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"Irresponsabili il partito trasversale", di Michele Brambilla

È nato un nuovo gruppo in Parlamento: quello degli Irresponsabili. È purtroppo molto numeroso. Lo compongono quei deputati e senatori che in queste ore non pensano agli italiani che temono di veder svanire i risparmi di una vita, o di perdere il lavoro: pensano a quale soluzione sarebbe più conveniente per la propria bottega.

Gli Irresponsabili stanno sia a destra sia a sinistra, sia fra i berlusconiani doc sia fra coloro che dell’antiberlusconismo hanno fatto la propria unica ragione sociale.

Di Pietro, per esempio. Ha tuonato contro Berlusconi per anni. E ora che Berlusconi cade, lui a che cosa pensa? Pensa che un governo Monti sarebbe una pacchia. Ma non per il Paese: Di Pietro pensa che sarebbe una pacchia per lui, che se ne starebbe fuori, facendo fare ad altri la partaccia di chiedere sacrifici agli italiani. Tra un anno e mezzo, il suo partito raccoglierebbe alle urne i frutti del malcontento.

Il caso della Lega è ancora più grave. Perché è più grave? Perché la Lega fa lo stesso ragionamento di Di Pietro – spera in un governo Monti per rimanerne fuori e guadagnare voti – ma con l’aggravante che, se siamo arrivati sull’orlo del precipizio, è anche per colpa di chi ci ha governato fin qui; e negli ultimi dieci anni la Lega è stata al governo per più di otto. Per pensare di rifarsi una verginità con un anno di opposizione occorre un bel pelo sullo stomaco: e in fondo anche una certa disistima dei propri elettori.

Provate poi a guardare l’elenco di coloro che, nel Pdl, non vogliono appoggiare un governo Monti. Pensiamo male se pensiamo che molti di loro corrispondono a chi nel nuovo governo non avrà più né posti né posticini? Anche nel Pd ci sono molti tormenti. La posizione ufficiale è quella di un appoggio a un governo di unità nazionale. Ma in realtà molti temono che una simile scelta verrebbe pagata duramente alle prossime elezioni.

Insomma il gruppo parlamentare degli Irresponsabili sta semplicemente pensando ai fatti propri. Che siano posizioni di potere personale o calcoli elettorali, non fa molta differenza. Sta girando in questi giorni quella frase di De Gasperi, «un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione» e c’è da sorridere, o da rabbrividire, se pensiamo a come simili parole possano scivolare via in certe coscienze.

L’altro giorno a Montecitorio un deputato ci diceva che secondo lui questa è la crisi più grave della storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Gli ho obiettato che forse gli anni del terrorismo furono più bui. «È vero – mi ha risposto – allora c’erano le bombe e i morti ammazzati per strada. Ma c’erano parlamentari che, davanti al pericolo, fecero fronte comune per sconfiggere il mostro. E ci riuscirono».

Come dargli torto? Dc e Pci, ideologicamente, erano ben più distanti di quanto non siano oggi il centrodestra e il centrosinistra. Ma quando rapirono Aldo Moro, in piazza vedemmo le bandiere bianche scudocrociate accanto a quelle rosse con la falce e il martello. E in Parlamento democristiani e comunisti votarono insieme le leggi per l’emergenza.

Appunto, «emergenza». È la parola che ovunque e in ogni tempo spinge maggioranze e opposizioni a collaborare per il bene del Paese. In Italia, prima ancora che negli anni Settanta, accadde nel primo dopoguerra, quando c’era da ricostruire tutto. Churchill mise insieme laburisti e conservatori. Ma è inutile continuare a fare esempi: sarebbero infiniti.

Oggi non siamo in guerra, ma sicuramente in un gravissimo pericolo. Tutto fa pensare che la strada da provare sia quella di un governo di unità nazionale. Qualcuno può credere che, viceversa, sia meglio andare al voto. Quel che è certo è che tutte le opinioni sono rispettabili solo se sincere. Se sono motivate da interessi di parte, non sono rispettabili per nulla. Anzi, in un momento come questo sono molti simili allo sciacallaggio.

La Stampa 11.11.11