partito democratico

"In nome del popolo italiano", di Pier Luigi Bersani

Grazie a voi, Democratiche e Democratici, Amici e Compagni, Cittadine e Cittadini che siete qui con noi. Voglio dire prima di ogni altra cosa lo sgomento per la drammatica alluvione che ha investito la Liguria e prima ancora la Liguria e la Toscana e che ci lascia in ansia anche in queste ore. Tante vittime, tante famiglie nel dramma; Genova, e tanti meravigliosi paesi, cari agli italiani e a tutto il mondo, terribilmente devastati. Cittadini che vedono le loro case e i loro beni invasi, travolti dall’acqua. Una tragedia. Noi ci stringiamo attorno alle famiglie delle vittime e alle popolazioni colpite. Noi ci saremo, in ogni sede utile, e per tutto il tempo necessario perché vengano le risposte dell’emergenza e del soccorso, del ripristino e della ricostruzione. Cominciamo oggi stesso da San Giovanni lanciando una grande sottoscrizione per un aiuto concreto. Da questa piazza un abbraccio commosso ai cittadini colpiti della Liguria e della Toscana.

Siamo tanti in questa piazza ferita dalle violenze di poche settimane fa e che oggi riportiamo alla sua storia migliore.
San Giovanni non è solo una piazza. E’ il simbolo di tutte le piazze del nostro paese: luoghi dove il popolo italiano con i suoi partiti, le sue associazioni, i suoi sindacati, ha fatto la nostra democrazia. Luoghi di pace, di festa, di lotta.
Noi non permetteremo mai che rimangano vuoti. E non permetteremo che rimangano muti.
Mai!

Anche per questo fatemi dire grazie alle forze dell’ordine che anche oggi non hanno fatto mancare il loro impegno e il loro servizio prezioso.

E grazie alle Associazioni e ai Movimenti che hanno scelto di essere qui. Con i loro simboli e le loro proposte.
Un saluto alle forze del centrosinistra: SEL, IDV, I Socialisti, i Moderati di Portas.

Vedo le vostre bandiere: grazie per questa presenza generosa.
Ma il saluto più affettuoso lo voglio dare ai nostri ospiti europei e internazionali. Li accogliamo con emozione, amicizia, fraternità.
Sappiamo bene che questa manifestazione si svolge nel cuore di un’emergenza drammatica per l’Europa e per l’Occidente intero. E di un’emergenza ancora più drammatica per l’Italia.

Ma proprio la coscienza della difficoltà ci spinge a pronunciare oggi una promessa e a stringere un patto con le grandi forze della sinistra e del progressismo europeo.
Lo facciamo a Roma, a Roma nella città dove si firmarono i primi trattati dell’Unione e dove si è sottoscritta la Costituzione dell’Europa.

La nostra promessa è che riporteremo l’Italia là dove deve stare.
Là dove ci aspetta il mondo.

Riporteremo l’Italia alla sua dignità, al suo buon nome, alla vocazione europeista che fu di Spinelli, di De Gasperi, di Prodi.
Il patto è che tutti assieme – noi, le grandi forze della democrazia e del progresso – rilanceremo il sogno di un’Europa politica, sovrana, forte della sua civiltà e aperta verso il mondo.

Dopo l’euro, non si va indietro, si va avanti!
Perché l’Euro non è la malattia.
La malattia è l’Europa delle destre, l’Europa azzoppata dalle destre.
L’Europa della signora Merkel e del signor Sarkozy.

Quanto a Berlusconi, lui nella tragedia si è ritagliato un posto ma solo nelle vignette di satira. E sia chiaro che anche di questa vergogna dovrà rispondere!
La destra dunque, non altri, ha messo in ginocchio l’Europa! A partire da come hanno gestito l’emergenza della Grecia.
Certo che quello era un problema serio. Ma poteva essere isolato con facilità. La Grecia è il 3% del PIL Europeo!
Ma ha prevalso la loro dottrina, quella coltivata per anni: quella della chiusura e del ripiegamento difensivo in politica e quella del lasciar fare al mercato in economia. Hanno prodotto un disastro.
E così, per non aver voluto spendere uno, adesso spendiamo mille!

Ora – solo ora – anche le destre si svegliano e scoprono che abbiamo un destino comune, ma è tardi, dopo che a piene mani si è seminato l’egoismo delle persone, dei territori e delle nazioni.
Adesso improvvisano. Balbettano. Inventano soluzioni che durano un giorno. Di colpo scoprono che bisogna mettere qualche briglia ai mercati.

Peccato che le briglie non ce le hanno più. Le hanno gettate via!
E allora tocca a noi.
Lo dico a Francois e Sigmar e agli altri leader europei, con i quali parliamo e che la pensano come noi.
Questa volta dobbiamo riuscire, non possiamo fallire, dobbiamo tornare a vincere per ridare speranza, riforme e un’etica comune a un grande continente.
Tocca a noi – ai democratici, ai socialisti, ai liberali veri – rifare l’Europa.
E farla più democratica, sovrana, giusta, libera.
Noi lavoreremo a un continente più unito nelle sue politiche economiche e sociali. Lo renderemo di nuovo protagonista sulla scena internazionale.

