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"Aumenta la disuguaglianza diminuisce la democrazia", di Jean-Paul Fitoussi

La disuguaglianza e il suo aumento inarrestabile sono al tempo stesso causa ed effetto della crisi. Perché si è arrivati a questo punto? Nei Paesi industrializzati veniamo da trent´anni di crescita della disuguaglianza di pari passo con la dottrina dominante, che dalla rivoluzione conservatrice dell´inizio degli anni Ottanta ha generato una conversione al liberalismo, al free trade, alla deregolamentazione. Il fenomeno è caricaturale negli Stati Uniti, dove il 10% più ricco ha visto la quota di reddito nazionale aumentare del 15% mentre il salario medio dell´altro 90% conosceva una stagnazione.
Oggi la disuguaglianza è più forte che alla vigilia della crisi, e la ragione è la seguente: se c´è una stagnazione del reddito della grande maggioranza della popolazione, la domanda globale è bassa. Per contrastare quest´insufficienza la politica monetaria diventa espansionista. La gente che aveva difficoltà ad arrivare alla fine del mese ha fatto prestiti, e così il debito privato è aumentato. Dall´altra parte ci sono quelli che hanno avuto benefici dall´aumento della disuguaglianza, cioè i ricchi, che hanno visto la loro quota di reddito aumentare in modo enorme. Si sono ritrovati con un mucchio di soldi da spendere e hanno comprato case, titoli, azioni. Il che spiega la bolla speculativa, aggravata dal ritardo con cui ci si è accorti che questa accumulazione di ricchezza era illusoria, perché i mercati stavano sopravalutando il valore degli asset. Mentre accumulavano ricchezza i ricchi accendevano prestiti, che sono andati a sommarsi ai debiti di necessità del resto della popolazione. Quando le bolle speculative sono esplose, tutte le economie del mondo si sono trovate davanti a un eccesso di debito privato che ha fatto crollare le economie. Questo crollo ha fatto diminuire le entrate fiscali e quindi aumentare il disavanzo pubblico. I governi hanno provato a contrastare l´effetto della crisi con piani di rilancio finanziati con risorse pubbliche: c´è stata una sostituzione fra debito privato e debito pubblico.
Ha contribuito all´aumento della disuguaglianza la diffusa fede che per guadagnare in competitività in un´epoca di globalizzazione le cose più importanti fossero diminuire lo stato di protezione sociale, ridurre il costo del lavoro, non tassare i ricchi per evitare che cambiassero Paese. Si è diminuita la progressività dell´imposta e si sono alleggerite le tasse solo sulle imprese. È urgente invece rendersi conto che il sistema capitalista non può sopravvivere che in un contesto dove la disuguaglianza è tenuta sotto controllo. Va ripristinato il principio-base della democrazia, che è «una persona un voto», e non come indica il mercato «un euro un voto». Servono compromessi tra principi contraddittori, il capitalismo ha conosciuto i suoi periodi di gloria quando è riuscito in questo compromesso, aumentando per esempio la protezione sociale, fattore cruciale di stabilizzazione. Serve insomma la consapevolezza che se la disuguaglianza è troppo elevata si pone un serio problema politico di regressione della democrazia.
(Testo raccolto da Eugenio Occorsio)

La Repubblica 06.11.11

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“Chi sono i ricchi e perché sono sempre più ricchi”, di Federico Rampini

