ambiente, partito democratico

"Per la difesa del Paese alt al consumo del suolo", di Giuseppe (Pippo) Civati

Terra! Questo deve essere grido della nuova politica. All’orizzonte, affacciandoci alle finestre, vediamo quasi dappertutto un forsennato sfruttamento del territorio, che spesso è all’origine di fenomeni come quello che ha devastato il Levante ligure. Non è più possibile stare a guardare o prendere tempo. Chi ha responsabilità istituzionali deve agire, e subito. A Cassinetta di Lugagnano proprio oggi si radunano centinaia di persone per dire stop al consumo di suolo. Cittadini, amministratori, movimenti, anche locali,danno vita auna grande mobilitazione nazionale, in difesa del suolo, del paesaggio e anche del cibo e dell’agricoltura: un tema che, pensando all’Expo 2015 (se terrà fede ai suoi principi), ci parla anche della fame nel mondo e di come combatterla.
Il primo passo, a casa nostra, è mutuare quello che è stato fatto a Cassinetta, che ha varato il consumo zero di territorio, oppure Desio, in Brianza, che ha tagliato del 60% il cemento autorizzato dalla precedente amministrazione dellan destra, sfidando anche poteri forti e occulti. Ora è la politica che si deve rendere conto che il contrasto del consumo di suolo e la difesa del paesaggio sono temi nazionali, di primaria rilevanza.Atutte le latitudini, perché anche quelli che si sono ripromessi di difendere il «sacro suolo», in questi anni, l’hanno cementificato,
a cominciare da tutto quello che sta attorno al pratone di Pontida.
Servono prima di tutto piani territoriali di nuova generazione: bisogna dare regole, come quelle che propone Legambiente in Lombardia, con una legge di iniziativa popolare sostenuta dal Pd. Vanno percorse strade alternative, che ci sono e che sono a portata di mano. E che passano dal recuperare il più possibile quello che c’è: dalle aree industriali dismesse ai centri storici che in molti comuni del nostro paese (non solo in Lombardia ma un po’ ovunque) sono abbandonati al proprio destino. Al censimento dello sfitto e a una nuova norma sugli oneri di urbanizzazione, che non possono essere utilizzati per coprire le spese correnti. In molti casi si preferisce continuare su una strada insostenibile. Sempre in Brianza, provincia per certi versi dei record, più del 60% del territorio è coperto da case, capannoni, mega centri commerciali. Ma nonostante questo, il Comune di Monza (Lega-Pdl), sede ministeriale (!), ha dato il via libera a 4 milioni di metri cubi, anche in piena zona di esondazione del Lambro, nell’area agricola della Cascinazza. Per cambiare il Paese, bisogna cambiare lo sguardo su ciò che ci circonda. Oggi arriva un messaggio che la politica deve raccogliere. Oggi o mai più.

