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"È il momento di dare più poteri all´Europa", di Barbara Spinelli

Da quando hanno cominciato a protestare, gli indignati hanno denunciato via via l´ottimismo illusionista dei governi, le istituzioni internazionali spesso indifferenti ai vincoli democratici, infine la Banca centrale europea: nostro salvagente, ma salvagente riluttante a tramutarsi in prestatore di ultima istanza. Le denunce possono convincere o no, ma dietro c´è una domanda cruciale, cui non si sfugge.
La domanda è comune agli indignati e alle forze che in queste ore, più che mai, mostrano di non credere in Stati come Grecia e Italia, non escludendo funeste bancarotte: chi comanda, nell´emergenza che viviamo? E se davvero la crisi prelude a una mutazione radicale delle società, se davvero Roma o Atene s´inabissano: quali poteri decideranno il da farsi, combinando o non combinando i sacrifici con la giustizia sociale che fonda le nostre democrazie? Chi controlla i controllori?
Davanti a questo bivio stiamo, e la domanda è cruciale perché pone al tempo stesso la questione della sovranità e della democrazia. E perché è una domanda che in Italia sale dal Quirinale stesso, che giudica il vuoto politico ormai non più tollerabile. La risposta che dà Berlusconi – colpevole è l´euro, «moneta strana che non ha convinto nessuno» – è non solo becera. È nichilista, perché scaricare le responsabilità su Francoforte significa perpetuare la truffa illusionista e non capire il tracollo del proprio ventennio: ventennio che si chiude con una sorta di sconfitta bellica simile a quella che travolse Mussolini. Quando il Premier gioca allo sfascio attaccando l´euro, e poi fa come se avesse detto il contrario, mostra che la cacofonia affligge non tanto la sua maggioranza quanto la sua testa, e quel che la testa gli fa dire. Con cortesia gelida, Mario Monti gli ha ricordato in una lettera aperta sul Corriere che «anche le parole non sorvegliate hanno un costo», pagato da noi tutti.
Altri giocano allo sfascio, più o meno scompostamente. C´è chi, come il Premier greco, indice un referendum spericolatissimo sull´austerità, presentandolo come democrazia. C´è chi accarezza l´idea di sospenderla, la democrazia, persuaso in segreto che la via sia quella di Donoso Cortés, il politico spagnolo dell´800 che preferiva l´autoritarismo alla sempre titubante clase discutidora. Chi parla di governi italiani di salute nazionale indica la soluzione (il Quirinale stesso fa sapere che «servono larghe intese»), ma esiste il rischio di curare i mali col veleno che li ha creati. Non abbiamo bisogno che al governo vada un outsider infastidito dalla politica, magari con nuovi conflitti d´interesse: l´esperimento è già stato fatto, dopo Mani Pulite, dall´imprenditore di Arcore. Credo che l´Italia abbia sete di veri politici, di servitori dello Stato come Monti che è stato per anni civil servant in Europa, allo stesso modo in cui per liberarsi da Tangentopoli ebbe bisogno di Ciampi, del suo senso della res publica. Il nostro risanamento non può avvenire in due tempi: prima la democrazia sospesa, poi il ritorno al confronto politico normale.
Se ben governata, la catastrofe italiana può infatti riservare sorprese non distruttive, e fornire una risposta alla doppia domanda di indignati (e mercati) su sovranità vera e democrazia. Tutto verte attorno al termine commissariamento, vissuto come un´onta da gran parte della nostra classe dirigente. In un articolo pubblicato il 28 ottobre sul Sole 24 ore, dopo l´accordo di Bruxelles e la lettera d´intenti italiana, Beda Romano ha scritto un importante articolo, che punta il dito sulla frase più rivelatrice del comunicato finale del vertice Ue: «Invitiamo la Commissione a fornire una valutazione dettagliata delle misure e a monitorarne l´attuazione, e le autorità italiane a fornire tempestivamente tutte le informazioni necessarie per tale valutazione».
