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"Monti, più di un tecnico", di Pierluigi Castagnetti

Nei prossimi giorni, dunque, si chiuderà anche formalmente la stagione di Silvio Berlusconi e del berlusconismo, e inizierà una nuova fase in cui si dovrà ricostruire sulle macerie accumulate negli anni che sono alle nostre spalle.
Il dilemma che stanno dividendo in queste ore le forze politiche di maggioranza e di opposizione riguarda il modo più appropriato per voltare pagina. Alcune hanno già deciso di optare per un rapido scioglimento del parlamento e passare, attraverso le elezioni, a un’altra legislatura. Altre invece ritengono responsabilmente di dovere mettere avanti rispetto alla proprie convenienze elettorali l’interesse del paese. «Prima l’Italia» ha detto Bersani, «il Pd deve innanzitutto preoccuparsi del fatto che l’Italia è in pericolo, che viviamo il momento più difficile del dopoguerra, che sono in gioco posti di lavoro, redditi, risparmi».
Così ragiona una forza politica nazionale quando è in ballo il destino del paese. La responsabilità di chi invece ragiona in modo diverso è molto grave. L’ipotesi di nuove elezioni deve infatti necessariamente essere scartata dopo le reazioni che i mercati hanno manifestato solo due giorni fa di fronte al tentativo di Berlusconi di scegliere la via dell’ambiguità e delle tergiversazioni. Per placare l’aggressione degli speculatori e di chi ha interesse a utilizzare la debolezza dell’Italia per mettere in crisi e l’euro e, dunque, l’intero continente, occorre dare risposte immediate, assumersi responsabilità immediate. Il presidente della repubblica si è assunto le sue, ha messo in campo il suo onore e il suo prestigio per rassicurare i mercati della serietà dell’impegno dell’Italia a fare la parte che le spetta. In queste ore non c’è spazio neppure per polemiche, in un certo senso dovute, verso chi ci ha condotto a questo punto, perché il Presidente della Repubblica ha caricato l’intero paese dell’onere di una reazione credibile, tempestiva, unitaria, corrispondente al dramma che l’ha investito. Non sarà facile, lo sappiamo, convincere tanti elettori che in assoluta buona fede avrebbero voluto riprendersi immediatamente la parola per chiudere con le elezioni una stagione di dissipazioni e irresponsabilità che è durata sin troppo. Ma se nelle giornata di mercoledì scorso lo spread tra i Btp e i Bund ha superato la quota di 550 e le Borse sono precipitate in misura drammatica, non è possibile correre il rischio di una dilatazione di tale situazione per altri due o tre mesi, il tempo della campagna elettorale e delle elezioni, per ritrovarci poi con un paese ancor più stremato e praticamente espulso dall’Europa, al punto da rendere problematica la possibilità anche solo di una ricostruzione.
Il Pd, proprio perché conosce il destino che lo attende, che è appunto quello di dovere ricostruire le basi materiali morali e civili di questo paese, non poteva certo prestarsi ad una scelta tanto devastante.
Questa alla fine è la ragione per cui nella forza politica nazionale che dice «prima l’Italia» non aveva e non ha altra scelta che quella di sostenere un tentativo estremo di salvezza nazionale insieme a tutte le forze politiche disponibili, anche a quelle che sono responsabili di questa situazione ma che rappresentano un pezzo della società che pure deve essere coinvolto nello sforzo di ricostruzione.
È evidente che si tratta di una scelta transitoria, per coprire l’arco temporale che ci separa dalla fine naturale della legislatura, e presentarci alle prossime elezioni con le carte in regola di chi ha lavorato con coerenza per evitare la deriva e alla fine – pur di fermare la deriva stessa – ha rinunciato ad un consenso maggioritario pressoché sicuro con un anno di anticipo, perché quell’anno di governo in più che avrebbe avuto a disposizione forse non avrebbe colmato la profondità del baratro in cui il perdurare di una crisi così violenta l’avrebbe trascinata. L’ipotesi concreta di potere dar vita ad un esecutivo guidato dal professore Mario Monti, oggi senatore a vita per una felicissima quanto imprevista decisione del presidente Napolitano, sta ora prendendo corpo. Non v’è dubbio che l’uomo a cui è affidata questa difficilissima impresa sia una delle maggiori personalità del nostro paese che godono di grande prestigio internazionale, per la propria competenza, la propria biografia, la propria personalità morale oltreché scientifica. Si tratta di un tecnico, ma non solo di un tecnico. Chi ha ricoperto, come il professor Monti, l’incarico di commissario europeo gestendo per dieci anni deleghe complesse come quelle della mercato interno e poi della concorrenza, con risultati che hanno sorpreso il mondo (basta citare i provvedimenti contro il monopolista Microsoft e contro l’ipotesi di fusione fra General Electric e Honeywell), non può certo essere considerato privo di esperienza di governo, e, dunque, di esperienza politica.
Ho avuto personalmente la possibilità di conoscere e vedere da vicino la serietà, il rigore e la sensibilità politica con cui è solito lavorare Mario Monti, lo stile, persino un certo charme che gli dà quell’autorevolezza che è requisito prezioso per un uomo di governo.
L’abbiamo visto anche recentemente in alcuni dibattiti televisivi e abbiamo avuto tutti la possibilità di cogliere quel “di più”, cioè quell’alone di sicurezza che sanno trasmettere le persone che mostrano di padroneggiare in profondità le materie di cui parlano e si occupano. Monti venne consultato da Nino Andreatta per l’ipotesi di una sua designazione a commissario europeo qualche anno prima rispetto alla scelta del governo Berlusconi prima e del governo D’Alema poi e, come sappiamo, venne consultato per l’ipotesi di guidare un governo anni prima di quando probabilmente gli capiterà di fare, a conferma della serietà con cui è solito valutare proposte così impegnative. Se oggi Monti diventerà presidente del consiglio è perché è un cittadino italiano ed europeo che ama la sua patria e sente di non potersi sottrarre ad una richiesta come quella che gli farà il presidente Napolitano.
Ciò non significa che le scelte di un auspicabile gabinetto Monti saranno facili e prive di costi nell’immediato, costi anche politici per chi le sosterrà. Sappiamo che ci attendono giorni difficili. C’è da augurarsi che non siano anche giorni cattivi, cioè segnati dall’irresponsabilità di chi sta sugli spalti a guardare il lavoro degli altri. Per come l’ho conosciuto penso che il professor Monti non rinuncerà ad assumersi le responsabilità che deve, ma lo farà avendo presenti i costi sociali di ogni scelta e il dovere di dare conto giorno per giorno della misura di giustizia che intende realizzare.