E per riuscirci combatteremo assieme, da subito, con una nostra piattaforma perché l’Europa si dia finalmente gli strumenti per garantire l’Euro, gli strumenti per controllare la finanza e farla partecipare a uno sforzo comune, gli strumenti per sostenere investimenti, occupazione, crescita.
Questo – cari Democratici – è il primo messaggio che si leva da qui: mai come oggi tocca alle forze progressiste alzare la bandiera dell’Europa perché nel ripiegamento – nell’idea che ciascuno si occupa solo di casa sua – vincono le destre e i risultati li abbiamo sotto gli occhi!

Ma oggi a Roma, è giusto che prendiamo un altro impegno ugualmente decisivo. Ed è spingere l’Europa a fare quello che non ha mai fatto davvero: guardare al Mediterraneo, finalmente!
Il Mediterraneo. Il nostro Mare.
Verrà un giorno in cui questo nostro mare si lascerà alle spalle le tragedie e i lutti di adesso; un giorno in cui lanceremo fiori sull’acqua per ricordare con vergogna la barbarie di migliaia di esseri umani – donne, bambini – annegati mentre inseguivano una speranza di vita.
Verrà il giorno delle Istituzioni libere nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
Verrà il giorno in cui i popoli di Israele e di Palestina vivranno in pace, da fratelli, nei loro Stati.
Noi quel giorno lo vogliamo e lo vedremo!

Siamo pronti.
Siamo pronti a una nuova era di scambi e di amicizia.
Siamo pronti a darci la mano per crescere assieme.
L’Italia deve portare l’Europa a quell’incontro e il nostro Mezzogiorno deve portare l’Italia – tutta l’Italia – a quell’appuntamento.
Assieme ai progressisti daremo all’Europa una voce dentro il mondo globale.
Perché il mondo è globale. Ma non per questo è diventato un mondo giusto e rispettoso dei diritti umani.
E’ un mondo dove gli squilibri sono ancora intollerabili e scrivono il destino di miliardi di persone.
Ma c’è un solo modo per evitare le crisi che stiamo vivendo: crescere un po’ tutti senza troppi squilibri nei rapporti economici e commerciali. E crescere ciascuno nel suo paese senza diseguaglianze sociali indecenti.
Un’altra strada non c’è!

Per arrivarci bisogna regolare i grandi fattori della globalizzazione; la finanza, l’accesso alle materie prime, la temperatura del globo, le migrazioni, le guerre.
E debellare la fame e nutrire il pianeta, gli obiettivi al centro dell’Expo di Milano nel 2015.
Bisogna fare dei passi graduali, ma sicuri, verso un Governo democratico del mondo!
Questa per noi, per il Partito Democratico, lo diciamo da Roma, deve essere la piattaforma di una nuova grande organizzazione delle forze progressiste e democratiche del mondo, che oltrepassi le famiglie più antiche e gloriose e unisca le forze in nome di quei valori indisponibili che sono l’uguaglianza e la libertà.
La sfida è immensa ma appassionante: creare le idee-guida per un mondo nuovo. Guardare di nuovo all’economia reale, alle persone e alle cose, ai beni comuni e ai valori delle società. Idee guida alternative a quelle disastrose della destra, perché le crisi di oggi non si ripetano mai più.

Care Democratiche e cari Democratici,
in questo quadro difficile ci siamo noi, c’è l’Italia.
Un grande paese.
Lasciate che lo ripeta: un grande paese.
Alle spalle abbiamo una storia complessa.

Abbiamo conosciuto grandezze e tragedie. Due guerre mondiali, il colonialismo, una dittatura e la vergogna delle leggi razziali.
Ma anche la forza di un popolo che ha sempre saputo rialzarsi e ripartire. Come dopo il fascismo, quando in una manciata di anni un panorama di macerie, morali e materiali, ha lasciato il posto a una delle potenze industriali del pianeta.
Anche per questo, tra le cose che ci indignano di più è vedere il nostro paese sbeffeggiato. Vedere che, all’estero, dell’Italia si ride.

Questo non era mai accaduto: e questo non lasceremo che accada mai più.
Perché, nonostante tutto, siamo ancora tra i dieci Paesi più ricchi del mondo.
Abbiamo un patrimonio ineguagliabile, di bellezze, risorse, capacità.
Abbiamo una geografia cruciale. E siamo presenti a milioni in ogni angolo del mondo. Gente che lavora, gente rispettata, gente per bene.

