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"Non si allevia la disoccupazione con i licenziamenti", intervista a Pier Luigi Bersani di Adolfo Pappalardo

Quando mette in guardia dal rischio dei personalismi è chiaro che Pier Luigi Bersani ce l’ha con il rottamatore Renzi («Ma gli voglio bene»). Sulle elezioni pensa a un’alleanza tra progressisti e moderati «ma senza ammucchiate». Prima però ci sono le primarie di coalizione a cui il Pd arriverà «indicando un suo candidato». E sulla flexsecurity che pure affascina qualcuno nel Pd domanda schietto: «Scusate, mai soldi dove sono?».

Segretario è in atto uno scontro: newwave contro nomenclatura.

«Leggendo i giornali sembra uno scontro personale ma questa è una cosa che non mi appartiene, non ho mai voluto e non voglio. Ai duemila giovani venuti qui a Napoli ho detto chiaramente cosa penso del ricambio e del cambiamento. Ed ho cercato di spiegare i criteri secondo cui questo passaggio deve avvenire: su idee nuove che non siano rimasticature di quelle degli anni ’80 che abbiamo già ampiamente pagato».

A cosa si riferisce?

«L’eccesso della personalizzazione in politica è il passato. Perché si esce dai guai solo con uno sforzo collettivo, con giovani che crescono e i vecchi che si mettono a disposizione per far girare la ruota. Non con le vecchie generazioni che devono essere semplicemente cambiate. Qui da questa platea invece s’intuisce la domanda di cambiamento, un’idea di pulizia, di ripresa del senso politico che sta risorgendo dopo anni. Per questo dico: non allestiamo scontri tra gladiatori con tutti i problemi; che abbiamo».

Renzi e Civati. Chi preferisce?

«Voglio bene a tutti e due. E lo dico sinceramente. Ma ho il dovere, e voglio avere il diritto, di dire che dobbiamo costruire un collettivo. Occorre una discussione libera ma facendo percepire amiciazia tra noi altrimenti perché la gente dovrebbe fidarsi?».

Chiamparino, possibile pretendente per le primarie, dice che l’insofferenza verso i giovani è debolezza.

«Non so a chi si rivolgesse, a dir la verità. Il Pd più che lanciare un anno di formazione politica cosa poteva fare? Occorre partire da qui per cercare, come stiamo facendo, di rinnovare il partito e lasciare spazio a una nuova generazione. Anche questo fatto delle primarie tirate ogni volta in ballo: sono aperte e lo dico io unico segretario ad essere stato eletto così. Nessun problema quindi, si candidi chi vuole».

Eppure l’exit strategy sembra quella di un solo candidato scelto dal partito. E così?

«E così, ogni partito dovrà indicare un suo candidato».

Uno? Allora non c’è spazio per tutti i pretendenti Pd.

«Non si chiude a nessuno. Il concetto è quello di un partito che sulla base di un progetto, di una piattaforma da discutere, indica un nome. Lo direbbe già lo statuto del partito, ma non mi nasconderò certo dietro a questo. Non ci sarà chiusura ma anzi la massima apertura. Poi il regolamento delle primarie di coalizione lo fa lo schieramento, come fatto nelle varie città».

La foto di Vasto con lei Di Pietro e Vendola. D’Alema è per l’alleanza con i moderati altrimenti non si governa.

«Occorre un’alleanza tra progressisti e moderati: in tempi di ricostruzione bisogna essere generosi senza arroccarsi. Ma niente ammucchiate, ci vuole un centrosinistra credibile che si rivolga ai moderati e alle forze civiche. Tutti oggi vogliono chiudere con Berlusconi ma per farlo occorre un’alleanza di legislatura per le grandi riforme. Ma ognuno si prenda le responsabilità e metta da parte i pregiudizi perché il vero problema è la ricostruzione di questo Paese».

Cosa salverebbe dell’Ulivo?

«Sicuramente la capacità di muovere il civismo, quello di “Canzone popolare” per intenderci, risveglia le coscienze e dà l’idea di non essere solo aggregazione di partiti».

