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"Studenti e disoccupati i ceti traditi: dal sogno all’incubo berlusconiano", di Carlo Buttaroni

Nel nuovo corso bisogna recuperare questa parte di tessuto sociale che rischia di rimanere apolide e ciò sarebbe un problema grave per la democrazia. Ma questo sarà compito dei partiti, non di Monti. L’incarico che il Presidente della Repubblica ha dato a Mario Monti non è quello di rilanciare l’Italia dal punto di vista politico e sociale, per quello ci vorrà tempo e un governo con caratteristiche diverse. Adesso l’emergenza è mettere in sicurezza il Paese e gestire uno scenario di guerra il cui campo di battaglia è rappresentato dai mercati.
Nelle prossime ore i bollettini provenienti da Piazza Affari e dalle altre piazze finanziarie ci aggiorneranno sull’evolversi della situazione e vedremo come reagiranno. Nel frattempo, come in tutte le guerre, il morale fa la differenza e i primi segnali sono confortanti: giù lo spread, i tassi d’interesse sul debito alleggeriscono la morsa, cresce la fiducia nella tenuta del fronte italiano. Ma siamo solo all’inizio, dobbiamo esserne consapevoli, perché gli attacchi alle strutture economiche del nostro Paese non si esauriranno a breve. Al contrario, saranno ancora violenti e dalla capacità di risposta del nuovo governo dipenderanno le sorti del nostro Paese.
Se l’Italia ha ancora delle carte da giocare il merito è soprattutto del Presidente della Repubblica. In questi lunghi mesi il Quirinale ha rappresentato il vero punto di riferimento per gli italiani e per le cancellerie europee. Di fatto, il settennato di Giorgio Napolitano si sta caratterizzando come il più politico nella storia della Repubblica.
Se quello di Mario Monti è un gabinetto di guerra, voluto dal Presidente della Repubblica, la partita che si gioca in Parlamento, su cui però Giorgio Napolitano nulla può, rischia di complicare il quadro e rendere più debole il nuovo esecutivo.
La Lega e parte del Pdl sono dichiaratamente contrari e anche tra chi non fa mancare parole di sostegno a Mario Monti, ci sono distinguo e precisazioni, che lasciano intuire che molti pensano già al dopo e alle prossime elezioni politiche.
D’altronde il nuovo Presidente del Consiglio dovrà mettere in campo misure straordinarie per rafforzare la tenuta del nostro Paese, misure che probabilmente molti considerano inconciliabili con un consenso ancora tutto da confermare o ricostruire.Si parla di patrimoniale e di nuovi tagli alla spesa pubblica, d’interventi sulle pensioni. Sicuramente la situazione richiede interventi forti e l’unica cosa certa è che Monti dovrà agire tempestivamente, come ha chiesto lo stesso Presidente della Repubblica. Anche perché gli ultimi mesi del Governo Berlusconi sono stati drammatici proprio per le incertezze, i ritardi, le marce indietro, i provvedimenti annunciati e mai presi. Incertezze che hanno fatto anda-
re in fumo gran parte delle risorse che, da giugno in poi, sono state attivate per far fronte alla crisi economica. Un prezzo che gli italiani pagheranno, per lungo tempo, di tasca propria in termini di pressione fiscale, diminuzione del potere d’acquisto, tagli dei servizi, disoccupazione.
Adesso, per far fronte alla guerra, il nuovo esecutivo cercherà un sostegno senza incertezze, senza distinguo, senza tentennamenti, senza marce indietro improvvise, senza imboscate da parte di chi siede in Parlamento. Al di là delle parole di circostanza non sarà facile, anche perché la disgregazione del Pdl e il comportamento dell’ex maggioranza, divisa tra chi vuole dare sostegno al nuovo Premier e chi vuole evitare contagi in vista di future elezioni, complicano ulteriormente il quadro. E questo la dice lunga sul prevalere degli interessi individuali rispetto a quelli del Paese, almeno in una parte di coloro che siedono nelle aule di Camera e Senato.
È proprio questo, probabilmente, il lascito peggiore del crepuscolo berlusconiano: non nei conti pubblici, quanto nel venir meno di quel senso di responsabilità e dello Stato al quale sempre più spesso Napolitano ha fatto richiamo.
Una degenerazione culturale e politica che si rispecchia nelle forme espressive di un potere che, in questi ultimi anni, è stato prossimo a un morbido assolutismo e quasi indifferente al bene comune.
L’eredità di Berlusconi è nell’aver trasferito la democrazia nel perimetro tecnologico dei media, instaurando un regime spettacolare che ha cambiato il modo stesso di governare, mettendo al posto della politica, nuovi apparati e nuovi rituali basati sulle tecniche del marketing: alimentare i bisogni trasformandoli in sogni, sostituire il ragionamento con le emozioni, sedurre anziché convincere.Quello di Berlusconi, più che un governo, è stato un regno, con tanto di palazzi e ville, guardie, giardinieri, cortigiani, feste di corte. Un sovrano, con tratti narcisisti e megalomani, che passeggiava sui palchi, dispensava investiture e indulgenze, raccontava barzellette, dando corpo a una dittatura dell’intimità e a una rappresentazione pornografica della quotidianità che si è via via popolata di personaggi improbabili.L’uscita di scena di Berlusconi, che si è consumata sabato, è pro-
babilmente l’ultima puntata di una serie di trasformazioni che ne hanno più volte annunciato la fine e poi la rinascita. Il Berlusconi che ha chiesto il voto nel 2008 per un nuovo miracolo italiano, è diverso da quello del ’94 e del 2001, perché diversa è la base del suo consenso: non più la massa di lavoratori autonomi, di casalinghe e pensionati ma i lavoratori dipendenti con un inquadramento medio e basso, se, a dar corpo al consenso, è stato il miraggio di un nuovo miracolo annunciato dai teleschermi in formato 16:9. Oggi quel sogno si è trasformato in un incubo. I lavoratori dipendenti, compresi quelli pubblici, non hanno più la sicurezza del posto fisso; gli studenti vivono l’ansia di un futuro incerto; tra i disoccupati la prospettiva di riscatto si è trasformata in rassegnazione.
Il rischio è che la delusione del sogno tradito li trasformi in apolidi e li porti a rinunciare alla cittadinanza politica. Questo l’Italia non può permetterselo. E purtroppo a questo Monti non potrà porre rimedio perché è compito della politica e dei partiti ricostruire quel tessuto democratico sfilacciato che oggi minaccia le fondamenta della democrazia.

L’Unità 14.11.11