E allora proprio noi, che non facciamo ombra a nessuno e possiamo parlare con tutti, noi possiamo fare molto per un’Europa nuova e per un mondo nuovo!
Basta che non perdiamo la stima di noi stessi!
Ma la stima di noi stessi passa dalla stima degli altri!
La realtà è che oggi noi non siamo quello che dovremmo essere.
Mentre siamo dove non dovremmo stare: nel luogo più esposto della crisi, nel suo epicentro, percepiti ormai come un rischio ed esposti alle scelte e alle convenienze di altri.
L’ho detto e ripetuto quasi ogni giorno: non c’era una sola ragione perché ci trovassimo lì!
Se ci siamo arrivati è per la politica di un Governo incapace e sconsiderato.
Ci siamo arrivati perché una propaganda volgare ha combattuto contro il linguaggio della verità.
Purtroppo avevamo visto bene, e per tempo, quello che adesso vedono tutti.
Avevamo visto dove si precipitava.

Chi non ci vuole bene, da mesi ci descrive come un partito incerto, ondivago.
Ma io torno a chiedere, da qui, da questa piazza: c’è qualcuno, c’è una forza politica, un commentatore che in tutto questo tempo abbia avuto una posizione più chiara e netta della nostra?
Abbiamo detto due anni fa che dopo il decennio della destra – perché otto anni su dieci hanno governato loro! – ci sarebbe stato un tramonto fiammeggiante e pericoloso.

Abbiamo avanzato le nostre proposte su ogni decreto che loro licenziavano. Abbiamo detto ogni santo giorno che quel signore doveva andarsene, perché ci avrebbe condotti al disastro.
E abbiamo ripetuto che tutti i paesi più esposti – Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna – a questa crisi avevano dato comunque una risposta: cambiando governo o anticipando le elezioni.

Noi – il primo partito dell’opposizione – siamo sempre stati pronti a fare la nostra parte, in entrambi i casi.
C’è stato qualcuno più chiaro di noi?
Alzi la mano.
Lo vogliamo vedere.
Alzi la mano chi ha visto meglio e più lontano!
E allora Basta!
Basta con la denigrazione del PD, dell’unica forza che può davvero dare una mano al Paese.
Lo dico senza superbia. Senza arroganza.
Lo dico perché adesso l’Italia è davvero nei guai.
La situazione è grave. E’ molto grave.
Il Paese soffre, ha paura, è pessimista.
Noi non cavalcheremo mai questa paura. Sarebbe irresponsabile.
No. Noi abbiamo convocato questa piazza per dire una parola importante, e questa parola è “Fiducia”!
Anche questa è una promessa, che nasce, che parte da qui, da San Giovanni.
L’Italia ce la farà.
Gli italiani ce la faranno.
Lo ripeto: siamo uno dei Paesi con più “storia” nel mondo.
E abbiamo già dimostrato di saper domare la finanza pubblica, quando c’era gente seria al Governo.
Non ci nascondiamo i problemi, ma guardiamo anche al paese che sta in campo. Che reagisce.
A quell’Italia che migliora le esportazioni. E questo succede perché abbiamo lavoro buono, impresa buona, prodotti buoni.
E se è così, perché non dovremmo avere un mestiere nel mondo nuovo?
Lo sappiamo bene che i nostri ricercatori scappano via, ma sappiamo anche che passate le Alpi ce li prendono al volo, perché sono tra i migliori. I figli migliori di un paese che non sa neppure di averli!

E quanta ricchezza abbiamo ancora nascosta, al riparo e che non sta dando una mano?
E quanta ricchezza morale abbiamo già in campo!
La ricchezza della società consapevole, che ha riempito le piazze di Milano, di Napoli, Torino, Bologna e decine di altre città, dove il centrosinistra ha trionfato nel voto amministrativo.
E ancora, la ricchezza di quel volontariato che non raccoglie solo soldi ma si rimbocca le maniche. E di quel Mezzogiorno dove una massa di giovani e donne, di persone oneste, aspetta di potersi esprimere, di liberare talenti e capacità.
Eccole, le vere energie di questo paese.
Davanti a noi c’è un cammino complicato. Ma non tutto è buio! E non tutto è notte.
Ci sono molte luci. E una brilla più delle altre: la nostra Costituzione, la più bella del mondo, capace di illuminare i passi fondamentali del nostro cammino.
Abbiamo le forze e ce la faremo.
Ma non sarà una passeggiata.