L’Unità 29.10.11

******

“PER QUEL DISASTRO CHIEDETE CONTO A SILVIO BERLUSCONI”, di Vittorio Emiliani

Di fronte alle sempre più frequenti sciagure ambientali, bisogna dire le cose come stanno: i governi Berlusconi hanno decisamente peggiorato lo stato già precario dei suoli condonando abusi, sottraendo soldi, impedendo manutenzioni; le Regioni e i Comuni (ma anche tanti abitanti) non si sono ancora resi conto che bisogna piantarla di cementificare rive, alvei fluviali e torrentizi ridando ai corsi d’acqua le aree naturali di sfogo. Nelle cronache di questi giorni c’è molta emozionalità, e poca voglia di andare alle cause. Sull’«Unità» di ieri, invece, Marco Bucciantini ha preso di petto la questione chiedendosi, a proposito delle Cinque Terre: perché tante auto sepolte nella melma a Monterosso? Perché lì si sono fatte entrare, anni fa, le auto e si è voluto, a tutti i costi, un maxi-silos. Dove arrivano cemento e asfalto, i suoli si
impermeabilizzano e, in presenza di pendenze scoscese come quelle liguri, l’acqua piovana vien giù a velocità folli. Se poi i corsi d’acqua sono stati intubati o incassati fra argini di cemento e/o fra spalti di case, il disastro è garantito. Malgrado ciò, come denuncia il Wwf e come Bucciantini riferisce, la Regione Liguria ha appena approvato un regolamento che consente di costruire a soli 3 metri dai corsi d’acqua e non più a 10 metri. La storia tragica delle alluvioni liguri non ha dunque insegnato nulla? Mi capitò di trovarmi in mezzo a quella di Genova del ‘70 quando si contarono 25 morti. Scoprimmo che il vastissimo letto del Polcevera era stato ristretto da campi da tennis, circoli aziendali, costruzioni precarie, orti e altro. Le responsabilità delle Regioni e dei Comuni sono grandi. Quando il Po o un suo affluente straripa, si scopre che case, laboratori, fabbriche allagate sorgono nelle aree golenali, vietatissime.
Nessuno vigila, reprime, demolisce. A Ischia non sono forse le case abusive a far cadere a pezzi
l’isola? Altro luogo comune di queste ore: non si è mai fatto nulla per la difesa del suolo. Non è vero. Non hanno fatto niente i governi Berlusconi tesi a “passare alla storia” col Ponte sullo Stretto. I governi di centrosinistra avevano cominciato ad invertire una rotta disastrosa con alcune buone leggi: la legge n.431 del 1985 sui piani paesaggistici e la legge n.183 del 1989 sulla difesa del suolo. La prima – pur votata alla unanimità – è stata attuata appena da un pugno di Regioni, le altre hanno adottato in ritardo i piani o non li hanno nemmeno colorati. La seconda prevedeva la creazione di Autorità di Bacino nazionali, interregionali e regionali. Il
modello? L’Authority del Tamigi che aveva riunito in sé le competenze di migliaia di enti.
Così doveva essere da noi dove fiumi come il Po o il Tevere corrono al mare attraverso quattro
regioni, decine di Province, decine e decine di Comuni. Quando le Autorità, nel 2001, hanno ultimato i piani di bacino, la loro devitalizzazione era già in atto ad opera del centrodestra e in specie della Lega, che vuol gestire il Po «a spezzatino», un pezzo ogni Regione. Una scemenza «criminale». Ci sono state ribellioni a tanta insipienza? Onestamente non le ho avvertite. Su tutto ciò si è abbattuta la scure finanziaria: la difesa del suolo che, cosa volete, non fa «passare alla storia». Con la Finanziaria 2002 il centrodestra ha dimezzato le risorse. Con quella del 2003, secondo la denuncia di Gaetano Benedetto del Wwf, ha fatto scomparire «con un colpo di mannaia» i fondi del Decreto Sarno (votati dopo quella terribile sciagura) e ridotto quelli della Legge Soverato (altro disastro, con le case costruite su una fiumara…). L’Italia ha così affossato l‘approccio innovativo, europeo, alla gestione delle acque: manutenzione continua del territorio e «rinaturazione» dei sistemi fluviali. Insomma, dalla legislatura 2001-2006 in qua, tutto il comparto ambiente-territorio è uscito «umiliato».
Nel 2006-2008, col ritorno dell’Ulivo, sono state riattivate risorse per la difesa del suolo e dal mare, per i parchi, ecc. fino a 584 milioni. Due anni di respiro. Ma dal trionfo di Berlusconi in , è
ricominciato il flagello. Nel 2009, alla tutela ambientale e territoriale si è assegnato appena l’1,5 % della manovra finanziaria contro il 6,8% attribuito alle grandi opere, tutte dal forte impatto. Mentre la crescente tropicalizzazione del clima reclama una strategia esattamente opposta. Nelle Finanziarie successive è andata ancora peggio. Con Sandro Bondi ai Beni Culturali che lasciava marcire la nuova co-pianificazione paesaggistica Stato-Regioni. Col Ministero dell’Ambiente e coi Parchi in ginocchio. Risultato: sfacelo idrogeologico garantito,
specie laddove l’edilizia, legale e abusiva, è dilagata. E si invocano nuovi condoni edilizi. Siamo al suicidio finale del Belpaese.

L’Unità 29.10.11