Qualche giorno fa è partita una lettera del governo alla Ue. Quale sarebbe stata la controlettera del Pd?

«Non saremmo mai arrivati a scriverla perché prima avremmo fatto le riforme che il centrodestra non ha fatto. Quella fiscale, della pubblica amministrazione, del lavoro per ridurre la precarietà, politiche industriali ed energetiche. E le liberalizzazioni, soprattutto. Ci saremmo mossi prima senza arrivare dove siamo ora, sull’orlo di una bufera possibile dove l’Italia è in serio pericolo».

E ora cosa occorre?

«O elezioni o nuovo governo come accaduto in Irlanda, Spagna, Portogallo o Grecia. E un programma vero, non mi stancherò mai di dirlo, di riforme».

Ma rendono più facili i licenziamenti. Il suo vice Letta rileva come non sia un tabù.

«Siamo di fronte a una fase drammatica di espulsione dal mondo del lavoro con centinaia di migliaia di cassintegrati. E abbiamo gli ingressi al lavoro tra i più flessibili e precari del mondo sviluppato. In questo momento dire che si licenzia per facilitare assunzioni è delirio. Invece un grande riforma del mercato del lavoro non è certo un tabù ma dobbiamo iniziare dall’ora di lavoro del precario, che deve costare di più rispetto a quella del lavoratore a tempo indeterminato. Mi parlano invece, come fa Sacconi, di flexsecurity sul modello Danimarca o di salario minimo garantito come fa Casini: per me va bene. Ma ci rendiamo conto che costano molto? Ci sono i soldi? Dove sono? A pezzi e bocconi non si fa una riforma: in questo scenario significa solo aggiungere problemi a problemi, instillare tensioni, quando ci vorrebbe piuttosto coralità. Sacconi invece spenga la miccia e si metta a ragionare seriamente».

Prima il Piemonte, ora il Molise: per il centrosinistra i grillini rischiano di diventare un problema serio.

«Segnalano un malessere ma non sono la soluzione: per frustrazione e protesta si muovono in questo universo che è simile a quello di chi non va a votare».

In questi due giorni ha parlato del pericolo che si formino movimenti speculari alla Lega al Sud. Ma di cosa ha bisogno il Mezzogiorno?

«Può partire da qui la riscossa perché le riforme di cui ha bisogno il Paese sono tutte meridionaliste. Riforme che devono parlare al Nord perché se il Sud si allontana dal resto del Paese allora tutta l’Italia s’allontana dall’Europa. È una sciocchezza salvarsi da sé. II Sud deve mostrare e dimostrare il cambiamento e oltre alle idee nuove deve mettere in campo una nuova generazione. E questo non lo fai dalla sera alla mattina. I luoghi comuni sono da evitare e qui al Mezzogiorno non è tutto marcio: a cominciare dai sindaci che combattono ogni giorno passando per la buona notizia di Rita Borsellino che scende in campo a Palermo».

Primarie naufragate con inchiesta dell’antimafia e fuori dal governo della città: quanto pesano sul Pd?

«Questi errori pesano, eccome. Per questo ai ragazzi ho detto: non spiegatecelo, abbiamo capito e per questo siamo qui. Dobbiamo uscire dai giochi politici e dare una mano a Napoli che ha problemi e drammi enormi. Mettiamoci tutti su questo fronte e anche chi ha avuto esperienze di governo, nel bene e nel male, dia il suo contributo».

Con de Magistris prima freddezza ora un rapporto solido che qualcuno spiega in funzione anti Vendola con il suo movimento.

«Nessun patto contro qualcuno. L’incontro con lui nasce da quel che gli dicevo poc’anzi: vediamo di risolvere i problemi. C’è solo questo dietro un rapporto amichevole. Questo gli ho detto: noi non chiediamo niente, vogliamo solo dare una mano a Napoli. Punto. Sul movimento gli ho detto: se hai questa vocazione va bene, pronti a discuterne senza preclusione».

Segretario ma a dirla alla Renzi, si sente un dinosauro?

«Guardi che ce n’erano molti di dinosauri scattanti».

da Il Mattino 31.1o.11