Certo, prima di tutto c’è una vecchia pratica da sbrigare: Berlusconi deve andare a casa.
O ci va da solo o ce lo manderemo noi o in Parlamento o alle elezioni.
Ma deve andare a casa.
Lo abbiamo detto da tempo. All’inizio quasi da soli. Poi, mano a mano, si sono uniti gli altri. Con un po’ di ritardo, com’è nello stile di una parte di questo paese. Quelli che sventolano la bandiera, ma solo alla fine della partita!
Ma va bene lo stesso. L’importante è che lo dicano.
Però, per favore, nessuno faccia la caricatura di quello che abbiamo detto e che diciamo noi.
Nessuno ci spieghi col dito alzato che non basta cacciare Berlusconi per risolvere i problemi!
Lo dite a noi? A noi?
Ma lo sappiamo da prima di voi, che quando se ne andrà non si porterà via i problemi!
Ce li lascerà tutti, e per ogni giorno che passa ce ne lascerà uno di più.
Però sappiamo anche che il giorno dopo si potrà finalmente cominciare a lavorare per uscirne, dai problemi!
E quando verrà quel momento non racconteremo favole, perché di favole si può morire.
Chi vorrà sentire delle favole dovrà rivolgersi altrove.
Perché per noi la seconda parola, dopo “Fiducia” sarà “Verità”.

Assieme alle italiane e agli italiani guarderemo in faccia i problemi, soprattutto quelli che non si risolvono in un giorno.

E il Primo di questi problemi è un macigno sulla strada dell’Italia: è il fatto che da anni cresciamo poco. Troppo poco. Nei tre anni della crisi abbiamo perso ricchezza per più del doppio della media europea.
Altroché star meglio degli altri!
Oggi davanti a noi non vediamo una ripresa ma una stagnazione che può diventare facilmente recessione. E tutto questo mette in discussione il lavoro e in particolare il lavoro dei giovani.

Il Secondo problema è una finanza pubblica che non è in sicurezza. Il costo del debito cresce in modo pauroso mentre l’economia è troppo bassa per portare da sé risorse alle casse dello Stato.
Le loro manovre ingiuste lasciano aperti buchi impressionanti, anche perché hanno promesso all’Italia e al mondo di prendere soldi dove soldi non ce ne sono!

Terzo problema: la macchina pubblica non gira.
Il sistema delle decisioni nelle Istituzioni e nella Pubblica Amministrazione non sta meglio dopo la cura populista di questi anni. Anzi sta molto peggio.
Non si è riformato nulla, non si è semplificato nulla, si è complicato di più. Fare uno Stato che funzioni è ancora un cantiere da aprire.

Il Quarto problema è che alcuni servizi fondamentali sono finiti in affanno e in alcune aree del Paese ormai sono andati sotto la soglia della sostenibilità e della decenza.
Sto parlando di sanità, di scuola, di sicurezza, di servizi locali, dal trasporto pubblico che si sta bloccando ai servizi sociali. I nostri Comuni non possono fare i bilanci! E sto naturalmente parlando di cura del territorio!
La cura del territorio, l’amore per la nostra terra: e mentre lo dico, ancora una volta, il pensiero più affettuoso va alla gente straordinaria di Liguria e Toscana che piange vite perdute e subisce danni incalcolabili. E abbiamo un Governo che ha cancellato i cinquecento milioni all’anno che noi avevamo sempre garantito per la difesa del suolo, che ha provato a fare un altro condono edilizio; abbiamo una maggioranza che al Senato ha votato che i cambiamenti climatici non ci sono (alla Camera sono stati più contenuti. Hanno solo votato che Ruby è la nipote di Mubarak).

Il Quinto e ultimo problema, che però tutti gli altri contiene, è il tessuto civico e democratico di questo nostro paese.
Le diseguaglianze sociali e quelle fra Nord e Sud sono aumentate in modo drammatico.
Un ragazzo su quattro è a rischio povertà. Quella povertà che la crisi ha sospinto anche dove non era mai arrivata: nel ceto medio, tra tanti artigiani e piccole imprese che abbassano la saracinesca perché non reggono più. O tra quei cinquantenni che perdono il lavoro e si chiedono con disperazione se per loro ci sarà un’altra possibilità. E vogliamo tacere del colpo che stanno subendo le condizioni dei disabili? O possiamo tacere che ai cittadini de L’Aquila viene chiesto in questi giorni di pagare in un colpo dodici rate di tasse arretrate mentre ancora le attività sono ferme? L’elenco sarebbe infinito.
Ma in questo enorme disagio, in questo quadro d’insieme la credibilità delle Istituzioni e della politica è ai minimi storici.
Il populismo nelle sue diverse espressioni alla fine ha portato un risultato solo: quello di moltiplicare le spinte dell’antipolitica.

Lo dico da qui: noi – almeno noi – sappiamo distinguere. Sappiamo che l’indignazione di milioni di cittadini non solo è legittima ma giusta.
Ma sappiamo anche che senza la fiducia in una buona politica, la democrazia non può funzionare e le risposte non possono venire.
Ecco, questi sono i problemi che dobbiamo guardare in faccia.
E non c’è bisogno di essere maghi dell’economia per sapere che l’emergenza finirà, che il mondo ci lascerà tranquilli solo quando vedrà che li stiamo affrontando sul serio, quei problemi. Ma se non troveremo delle ricette nostre, arriveranno le ricette degli altri come si sta già ben vedendo, e potranno anche non piacerci, e lasceremo comunque agli altri un pezzo della nostra libertà e della nostra dignità. Se i sacrifici bisognerà farli, li decideremo noi! Almeno questo, un grande Paese deve poterlo dire. E un grande Partito deve dirlo.

