partito democratico

"Leopolda, sì al dibattito ma un leader deve unire ", di Donata Lenzi*

Raccolgo l’invito di Pasquino di esprimersi sulla Leopolda. Intanto il Pd bolognese è diverso dal monolite che si rappresenta. La mozione Bersani ha superato di poco il 50% e solo 3 parlamentari, su 8, l’hanno sostenuta. Il segretario provinciale è stato scelto da una maggioranza trasversale non riconducibile a mozioni nazionali con una opposizione interna che per provenienza dall’arcipelago cattolico è naturalmente orientata verso Renzi. È un partito che ha ancora bisogno di discutere nel merito, ma che non intende buttare il passato a mare. Sono convinta che Renzi non vada né scomunicato, né abbracciato a prescindere.
Gli va chiesto, visto che si candida per la leadership, cosa farebbe ora, mentre la crisi ci aggredisce e il capo di governo non molla. Conosco la proposta di Bersani e delle opposizioni che, grazie a lui per la prima volta, si coordinano: via il capo di governo screditato e governo tecnico, o elezioni. Delle cento proposte di Renzi molte sono nei documenti del Pd, ne ho contate 37 per le quali esistono identiche proposte del gruppo: dalla riduzione del numero dei parlamentari, alla abrogazione del vitalizio, alle proposte di riforma del fisco… Alcune hanno già trovato attuazione: in regione da anni abbiamo chiuso i piccoli ospedali e siamo sulla strada della fusione dei piccoli Comuni. Peccato che di questa interlocuzione positiva con il partito non ci sia alcun riconoscimento. Su alcune ci si muove senza tener conto della situazione, come l’Università, su altre, come le pensioni e il lavoro, ci sono punti di convergenza. Restano punti di dissenso dai quali emerge la differenza di fondo: il giudizio su quanto sta accadendo, la fede dichiarata nella forza del mercato e nella sua capacità di auto-regolamentarsi che pur si scontra, in questa fase storica, con l’evidenza del fallimento e le gravi ingiustizie prodotte.
Una ulteriore difficoltà sta nel rifiuto da parte di Renzi di condividere le sedi di confronto e nella riduzione della partecipazione civica alla costruzione della proposta con i propri scelti collaboratori. La proposta politica viene sottoposta direttamente all’elettorato, vince o perde, non c’è fase di mediazione. Non c’è riconoscimento di corpi intermedi, sedi di confronto e organizzazione del consenso. Dal partito leggero al senza partito. Se si segue questa strada temo che la frattura sia una ipotesi possibile proprio per il venir meno della sede della mediazione e avrebbe ragione chi definisce ciò «populismo di centro». Aspetto Renzi alla prova dei fatti: i veri leader sono capaci di unire.

*deputata Pd

Il Corriere della Sera/Bologna 03.11.11