da Europa Quotidiano 11.11.11

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Pisapia: è Monti la soluzione migliore

Sindaco Giuliano Pisapia, governo Monti sì o no?
«È chiaro che avrei preferito che l’Italia non si trovasse a questo punto, però sappiamo di chi è la responsabilità. Ho già detto e ripeto che in questa situazione un governo affidato al senatore Mario Monti sarebbe la soluzione migliore per uscire da una situazione che rischia di portare al collasso l’Italia».
Quali vantaggi intravede in questa scelta?
«Ci aiuterebbe ad uscire dalla crisi, a restituire credibilità al Paese e, vorrei aggiungere, a restituire dignità al termine “responsabili” che in questi mesi ha perduto il suo valore. Oggi sono in gioco la capacità e la volontà di essere responsabili di fronte a una situazione che potrebbe portare al disastro».
Un governo tecnico?
«Al contrario: un governo profondamente politico. Sarebbe auspicabile che fosse appoggiato da una maggioranza che sceglie di guardare all’interesse del Paese più che a quello del proprio partito».
Sì alle larghe intese, insomma?
«Solo un’ampia condivisione potrà consentire di fare scelte difficili, ma necessarie. Scelte che non siano di macelleria sociale, ma che ci portino fuori dalla crisi e diano un segnale forte per lo sviluppo del Paese. E solo un’ampia condivisione darebbe forza e coraggio per le riforme istituzionali».
E le riforme?
«Procedano parallelamente. Servono le riforme istituzionali: una nuova legge elettorale, il Senato delle Regioni, il taglio dei parlamentari. Oltre a garantire un risparmio, darebbero un segnale profondo di reale cambiamento e di sviluppo della democrazia».
Sel chiede un governo a tempo: lei cosa ne pensa?
«Non ho letto ancora cosa dice Sel. Ma è chiaro che bisogna darsi un periodo, spero possano bastare sei-otto mesi, per poi restituire la parola ai cittadini».
Di Pietro teme che un governo Monti sia un governo delle banche e della finanza: condivide?
«Il timore c’è sempre. Ma possiamo fidarci di una personalità come Mario Monti che dovrà seguire le indicazioni che provengono dall’Europa per non farci piombare in una crisi irreversibile, ma che sarà capace di non colpire chi è già stato tartassato e i soggetti più deboli che invece devono essere aiutati. Per garantire lo sviluppo dell’economia ci sono soluzioni alternative: la patrimoniale, la lotta all’evasione fiscale, i grandi stipendi, i costi della politica».
Come giudica il «no» dell’Italia dei Valori?
«Vedo passi avanti: dicono che valuteranno se votare alcune riforme. In questa fase abbiamo un obbligo politico e morale di condivisione di alcune scelte, uscendo dalla logica elettoralistica».
Che alleanze prefigura per il futuro?
«Mi piacerebbe si seguisse l’esperimento milanese. Noi abbiamo proposto agli elettori una coalizione di centrosinistra molto ampia e unita in cui si sono riconosciuti anche l’associazionismo e personalità moderate. A livello nazionale ci sarà bisogno di costruire una coalizione ampia che abbia presa diretta sul territorio, goda dell’apporto di personalità credibili in Italia e all’estero. Non parlo di partiti, ma di singole persone».
Il governo Monti sarà un vantaggio per Milano?
«Se ci sarà un governo Monti, sono certo avrà la sensibilità di capire che il tema della riforma economica non può passare dalla penalizzazione degli enti locali, come accaduto negli ultimi anni. Sono molto fiducioso, perché Mario Monti sa bene quanto siano importanti temi come Expo e sa che aiutare Milano significa aiutare la ripresa di tutto il Paese, che inevitabilmente deve passare da qui».
Un governo amico, dunque?
«Un governo che non dimostri disinteresse, come ha fatto il governo Berlusconi con Milano».

Il Corriere della Sera 11.11.11