attualità, politica italiana

"Nelle mani di Napolitano", di Carlo Galli

Se, dopo le dimissioni che Berlusconi si è impegnato a rassegnare oggi, l´Italia sarà traghettata verso una condizione di minore insicurezza lo dovrà a Giorgio Napolitano. Che si è assunto il compito di guidare con responsabilità e prudenza, ma anche con fermezza, la transizione da un´eccezione a un´altra, fino alla normalità. Cioè di gestire l´eccezione con stile e con finalità opposte a quelle del premier.

Dentro il cui partito, invece, sta crescendo la ribellione contro la normalizzazione per perpetuare fino all´ultimo l´anomalia berlusconiana: con il rischio di far saltare l´unica chance di salvezza dell´Italia dal baratro finanziario.
Lo stato d´eccezione è stato il modo con cui Berlusconi ha governato: la forzatura delle norme e delle forme costituzionali, l´attivazione di uno scontro costante con la magistratura, la sollecitazione di un conflitto ideologico, modellato sul rapporto amico-nemico, tra maggioranza e opposizione. La politica doveva esprimere la propria energia al di fuori delle istituzioni: le elezioni non servivano a eleggere una maggioranza ma a fondare il rapporto carismatico fra il Capo e il suo Popolo; un rapporto che faceva a meno non solo delle istituzioni ma anche della forma-partito. Funzionale a gestire e ad alimentare l´eccezione è stato quindi il populismo, ossia la trasformazione del popolo in un corpo coincidente con quello del Capo, il quale può modularlo, animarlo, eccitarlo, politicizzarlo, indirizzarlo, secondo i propri fini. Che, nel caso di Berlusconi, hanno coinciso con la propria salvezza dalla magistratura, e con la copertura e la promozione di reti di affarismo che hanno potuto appoggiarsi alle strutture pubbliche; ma il lato egemonico di questa operazione è consistito nell´istillare in una larga parte del popolo italiano – peraltro disponibilissimo a ciò – la convinzione che il migliore rapporto possibile con la cosa pubblica sia negarla e sostituirla con la molteplicità degli interessi privati. L´eccezione ha avuto aspetti pubblici e ricadute politiche, ma è stata orientata da finalità personali e nutrita di una sorta di particolarismo di massa. È stata il trionfo dell´autoreferenzialità, la produzione artificiale di un mondo rovesciato.
Tutto ciò ha generato gravi squilibri istituzionali, economici e sociali. La crisi economica e finanziaria internazionale è stata negata o minimizzata, perché non si è capito che l´economia – in assenza di riforme reali – non cresce, ma soprattutto perché la politica dell´eccezione permanente ha accecato molti (non tutti, in verità: pezzi sempre più importanti del Paese se ne sono accorti, nei mesi scorsi). Una politica tutta centrata sul particolare ha perduto di vista ciò che ha significato universale; il mondo rovesciato ha celato il mondo vero.
L´eccezione “domestica”, populistica, ha facilitato l´ingresso della crisi esterna all´interno della nostra società, trasformandola in un´eccezione reale, in un pericolo tanto più grave quanto più mistificatoria e inaffidabile appariva la nostra politica. Per nostra fortuna, mentre il maldestro stregone nostrano, manipolatore della realtà, è stato giudicato inaffidabile – tanto da mettere a rischio l´euro e l´Europa – , i leader europei e occidentali hanno potuto individuare in Napolitano l´interlocutore affidabile e responsabile, in grado, con il corretto esercizio della sua autorità, di costituire l´ultima riserva della Repubblica, di mettere con la sua fermezza Berlusconi davanti alle sue responsabilità.
Ora che l´eccezione reale – quella che Berlusconi continua ancora a definire ‘speculazione´, e che è invece una crisi di fiducia e di credibilità nell´Italia da lui governata – ha scacciato l´eccezione fasulla, il Capo dello Stato ha un ruolo centrale nell´individuare una gestione produttiva della crisi. Si tratta per lui di esprimere il massimo di energia politica nel momento della più grave debolezza della politica, che coinvolge sia le due coalizioni, che a destra come a sinistra rischiano di “perdere le ali”, mentre anche i due maggiori partiti sono sottoposti a tensioni laceranti; si tratta cioè di farsi garante che un governo “tecnico” – almeno nel senso che probabilmente vedrà una bassa rappresentanza delle forze politiche e sarà variamente sostenuto da queste, con voto favorevole o con astensione – goda di una legittimazione non solo formale da parte del parlamento ma incorpori nella propria nascita e nella propria azione una volontà politica di salvezza nazionale che in questa fase può trovare sintesi ed espressione prima nel Capo dello Stato – rappresentante simbolico, ma non mediatico, del Paese intero, di cui gode la quasi totale fiducia – che non nelle forze politiche esitanti e divise.
È impressionante osservare come a questo tentativo di Napolitano – solo grazie al quale il mondo ci sta dando un´ultima chance – si contrappongano all´ultimo gli sforzi di una parte del Pdl di sottrarsi alla responsabilità dell´ora presente, e di riproporre – opponendo al nome di Monti altre candidature di parte – la politica del populismo, della mobilitazione faziosa del popolo, alla politica della salvezza nazionale. Non di democrazia contro la tecnocrazia o contro il lobbismo si tratta, ma, ancora una volta, dell´eccezione polemica, che divide e che illude – l´essenza del berlusconismo – , contro l´energia che unisce. L´ultima raffica dell´anomalia contro la volontà di rinascita di un Paese.
Napolitano sta invece impegnando il proprio prestigio perché il governo che deve nascere abbia tutta la legittimità politica di cui ha bisogno per affrontare l´eccezione reale con strumenti adeguati: eccezionali, quindi, ma non immaginari; energici, ma rispettosi delle forme, dello spirito e degli equilibri della Costituzione; rapidi ma trasparenti; non populistici ma neppure impopolari, per non lasciare spazio a chi sta già individuando nuovi nemici interni e esterni (la plutocrazia e i suoi alleati, definiti “lobbisti”) per giustificare i propri fallimenti e la propria irresponsabilità. Insomma, è toccato a Napolitano – praticamente solo nella tempesta – il compito di affrontare lo squilibrio, ma non per incrementarlo quanto piuttosto per raddrizzarlo; di custodire la Costituzione, rappresentando nella propria persona, che è un´istituzione e non un Ego narcisistico, la volontà politica di una nazione che non si rassegna alla crisi. Appunto, il compito di attraversare l´eccezione, ma non per farne lo strumento di un governo mistificatorio quanto piuttosto per far approdare l´Italia a quella normalità che ancora pare l´irraggiungibile Graal della nostra politica.

La Repubblica 12.11.11