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Le condizioni di Bersani: «Ora equità e nomi nuovi», di Simone Collini

Tra le condizioni poste dal leader dei Democratici, la «discontinuità» rispetto all’attuale governo e la necessità di una nuova legge elettorale. Monito a Sel e Idv per evitare il “fuoco amico”. «Certo che per noi sarebbe stato meglio andare subito a votare, ma il bene del Paese viene prima degli interessi di partito o dei destini personali». Pier Luigi Bersani non si stupisce delle perplessità e delle critiche che militanti e simpatizzanti del Pd esprimono via web, del fatto che mezza segreteria (a cominciare dal responsabile del settore Economia e lavoro Stefano Fassina) evidenzi i rischi che comporta questa scelta, o che l’autore della ormai storica “Velina rossa” Pasquale Laurito bocci il «governo dell’ammucchiata» e annunci che al prossimo giro mancherà il suo voto, dopo 67 anni di militanza tra Pci, Pds, Ds e Pd.
Bersani sa bene quale sia nei sondaggi il vantaggio del centrosinistra rispetto al centrodestra, così come sa che con le urne nel 2013 tutto, candidatura alla premiership compresa, rischia di essere messo in discussione. Ma il leader del Pd ripete a tutti i suoi interlocutori che stiamo vivendo «la crisi più grave dal dopoguerra ad oggi» e che a situazioni di emergenza si deve rispondere con soluzioni di emergenza, che «i partiti sono un mezzo non un fine» e che il Pd «non fa business» sulla crisi del governo ma lavora perché già la prossima settimana l’Italia abbia un governo guidato da Mario Monti.
LE CONDIZIONI DEL PD
Al Quirinale, dove molto probabilmente domenica si apriranno le consultazioni, il leader del Pd andrà a dire che il suo partito è pronto a sostenere un esecutivo che abbia «un profilo di netta e inequivocabile novità» e che sul fronte economico adotti misure di «equità». Tra le condizioni che pone Bersani c’è la «discontinuità» rispetto all’attuale governo, e quindi è difficile che il Pd dica sì a nomi che compaiono nel totoministri che circola in queste ore, che vanno da Frattini a Nitto Palma a Fitto. C’è la necessità che a sostenerlo sia il Pdl, e non «frange» di partito. E poi ci sono le condizioni per così dire programmatiche, visto che il Pd vuole utilizzare i prossimi mesi per approvare una nuova legge elettorale, una riforma per dimezzare il numero dei parlamentari (che in quanto costituzionale richiederebbe almeno 12 mesi di tempo), misure per l’occupazione e altre redistributive sul piano fiscale: «Per uscire dalla crisi serve uno sforzo comune ma chi ha di più deve dare di più», è il messaggio rilanciato da Bersani nel corso di un incontro a Montecitorio a cui partecipano anche Fini, Casini e Alfano. Praticamente tutti i leader della nuova maggioranza che, se tutto andrà come previsto, sosterrà l’esecutivo Monti.
Bersani sa che questa scelta rischia di avere come prima conseguenza una lacerazione nel centrosinistra. E che difficilmente non avrà ripercussioni, alle urne, un fuoco amico contro il Pd protratto per mesi. Per questo il leader dei Democratici ieri mattina ha incontrato il responsabile Organizzazione di Sel Francesco Ferrara (uno degli uomini più vicini a Nichi Vendola dai tempi di Rifondazione) per chiedere che intenzioni abbiano ma soprattutto per raccomandare un atteggiamento responsabile in questo delicato passaggio. E per questo Bersani ha lanciato un messaggio piuttosto chiaro nei confronti di Antonio Di Pietro: «Non è che uno può andar per funghi durante il governo d’emergenza e poi tornare con noi per la campagna elettorale».
Questo passaggio segna comunque un rafforzamento dell’asse col Terzo polo. Casini, che ha passato la mattina a incontrare ex pidiellini e “responsabili” che stanno lavorando per dar vita a un nuovo gruppo alla Camera (Antonione, Destro e Gava da ieri sono intanto al Misto), dice che «siamo a un passo dal baratro, ci dobbiamo fermare e far prevalere l’unione». Poi, avverte il leader dell’Udc, «ciascuno potrà tornare alla posizione precedente». Ma sarà più facile farlo se i partiti sosterranno il nuovo governo senza entrarci.
E infatti il ragionamento che prevale in queste ore tra i Democratici è di non indicare nessun esponente Pd come ministro. Alle consultazioni Bersani (che critica l’esercizio al totoministri di queste ore) dovrebbe dare il suo assenso per un governo formato da personalità autorevoli, credibili a livello internazionale, e non esponenti di partito.

L’Unità 11.11.11