Il passaggio equivale a un commissariamento solo se restiamo convinti che gli Stati nazione siano ancora capaci di comando, nell´emergenza. Ma il comunicato può esser letto in modo radicalmente diverso: come primo segno di una riduzione delle sovranità nazionali, non negativa anche se vissuta – in Italia – dolorosamente e non democraticamente. «L´Italia è diventata all´improvviso un banco di prova per l´intera unione monetaria», scrive Romano, e, lungi dall´essere commissariata, potrebbe essere «il battistrada di una nuova Europa».
Non per questo però il dramma s´attenua. L´esperimento che trasforma l´Italia in embrione di governo europeo nasce con vizi gravi: affronta la questione della sovranità, non della democrazia. È uno dei punti salienti del discorso, lucido, che Napolitano ha tenuto a Bruges il 26 ottobre: una nuova Europa sta forse nascendo, non solo economica ma politica, dotata di una «sovranità europea condivisa», ma alla metamorfosi dell´Unione potranno contribuire in maniera inventiva solo Stati non disfatti, ridotti a cavie, tentati dall´antipolitica, ma che stiano in piedi agendo da protagonisti su ambedue i piani: apprendendo la cultura della stabilità, e spingendo i partner dell´Unione a fare più Europa, a dotare il bilancio comunitario di più mezzi, a osare la messa in comune dei debiti con gli eurobond, a riprendere il sentiero dell´Europa sociale. Anche nel quadro di un avanzamento dell´Unione, ha detto Napolitano lunedì, «restano affidate inderogabili funzioni agli Stati nazionali, e decisivo resta il loro concorso al perseguimento delle stesse politiche comuni europee». Come concorrere, se lo Stato naufraga?
La cessione di sovranità non può iniziare profittando di un legno marcio, oltre che storto. Altrimenti il battistrada diverrà spauracchio. La Francia farà simili passi? E la Germania, il cui nuovo nazionalismo Habermas giudica severamente, cederà infine sovranità? Si ritorna così alla prima domanda: se l´Italia è apripista, chi comanderà la futura Europa delle sovranità condivise? Che volto avrà il governo sovranazionale: quello del Leviatano di Hobbes (l´autorità fa legge), oppure esisteranno regole cui l´auctoritas dovrà sottostare? Se il referendum greco minaccia l´euro, quale democrazia europea inventare, perché i cittadini non si sentano spodestati?
Disvelare i veri poteri e democratizzarli è il compito dei partiti europei. Un compito arduo in Italia, perché doppio: si tratta di allontanare Berlusconi, che evidentemente crea sfiducia ovunque, e di lavorare, in Europa, per un salto di qualità federale. Nicola Zingaretti, nel manifesto scritto il 27 ottobre sul Foglio, fa proprio questo: è l´unico, a me pare, ad auspicare una battaglia simultanea in Italia e Europa. Quel che propone, in sintonia con Napolitano, è lanciare subito «una campagna per l´elezione diretta del presidente dell´Unione europea», per rispondere alla richiesta di un nuovo spazio politico. I politici italiani di destra e sinistra sono accusati di aver «abdicato alla missione per la quale fu intrapreso il cammino dell´unità (il cui simbolo vincente è stato senz´altro Romano Prodi)» e d´aver rinunciato ad affiancare un´Unione politica democratica a quella economica. Alla domanda di indignati e mercati urge rispondere indicando con chiarezza quali sono i poteri e i contropoteri negli Stati e nell´Unione: «Nell´era della comunicazione globale le persone vogliono giustamente sapere chi decide e controllare direttamente l´iter delle scelte».
Anche la Banca centrale europea deve cambiare, secondo Zingaretti, e darsi nuovi poteri e missioni: «Bisogna dotare l´euro degli stessi strumenti di cui gode oggi il dollaro, ed evitare che l´assenza di strumenti difensivi flessibili nel sistema monetario esponga la nostra moneta alla speculazione». Non lo propone solo Krugman, spesso scettico verso l´euro. Anche europeisti come Paul De Grauwe, Charles Wyplosz, Jacques Delors, chiedono che sia consentito all´istituto di Francoforte di divenire una Banca centrale autentica, prestatrice di ultima istanza. Solo così, secondo Delors, le istituzioni europee saranno «non i pompieri, ma gli architetti dell´Europa» che verrà, se la vorremo.

La Repubblica 02.11.11