attualità, politica italiana

"In tre milioni non arrivano a 400 euro al mese", di Laura Matteucci

In pensione sempre più tardi, molto spesso con poche centinaia di euro (la metà delle pensioni non supera i 500 euro al mese), e una rete di protezione sociale a maglie ormai larghissime. La prima leggenda da sfatare è che in Italia si vada in pensione prima che negli altri Paesi Ue. Con le disposizioni entrate in vigore a luglio è l’esatto opposto, nonostante la paradossale lettera inviata da Berlusconi a Bruxelles le renda meno stringenti. Per le pensioni di vecchiaia prevede infatti il rialzo dell’età a 67 anni, per donne e uomini, nel 2026. In realtà in base alla legge, quell’anno uomini e donne lasceranno solo a 67 anni e 7 mesi (bisogna aggiungere poi ancora un anno, come previsto dalla cosiddetta «finestra mobile» che impone di aspettare dodici mesi prima del ritiro dell’assegno). Già oggi, del resto, per vecchiaia si va a 66 anni (65 più 1 anno di attesa per la finestra di uscita), nel 2013 si andrà a 66 e tre mesi. La legge anticipa infatti al 2013 l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita: una misura che riguarda le pensioni di anzianità, di vecchiaia e l’assegno sociale. L’età pensionabile salirà ancora nei prossimi anni fino ad arrivare a 68 anni e nove mesi entro il 2047. Nel resto d’Europa il panorama è molto diverso e in nessun caso si arriva all’età prevista nel nostro Paese. La media Ocse, infatti, prevede un’età media di 63,5 anni per gli uomini e di 62,3 per le donne. Nel Regno Unito, ad esempio, l’età pensionabile effettiva è a 63 anni, in Belgio si ferma a 65. Molti Paesi, invece, arriveranno a 67 anni in modo graduale come Danimarca (tra il 2024 e il 2027), Germania (dal 2012 al 2019) e Spagna (dal 2018 al 2027). In Francia l’età pensionabile è ferma a 60 anni. Anche le donne, in prospettiva, andranno in pensione più tardi di tutte quelle europee, sebbene si continui a sostenere il contrario. L’età pensionabile passerà, infatti, dai 60 anni del 2010 ai 62 del 2020 fino ad arrivare ai 66 del 2030, ai 67 del 2040 e ai 68 del 2050. In Francia, invece, l’età resterà invariata a 60 anni e arriverà a 61 solo nel 2050. In Germania la soglia resterà bloccata ai 65 anni, nel Regno Unito arriverà a 67 anni solo nel 2050. L’Inps (i cui conti risultano in ordine) eroga una pensione ogni 3 cittadini, considerando che le tipologie di beneficiari sono sette, ovvero: pensioni di vecchiaia, di invalidità, ai superstiti, indennitarie, di invalidità civile, pensioni sociali e di guerra. I pensionati che hanno una posizione previdenziale con l’istituto sono il 23% della popolazione complessiva: nel 2009 (ultimo anno di riferimento per i dati Inps) il loro numero è lievemente diminuito (-0,27%), rispetto all’anno precedente, attestandosi a 16,7 milioni di titolari, il 53% dei quali sono donne. Le somme erogate per singolo cittadino, tuttavia, risultano nella grande maggioranza dei casi decisamente basse, certamente non in grado di offrire un tenore di vita dignitoso. A parte il fatto che negli ultimi 15 anni il potere d’acquisto delle pensioni è calato di oltre il 30%, più della metà degli assegni (il 50,8%), non supera i 500 euro mensili (tre milioni di persone non arrivano ai 400 euro), il 79% non supera i mille euro (circa 8 milioni di persone). Solo all’11,1% arrivano importi mensili compresi tra i 1.000 ed i 1.500 euro, e il 9,9% riceve una pensione superiore ai 1.500 euro. Le pensioni più basse sono soprattutto femminili: ben 9 milioni le donne con una pensione media di 960 euro. Nel complesso, nel 2009 (sempre dati Inps) sono state erogate 23,8 milioni di prestazioni pensionistiche: il 90,2% del totale della spesa pensionistica, pari a 228,541 miliardi di euro, viene utilizzato per coprire le 18,6 milioni di pensioni di invalidità, di vecchiaia e ai superstiti. A peggiorare la situazione, i tagli agli enti locali – 6 miliardi nel 2012 e altri 3,2 miliardi nel 2013 – con cui il governo ha sostanzialmente smantellato lo stato sociale. Verranno meno infatti tutta una serie di servizi di welfare (tra cui l’assistenza domiciliare e i sussidi alle famiglie povere) destinati alle fasce più deboli del Paese, tra cui le persone anziane. Nello specifico i tagli escluderanno da qualsiasi forma di assistenza il 20% delle persone disabili al nord, il 30% al centro e il 50% al sud. In più, con la delega fiscale approvata il governo metterà le mani nelle tasche dei pensionati tagliando entro il 2013 il 20% delle detrazioni fiscali. Una misura che colpisce le famiglie italiane, specie quelle con figli piccoli, anziani e disabili a carico. Lo smantellamento dello stato sociale passa anche attraverso l’azzeramento, con le ultime manovre, del fondo nazionale per la non autosufficienza, che aveva raggiunto i 400 milioni, e di cui usufruivano circa 2 milioni di anziani. Non bastasse, pesa pure l’introduzione di nuovi superticket sanitari: 10 euro per le prestazioni di diagnostica e specialistica e 25 per il pronto soccorso. Il fondo sanitario, invece, perderà 12 miliardi. Tutto ciò avrà un effetto devastante sull’intero sistema, che fornirà meno servizi a costi più elevati e con evidenti disagi per gli utenti. Per la maggior parte, anziani.

L’Unità 28.10.11