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"Il punto di non ritorno", di Mario Calabresi

In altri tempi Silvio Berlusconi tornando dalla Costa Azzurra si sarebbe fermato a Genova, in altri tempi avrebbe speso un poco del suo tempo per mostrare attenzione verso una regione in cui le acque hanno ucciso 16 persone in meno di una settimana. Il nostro premier ogni giorno di più mostra di aver perso il contatto non solo con l’Italia ma anche con la realtà.

C’è la moda passeggera di assaltare i titoli di Stato italiani», ha detto ieri alla conferenza stampa finale del G20, fingendo di non sapere che se i risparmiatori di tutto il mondo abbandonano o non comprano i nostri titoli è perché abbiamo un gigantesco problema di credibilità. Lo abbiamo dovuto sentire dalla viva voce del direttore del Fondo monetario Christine Lagarde, lo stesso organismo che insieme all’Unione europea dovrà monitorare i passi dell’attuazione della lettera con cui ci siamo impegnati al risanamento e al rilancio. Siamo sorvegliati speciali, ma anche di questo fingiamo di non accorgerci.

Nella rappresentazione della realtà del Cavaliere in Italia «non c’è una forte crisi» e lo dimostrerebbero i ristoranti pieni e gli aerei in cui è difficile trovare un posto. Per la mancanza di un contatto vero con i suoi concittadini, il premier non sa che in quei ristoranti gli italiani spesso si stanno mangiando i loro risparmi.

Ieri sera, secondo i conti di Verdini e Alfano, il governo non ha più la maggioranza alla Camera, per questo sono andati a Palazzo Grazioli a riferirglielo. Ma anche qui Berlusconi non ha mostrato di comprendere che il suo partito si sta sgretolando, sembra non sentire il disagio terribile che attraversa ormai anche i suoi fedelissimi, che a più riprese – anche se non pubblicamente – gli hanno suggerito di fare un passo indietro. Si dice sicuro di recuperare qualche voto nei prossimi due o tre giorni, puntando ancora una volta su quel calcio-mercato politico di cui si è mostrato a più riprese maestro.

Forse la trincea potrebbe reggere ancora, ma ormai senza nessuna prospettiva futura, con il solo fine di non uscire di scena, di restare al governo una settimana in più.
Secondo il «Financial Times» Giulio Tremonti avrebbe messo in guardia Berlusconi che la sua permanenza a Palazzo Chigi potrebbe significare un disastro per l’Italia sui mercati. Si guarda all’apertura delle Borse di lunedì con ansia, si guarda al crescere dell’ormai famoso spread (la differenza tra il rendimento dei nostri titoli di Stato e quelli tedeschi), che ormai punta pericolosamente a raggiungere quota cinquecento, si guarda a quanto siamo costretti a pagare d’interesse per far acquistare il nostro debito. Gli occhi di tutta Europa sono puntati su queste cifre, solo quelli del premier sembrano essere puntati in un’altra direzione. Se la barriera costruita intorno alle nostre emissioni ancora regge è solo grazie ai continui acquisti della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. Ma se i nostri partner, a partire da Francia e Germania, lanciassero il segnale che non si possono continuare a spendere i denari di tutti per tenere a galla l’Italia allora il disastro sarebbe assicurato.

Per questo è diventato obbligatorio chiedersi come Berlusconi speri di salvarsi e di salvarci, cosa possa ancora fare per cercare di far cambiare rotta agli eventi. Siamo vicini al punto di non ritorno, al momento in cui il cambio di governo sarà dettato da eventi esterni, possono essere questi i mercati o i partner europei, oppure da una drammatica votazione parlamentare su provvedimenti economici. Nessuno si merita una situazione e un finale di questo tipo, non l’Italia e nemmeno Berlusconi.

E’ ancora in condizione di scegliere lui i tempi e i modi per un passo indietro, sarebbe un gesto sensato verso il Paese, verso la sua maggioranza e i suoi elettori. Per farlo però dovrebbe aprire gli occhi e guardare a quanto è cambiato lo scenario che lo circonda, scoprirebbe che la crisi stringe l’Italia e l’Europa, che gli italiani hanno bisogno di normalità e tranquillità e sono sfiniti dalle prove di forza, dai giochi di Palazzo e dalle battute.

La Stampa 05.11.11