Per questo fiducia e verità dovranno darsi la mano.
Dichiarare i problemi e avere la fiducia per uscirne: questo è il punto.
Lo si può fare in un solo modo. Con l’equità.
Con l’idea di uno sforzo comune dove chi ha di più dà di più, con l’idea di un cambiamento che scomodi un po’ tutti, ma scomodi di più chi finora si è scomodato meno. E con una guida politica unita, solida e pulita che trasmetta dedizione totale all’Italia e agli Italiani e non ai propri interessi.
Noi chiamiamo tutto questo ricostruzione.
E’ il messaggio di Piazza San Giovanni. Ricostruzione.
Ricostruzione della fiducia e della speranza.

Ricostruzione di una democrazia costituzionale piena e funzionante. Ricostruzione di un patto sociale e di sviluppo sostenibile. Di una nuova mappa di diritti umani, civili, sociali e insieme di nuovi doveri e responsabilità verso gli altri.
Sappiamo bene che questi giorni ci richiamano a una emergenza drammatica. Lo abbiamo detto agli Italiani e lo abbiamo detto al Presidente della Repubblica che ringrazio qui per il Suo impegno straordinario: noi non cerchiamo ribaltoni o soluzioni di piccolo cabotaggio parlamentare. Se c’è discontinuità, se c’è cambiamento, se c’è una credibilità internazionale e interna da parte di un nuovo Governo, noi siamo pronti assieme a tutte le opposizioni a prenderci le nostre responsabilità, a dare un contributo di equità e di efficacia a misure che a questo punto debbono essere vere e proprie misure di salvezza nazionale.
Ma tutto questo, se si determinasse, sarebbe un passaggio di transizione, l’avvicinamento ad un ciclo più radicale e impegnativo di cambiamento che potrà avvenire solo con il concorso attivo e l’assunzione di responsabilità e condivisione dei cittadini elettori.
Sia chiaro comunque che anche un eventuale governo di transizione non potrebbe che muoversi nel senso di un nuovo patto sociale, capace di tenere unito questo paese, dopo le drammatiche divisioni di questi anni.
E sappiamo già quale senso dare a questa svolta, quale obiettivo mettere davanti a tutto; sappiamo con quale bussola orientare le nostre politiche come fu per l’Euro.

Questo grande obiettivo, questa bussola sarà il lavoro per la nuova generazione.
Nessuno sarà abbandonato, nessuna scelta sarà dimenticata ma il lavoro dei giovani sarà la bussola. Perché se l’Italia vuole avere un futuro deve mettere al lavoro la nuova generazione.
Sappiamo anche da dove cominciare per dare il segno del cambio di stagione.
Cominceremo dalla politica, dalla sua riforma, dalla riforma delle Istituzioni e della Pubblica Amministrazione.
Siamo stanchi di presentare proposte (dal dimezzamento dei Parlamentari all’abolizione dei vitalizi) e vederle bloccate dalla destra salvo finire anche noi nel mucchio del discredito.
Siamo stanchi.

E’ un gioco pericoloso non solo per noi, ma per la democrazia!
Vogliamo una maggioranza per governare, e il giorno dopo si fa sul serio!
Vi garantisco che si fa sul serio, e si allineano i costi della nostra politica ai costi europei. Non un euro in più. E dopo tante parole a vuoto, qualcosa di serio sulla Pubblica Amministrazione! Cinque livelli di governo non si possono più sostenere! La pletora amministrativa e delle società pubbliche non si può più sostenere. La spesa corrente va messa sotto controllo davvero, come già abbiamo dimostrato di saper fare a differenza della destra, tutta chiacchiere e distintivo, capace solo di farla crescere, azzerando gli investimenti.

Cominceremo dunque da lì, e insieme, da subito, una riforma fiscale.
L’evasione deve pagare, i patrimoni rilevanti e le grandi ricchezze devono pagare. Non può pagare solo chi sta pagando adesso e chi ha pagato fin qui, non si può dare addosso solo al lavoro, ai pensionati, alle famiglie.
Ci vuole un fisco orientato all’equità, al lavoro, alla crescita.
Noi sappiamo come si fa e lo faremo. Perché sono il fisco e l’evasione, le cose che ci fanno più diversi dall’Europa, anche se nella lettera del Governo non se ne faceva cenno!
E le liberalizzazioni, noi le abbiamo fatte, noi le sappiamo fare, ne abbiamo un nuovo elenco pronto e le faremo, perché pensiamo che la flessibilità non la si può chiedere solo ai lavoratori, che non si può scaricare sul consumatore, a piè di lista, i costi e i profitti di chi è protetto, che non si può impedire a un giovane di fare il mestiere che sa fare. Non puoi tenerlo a tirocinio per mesi o anni senza che prenda un euro!