L´uno per cento della popolazione mondiale possiede il quaranta per cento delle ricchezze del pianeta. Ecco come vive, dove vive, cosa fa e come spende i suoi soldi quella parte dell´umanità contro cui (e in nome del restante 99%) si batte il movimento Occupy Wall Street. Nel 1774, appena il 9% del totale era in mano all´aristocrazia inglese d´America. Negli Stati Uniti l´upper class prende il volo dal 1982, quando Reagan sferra l´attacco al welfare state.
«Mamma, che cosa ci fa tutta questa gente sul nostro aereo?». Il figlio di Jacqueline Siegel non riusciva a darsi una spiegazione, la prima volta che si trovò in fila per l´imbarco (prima classe ovviamente) con tanti sconosciuti, lui che era abituato a viaggiare col padre sul jet privato dell´azienda. Benvenuti nel mondo ovattato dell´1%.
Una categoria sociale finita sotto i riflettori dell´attenzione pubblica grazie al movimento Occupy Wall Street: quello che si autodefinisce «il 99%» e denuncia i privilegi dell´oligarchia. Se vivete a Manhattan, cioè nel cuore della protesta, da quali segnali si capisce se appartenete al vituperato o invidiato un per cento? Ecco 12 comandamenti che tracciano la linea di demarcazione nella vita quotidiana. È un test empirico, la prova della verità che tradisce i veri privilegiati. Primo: vestite rigorosamente made in Italy (con l´eccezione delle scarpe Louboutin) comprando da Bergdorf Goodman sulla Quinta Strada. Secondo: cenate da Masa (il giapponese col menù senza prezzi…), Per Se, Marea, Babbo, e almeno una volta all´anno vi concedete il personal chef a casa con catering a tre stelle. Terzo: abbonamento fisso alla Metropolitan Opera, più donazione fiscalmente detraibile. Quarto: si vola solo BusinessFirst, se non è accessibile il Gulfstream. Quinto: mai in metropolitana, neppure se nevica. Sesto: assidua frequentazione di una Spa-fitness, con massaggiatore e trainer personale. Settimo: abbonamento al Wall Street Journal. Ottavo: vacanze estive in Toscana, ad Aspen per sciare, weekend nella casa agli Hamptons. Nono: figli in una scuola privata del tipo Waldorf (pedagogia progressista ma competitiva), retta di partenza trentamila dollari l´anno. Decimo: niente conto corrente bensì un telefono diretto con il servizio personalizzato Wealth Management di una grande banca. Undicesimo: il palazzo dove abitate deve avere i portieri in livrea. Dodicesimo: i cani vi piacciono di razza, ma è il dog-sitter che ve li porta tutte le mattine a Central Park.
Queste regole di vita da un per cento cambiano di poco se siete in Cina, paese che ha appena varcato la soglia di un milione di milionari: è nella Repubblica Popolare che Burberrys ha visto crescere del 34% le sue vendite in sei mesi, che Zegna ha inaugurato il suo settantesimo negozio, che la casa d´aste Christie´s ha venduto per quattro milioni di euro un paio di pistole d´epoca Qing con impugnatura d´oro incastonata di gemme. Non varia molto in Brasile, dove il potere d´acquisto dei benestanti è così florido che Louis Vuitton carica un sovrapprezzo del 100% rispetto agli stessi prodotti nel suo negozio sugli Champs-Elysées.
Stiamo parlando di una esigua minoranza di straricchi? Sono i soliti banchieri, magnati d´industria, star dello spettacolo? Non soltanto. Negli Stati Uniti gli individui con una ricchezza netta da 1 a 5 milioni – è la soglia sopra la quale i gestori patrimoniali vi classificano come «alti patrimoni» – sono 26,7 milioni. Altri 2 milioni di americani hanno un patrimonio fra i 5 e i 10 milioni netti. Un milione di persone stanno sedute su un gruzzolo dai 10 ai 100 milioni. Infine 29mila svettano sopra i 100 milioni di dollari. Tutti insieme fanno più di metà della popolazione italiana. Se vogliamo restare nella definizione precisa dell´1%, cioè solo tre milioni di americani, qui la soglia d´ingresso si misura in base al reddito. I dati dell´Internal Revenue Service (il fisco americano) segnano il confine esatto: bisogna percepire un reddito di almeno 506mila dollari lordi annui (375mila euro) per entrare nella cerchia dei tre milioni di persone che sono l´1% della popolazione americana. A livello mondiale per isolare l´1% che sta in cima alla piramide bisogna ritornare invece alle statistiche sul patrimonio, perché più omogenee. Il Global Wealth Report del Credit Suisse indica che costoro controllano il 38,5% della ricchezza mondiale, e che i loro averi sono cresciuti del 29% in un solo anno: è una velocità doppia rispetto alla crescita della ricchezza complessiva del pianeta.
Dunque Occupy Wall Street denuncia un fenomeno reale, quelli che stanno “lassù” hanno spiccato il volo, distanziando sempre di più la maggioranza della popolazione. Un affascinante studio degli storici Peter Lindert e Jeffrey Williamson dimostra che mai nella storia passata l´1% ebbe una quota così larga della ricchezza nazionale. Nel 1774, quando ancora c´era il colonialismo inglese e quindi l´aristocrazia, l´1% dei privilegiati nel New England controllavano appena il 9% del totale. La nobiltà dell´epoca viveva in condizioni meno distanti dalla media, rispetto alle nuove oligarchie del terzo millennio. Nella storia americana la dilatazione abnorme delle diseguaglianze ha una data di nascita: il 1982.
Non a caso, è l´inizio dell´era di Ronald Reagan segnata da un sistematico attacco al welfare state, al potere dei sindacati, insieme con politiche fiscali sempre meno progressive. È dal 1982 che l´1% si stacca dal resto, si alza verso la stratosfera, allarga le distanze: nel quarto di secolo successivo la sua quota del reddito nazionale viene più che raddoppiata, sale oltre il 20%; la quota di ricchezza va ancora più su, supera il 33%. È la traiettoria che illustra l´ultima copertina del settimanale The Nation: «Wall Street ha inventato la lotta di classe». Quando quel concetto era ormai diventato tabù nel dibattito politico americano, se ne sono appropriati i ricchi e il conflitto sociale sulla distribuzione delle risorse lo hanno stravinto loro. Ma c´è anche chi invita a compatirli. Robert Frank nel saggio The High-Beta Rich racconta la storia della famiglia Siegel, quella del figlio che non si capacita di dover salire in aereo con degli sconosciuti. Dopo aver fatto fortuna nell´immobiliare, ed essersi costruiti “la Versailles degli Stati Uniti” a Orlando, in Florida (23 stanze da bagno, un garage per 20 auto, 2 sale cinematografiche), se la sono vista pignorare dalle banche quando il mercato è crollato. «Gli straricchi non hanno mai sofferto una volatilità così esasperata della loro fortuna, legata ai mercati finanziari», spiega Frank.
Dunque l´1% è una categoria a rischio, ad alta mobilità, si entra e si esce con la porta girevole a gran velocità. Perciò nel 2008 fu varato il welfare dei banchieri: 600 miliardi solo per salvare Wall Street.

La Repubblica 06.11.11