nello scorso giugno, anche i movimenti per la terra e il paesaggio hanno deciso di unirsi per agire concretamente, capillarmente sui territori e a livello nazionale. Non è importante dire chi c´è dentro. Anche se le migliaia di aderenti possono vedere sul sito che è il cuore del Forum, www.salviamoilpaesaggio.it, nessuno è qui per fare pubblicità a se stesso o ad altre cause. La bandiera è quella del paesaggio, dei suoli fertili, della loro integrità per rifuggire anche eventi drammatici come quelli liguri. È una bandiera che va al di là di qualsiasi colore o interesse particolare. Migliaia di singoli cittadini, centinaia di organizzazioni nazionali hanno già aderito, stanno nascendo i comitati locali, e chiunque è libero di costituirli.
Chi legge con attenzione i giornali, i più diffusi o quelli più piccoli locali, sa che i temi della difesa del suolo libero dalla cementificazione e la tutela del paesaggio sono tra quelli che stanno più a cuore ai cittadini. Normalmente gli articoli che ne parlano e che appaiono su queste pagine sono quelli che scatenano più e-mail di commento, ma soprattutto segnalazioni di cittadini che si oppongono alla costruzione di una zona industriale in un´area agricola, alla devastazione di tratti di costa, a piani regolatori scellerati, alla rovina per sempre del profilo di meravigliose colline e valli. Le denunce continuano a migliaia in tutto il Paese, dai casi più eclatanti ai piccolissimi scempi che rosicchiano minime porzioni di suolo fertile. Ora finalmente ci sarà un vero strumento per passare all´azione, entriamo nel vivo rispetto a un tema dove l´hanno sempre fatta da padrone grandi speculatori, poteri forti e l´interesse di pochi contro quelli della collettività.
La campagna “Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori”, cui è sufficiente aderire on-line, vuole fare da amplificatore per i problemi a livello locale, ma il Forum che la promuove sta lavorando a due importanti progetti, – potenzialmente dirompenti come i referendum sull´acqua – che si lanceranno domani a Cassinetta di Lugagnano. Il primo è la richiesta da parte dei cittadini al proprio Comune di un censimento, sul proprio territorio, di tutti gli edifici pubblici e privati, civili e industriali sfitti, vuoti e inutilizzati. Soltanto prendendo in considerazione le grandi città, negli ultimi dieci anni in Italia si sono costruite 4 milioni di case, mentre pare che ce ne siano almeno 5,2 milioni di vuote. Per non parlare dei capannoni, la cui proliferazione negli ultimi anni insulta anche il più maleducato senso estetico: continuo a vederne di abbandonati ovunque, con striscioni appesi che ne implorano l´affitto. Prima di costruire altro allora capiamo che cosa c´è a disposizione, utilizziamo l´inutilizzato, smettiamola di edificare dove non si può o dove non si dovrebbe, non sacrifichiamo più suolo libero, perché è fondamentale per la nostra agricoltura e il turismo, ma anche per prevenire frane e alluvioni.
Il censimento è una prima mossa, e saranno i comitati locali a pretenderlo, ma poi ci sarà un secondo strumento: il Forum sta lavorando a una legge d´iniziativa popolare per arrivare a una moratoria nazionale al consumo di suolo. La Provincia di Torino ha già fatto una legge di questo tipo, ed è uno degli esempi che cercheremo di seguire, insieme alle legislazioni tedesche e britanniche molto più restrittive delle nostre. Il Comune di Cassinetta di Lugagnano, scelto per la prima Assemblea Nazionale dei Forum per la Terra e per il Paesaggio, è un altro esempio virtuoso perché ha dichiarato il suo territorio “a crescita zero”, come del resto già altri piccoli comuni in Italia (e li volevano cancellare!). Non entrino in fibrillazione quelli del settore edilizio: abbiamo così tante case da ristrutturare, da buttar giù per tirarne su di nuove, di brutte da abbellire, senza contare l´enorme sforzo da fare per migliorare l´efficienza energetica che ci sarà lavoro in abbondanza per tutti nei prossimi anni. Come vediamo, ancora una volta in futuro dovremo privilegiare la qualità rispetto alla quantità, fare lavori migliori che dureranno di più nel tempo e miglioreranno la nostra vita e i luoghi in cui viviamo: c´è meno margine per speculare, ma più possibilità per guadagnarci tutti quanti qualcosa ed evitare catastrofi. Ciò che si spende per riparare a disastri come quello occorso in Liguria – ma che ormai si rincorrono mese dopo mese in ogni parte d´Italia – è di gran lunga più costoso di quanto non spenderemmo mai per un´attenta e corretta gestione del territorio.
Non c´è bisogno di nuove case, non c´è bisogno di nuovi capannoni: è ora di capire che chi li fa li fa soltanto per il proprio tornaconto privato, e intanto distrugge un bene comune. Rispettiamo la proprietà privata, ma il bene comune deve avere la precedenza. Il paesaggio, forse a prima vista meno tangibile dell´acqua, è un bene comune perché tutelandolo si preservano l´ambiente, la sicurezza delle persone, le attività agricole, i suoli, la bellezza. Il privato, fatti salvi i suoi diritti, non può privare il resto della comunità di qualcosa d´insostituibile e di non rinnovabile. Il privato non può privare.

La repubblica 28.10.11