E poi il welfare da preservare e riformare. Cominciando dalla precarietà. Lo ripetiamo: un’ora di lavoro stabile deve costare un po’ meno e un’ora di lavoro precario deve costare un po’ di più. Questa è la premessa per dare a un ragazzo la possibilità di arrivare per tempo a un salario decente. Ed è la condizione perché lui e tutti i suoi coetanei abbiano la speranza di una pensione decente. In questa logica, e solo in questa logica, siamo pronti a confrontarci: a discutere delle ricadute in positivo di un meccanismo di flessibilità volontaria in uscita, che può e deve alzare l’età effettiva di pensionamento.
Bisogna fare qualcosa per chi cerca il lavoro e non lo trova.
Anche a noi piace la Danimarca, la flexicurity di cui in questi giorni il Governo si è improvvisamente innamorato; che costa però tantissimi soldi. La Danimarca noi la stiamo vedendo in cartolina! Da un anno e mezzo è in corso una fase violenta di espulsione dal lavoro.

Vogliamo, in aggiunta, incoraggiare i licenziamenti, pensando che questo di per sé migliori il mercato del lavoro?
Come si può pensare una sciocchezza simile?
Perché non pensiamo piuttosto a crearlo, un po’ di lavoro.
Perché non pensiamo alla politica industriale, alla ricerca, alle tecnologie italiane, alle reti, all’efficienza energetica, all’economia verde, al nostro made in Italy a partire dal potenziale che può esprimere il Mezzogiorno! Perché non pensare per il Mezzogiorno a mettere almeno una parte delle residue risorse europee in un programma garantito e automatico per investimenti e occupazione di giovani e donne a cominciare dai giovani laureati?
La nostra industria, la nostra agricoltura abbandonata, i servizi, la piccola impresa: vogliamo tornare a occuparcene?
Perché il lavoro non cade dal cielo, ma viene da lì.
Insomma, riforme!

Un progetto di ricostruzione per il lavoro: per il lavoro delle donne e delle nuove generazioni.
E riforme per la ricostruzione democratica.
Dopo dieci anni di cura populista c’è tutto da risistemare e su tutto abbiamo pronta una proposta. Istituzioni, legge elettorale, federalismo, funzionamento della giustizia, conflitti di interesse e incompatibilità, informazione e Rai tv, ovunque si volge lo sguardo c’è un peggioramento, c’è malfunzionamento, c’è discredito del sistema.
Perché era l’altro modello che secondo loro doveva funzionare: quello del “salvatore della patria”, quello del nome sul simbolo, quello del consenso che viene prima delle regole, perché le regole legano le mani al campione; il modello che vive sul nemico e sul capro espiatorio: il magistrato, il comunista, il terrone, l’immigrato, l’euro.
Il modello che non conosce la distinzione dei poteri, il modello che comunica ma non governa, perché quel che conta non è fare, è raccontare; non è fare è dire che si fa, è convincere che si sta facendo, è gonfiare con la comunicazione la bolla delle illusioni.
Noi da questa piazza lo diciamo all’Italia: questo modello ci ha precipitati nel fondo del pozzo perché non è in grado di decidere nulla, e alla fine il conto lo paghiamo tutti!

Ma attenzione. Ci riproveranno, non hanno altra carta che quella!
E allora qui diciamo: noi siamo pronti alla battaglia e stavolta il terreno lo imporremo noi!
E il terreno sarà un’alternativa chiara: o il modello populista o la riforma della democrazia nel solco della Costituzione.
Questa sarà la scelta. O affidarsi di nuovo a un imbonitore o scegliere finalmente un modello che ci riporta alle grandi democrazie del mondo. Perché salvatori della patria non ce ne sono più – abbiamo già dato! – e ci si può salvare solo tutti assieme!

Ecco dunque – care democratiche e democratici, amici e compagni che siete qui – la ricostruzione che vogliamo è una ricostruzione civica, morale, economica e sociale. E’ una profonda ricostruzione democratica.
Fra poche settimane presenteremo il nostro progetto alla “Conferenza per la Ricostruzione”.
Siamo pronti.
E del resto cos’altro abbiamo fatto in questi anni, cos’altro stiamo facendo se non predisporre idee e progetti, per l’Italia?
Diremo alla “Conferenza per la Ricostruzione” la sintesi del nostro progetto, e sarà un progetto alternativo, un progetto di cambiamento. Pareggio di bilancio sì ma insieme a equità, lavoro e sviluppo.
Ci rivolgeremo alle italiane e agli italiani.
Chiederemo l’aiuto di tutti per sgombrare le macerie di questi anni.
Ci metteremo al servizio di un risveglio collettivo.
Proporremo un progetto di governo che sappia parlare alle sensibilità positive, ai movimenti che si sono risvegliati nel Paese.
Quello delle donne, innanzitutto.

Perché l’autonomia e la dignità delle donne, insieme al loro stare in campo, misurano da sempre il grado di civiltà, di benessere, di un paese. Quando il rispetto per le donne regredisce, quando si umiliano i loro diritti, è il Paese intero che subisce un danno culturale e sociale incalcolabile. Ma insieme, e grazie ai movimenti, abbiamo reagito. Quelle piazze d’Italia di febbraio con la sciarpa bianca sono state un simbolo di riscossa prima di tutto sul piano civile. E ci inchiniamo, un mese dopo la tragedia, alla memoria delle cinque donne morte fra le macerie del laboratorio in cui lavoravano a quattro euro l’ora. Sentiamo tutti la vergogna di quelle morti.

Vogliamo dunque un cambiamento che poggi sulle straordinarie risorse femminili di questo Paese. Più donne nel lavoro, nelle carriere. Più donne nelle Istituzioni. Più riconoscenza per la loro intelligenza.
E allora diciamo sì a un piano per l’occupazione delle donne a partire dal Sud. Diciamo sì’ alla legge contro le dimissioni in bianco che questo governo ha stracciato. E alle risorse per la scuola pubblica e la cultura. Se faremo tutto questo anche l’economia si rimetterà in moto, si torneranno a fare figli e le famiglie saranno più forti contro la crisi. E soprattutto basta con umiliazione e la retrocessione delle donne! Dignità e rispetto!

Sapremo parlare con la forza del riformismo, al richiamo che ci viene dai movimenti che sono cresciuti attorno alla domanda di diritti, in un paese che fatica persino a licenziare una norma di civiltà contro l’omofobia, o riconoscere che un bambino nato qui, di qualsiasi colore sia è un italiano! Movimenti attorno ai beni comuni, a cominciare da quello della legalità e dal bene comune dell’istruzione, della conoscenza, della scuola.
Sapremo parlare alle speranze che tornano a fiorire nel Mezzogiorno e che abbiamo visto vivere sui volti e nelle parole dei duemila ragazzi che abbiamo incontrato a Napoli e che faranno con il Partito Democratico un viaggio lungo un anno, un viaggio di formazione, scambio di esperienze e iniziative sul territorio.
E ci faremo interrogare dal risveglio di sensibilità religiose che sentono il dovere di una presenza più attiva sul terreno della politica.

Stiamo lavorando e vogliamo lavorare ancora per offrire a loro lo spazio di una politica consapevole delle sue responsabilità, della sua autonomia e anche del suo limite, una politica che poggi sul pilastro di un Umanesimo forte, sulla centralità della Persona; una politica che possa unire i credenti e i non credenti appassionati della comune umanità degli uomini, della loro dignità e della loro libertà.
Ci metteremo a servizio, non a comando.
Chi ha il compito di guidare si mette a servizio, perché il senso del guidatore sta nel viaggio di tutti e non nel suo!
Il messaggio fondamentale lo daremo, ho detto, alle italiane e agli italiani.

Le alleanze politiche vengono dopo. Perché il più contiene il meno; e perché se non si alza la canzone popolare i cantanti da soli concludono poco!
Le alleanze politiche sono dunque per noi la conseguenza, non la premessa, della proposta per l’Italia.
Se diciamo ricostruzione, allora diciamo alleanza dei progressisti e dei moderati, diciamo patto di governo per una legislatura di ricostruzione, per sostenere la riscossa del Paese, per sconfiggere il rischio che viene dalla peggiore destra d’Europa.
E’ inutile immaginare una destra diversa, la destra italiana è quella e non può essere che quella!
Questa dunque è e resta la nostra proposta: alleanza dei progressisti e dei moderati per una legislatura di ricostruzione.
Unità per la ricostruzione.

Sappiamo che questa proposta è una sfida per tutti.
Per il centrosinistra, per le forze di centro e per lo stesso Partito Democratico. Ma guardando il dramma del Paese tutti devono accettarla!
Il Centrosinistra è alla prova della sua credibilità.
Tutti, Partito Democratico, SEL, IDV, Partito Socialista ne siamo consapevoli. Vogliamo ne siano consapevoli quelle culture radicali, e quelle culture ambientaliste a cui ci rivolgiamo con amicizia.
Nessuno si stupisca che il Partito Democratico dica con forza: non rifaremo l’Unione.

Il Partito Democratico è nato dopo, e per correggere quell’esperienza (che pure, adesso si può dirlo, lasciò alla destra 5 punti di avanzo primario, 70 miliardi all’anno che sono stati buttati via) ma non rifaremo quel percorso!
Sono contento di poter annunciare qui, a San Giovanni, che abbiamo fatto passi avanti nella costruzione di un centrosinistra di governo; sia nel lavoro programmatico, sui punti più delicati; sia per l’allestimento di un meccanismo del tutto nuovo che garantisca la stabilità della maggioranza parlamentare; sia per i percorsi di partecipazione popolare, per l’indicazione della leadership del centrosinistra e sia, infine, per una proposta politica comune aperta alle forze moderate.
Con questo appello alle forze di Centro per un patto di legislatura noi non strattoniamo nessuno. Vogliamo mettere davanti a tutti la situazione reale del Paese che non giustifica pregiudizi o barriere insormontabili per chi voglia lasciarsi alle spalle il populismo, per chi voglia mettere in sicurezza i fondamentali del Paese e dargli una prospettiva.
La destra non è scomparsa, Berlusconi non è stato e non è una barzelletta. La destra ci sarà, sarà forte e sarà aggressiva, cattiva.

Lo diciamo anche a coloro che si sono illusi in questi anni che Berlusconi fosse comunque preferibile al Centrosinistra; a coloro che ancora oggi perdono tempo a pensare che si possa oltrepassare Berlusconi e riprendere la nostra strada e il nostro volto nel mondo escludendo il Partito Democratico o indebolendolo, o dividendolo. Vediamo bene le operazioni in corso. Vediamo la ricerca confusa di soluzioni che possano prescindere dal PD o ridurlo a una ruota di scorta, a una salmeria.
No.

Il primo Partito del Paese non può essere e non sarà mai una ruota di scorta. Abbandonate questa idea, è una illusione!
E’ un’idea distruttiva non per noi ma per l’Italia!
E se in queste posizioni si annidasse ancora dell’egoismo sociale, l’idea cioè che la nave possa galleggiare facendo bagnare solo quelli della terza classe, ci si convinca finalmente: qui è a rischio la nave e non solo la terza classe!

Mentre rivolgiamo questo appello agli altri, sappiamo bene quello che tocca a noi.
Ce ne è anche per noi!
Per noi che abbiamo osato, unici in Italia, ma in buona compagnia nel mondo, chiamarci Partito e Democratico annunciando con questo la promessa di una riforma della democrazia rappresentativa, della politica, dei partiti; per noi che siamo nati per rompere il muro tra politica e società civile; per noi partito del lavoro, della Costituzione dell’unità della nazione; per noi, c’è una responsabilità da assumere davanti agli italiani.
Dopo soli quattro anni, ancora giovani quindi, e con tante cose da migliorare, siamo il primo partito del Paese, non siamo più un esperimento!
Davanti agli italiani che vogliono il cambiamento tocca soprattutto a noi prenderci la responsabilità.
Siamo all’altezza di questo?
I nostri comportamenti, le nostre discussioni sono sempre all’altezza della nostra responsabilità?
Sia chiaro: la discussione noi la rivendichiamo, fa parte del nostro progetto di democrazia. O il berlusconismo è così entrato in vena che sembra strano agli italiani che non parli uno solo per tutti?
Non è così, in nessuna democrazia del mondo! Non c’è uno che parla per tutti!
Il punto è: di che cosa si discute e come si discute.

Si deve discutere sui problemi veri, che i cittadini capiscono, e non sui problemi che capiamo solo noi e qualche organo di stampa. Si deve discutere, ma trasmettendo solidarietà e unità sulle scelte che si prendono.
E se ci chiamiamo Partito Democratico, vuol dire che non facciamo il verso al berlusconismo ma che facciamo l’inverso del berlusconismo!

E’ perché pensiamo che la comunicazione sta alla politica come la finanza sta all’economia: utili entrambe, buone, indispensabili: ma non possono prendere il comando, non possono dettare il compito!
Se ci chiamiamo Partito Democratico è perché rivendichiamo un punto di vista politico, autonomo, sulla realtà. Capaci dunque di ascoltare tutti, di dialogare con tutti, di aprirci in modo vero, ma mai di metterci a rimorchio di qualcuno.
Per la ricostruzione del Paese noi chiediamo alle Italiane e agli Italiani di essere messi alla prova del governo. Nel passaggio più difficile dell’Italia, dal dopoguerra a oggi, il Partito Democratico avrà il suo vero battesimo.
Ci aiuterà una nuova generazione che è già in campo.

Mostreremo di saper essere quel Partito riformista e di governo che l’Italia aspetta. Ciò che abbiamo seminato fin qui, con fatica, ma non senza risultati, ci aiuterà a essere un Partito riformista che governa non stando solo nel palazzo, ma stando nel palazzo, nelle piazze e nei luoghi di vita e di lavoro degli italiani.
Radicati, presenti nella realtà come un grande partito popolare.
Quello che si vede in questa piazza, quello che tornando a casa è pronto a muoversi piazza per piazza, casa per casa, per dire alle italiane e agli italiani: noi ci siamo.

Noi siamo con voi.

Abbiate fiducia, assieme cambieremo le cose, assieme ce la faremo. L’Italia ce la farà.
Viva l’unità per la ricostruzione, viva il Partito Democratico, viva l’Italia.

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