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Bersani parla di svolta «Il Pd ci ha lavorato e l’ha ottenuta», di Simone Collini

Bersani soddisfatto: «Abbiamo lavorato per la svolta, e c’è stata». Bindi: «Governo sostenuto non da una coalizione ma da forze che lavorano in autonomia». Di Pietro: «L’Idv vota la fiducia ma non entra in maggioranza». Il Pd sosterrà questo governo, ben sapendo dall’inizio che non tutte le misure che varerà saranno pienamente condivisibili, ma mettendo fin d’ora in chiaro che l’attuale situazione non consente una politica “dei due tempi”. Pier Luigi Bersani scorre con soddisfazione la lista dei nuovi ministri uscita dopo due ore di colloqui tra Giorgio Napolitano e Mario Monti. Non solo perché ha incassato la «discontinuità» (assenza di Gianni Letta compresa) richiesta. O per la scelta «da dieci e lode» della «dirimente presenza femminile». Il leader del Pd dà un giudizio positivo del nuovo governo in tutti i colloqui che ha dalla mattina alla sera, con Pier Ferdinando Casini («questo è un governo ottimo», dice il leader Udc), con Antonio Di Pietro (che fa sapere che «l’Idv darà la fiducia ma non farà parte della maggioranza» e deciderà di volta in volta come votare), con Massimo D’Alema, Walter Veltroni e poi con tutti gli altri membri del coordinamento del Pd che si riuniscono fino a tarda notte nella sede del partito.
Bersani è «soddisfatto» perché, dice dopo il giuramento al Quirinale del nuovo esecutivo, «abbiamo lavorato per la svolta e la svolta c’è stata», perché sa per conoscenza diretta quanto valgano diversi ministri (da Francesco Profumo, col quale il Pd aveva discusso della candidatura a sindaco di Torino, a Corrado Passera a Elsa Fornero, ospite abituale ai convegni del partito dedicati al tema del welfare) e perché, nella gestione della crisi il Pd si è mosso «compattissimo» («sono orgoglioso del mio partito e ringrazio tutti i dirigenti»).
Per questo Bersani vuole dare una forte legittimazione politica da parte del Pd al governo Monti, intervenendo in Aula prima del voto di fiducia definitivo, domani alla Camera. «Siamo pronti a dare tutta la nostra collaborazione e il sostegno attivo a questo governo», assicura il leader dei Democratici. Dal nuovo governo non si aspetta «macelleria sociale», ma fa sapere di voler discutere con la stessa «generosità» mostrata fin «portando le nostre proposte». Bersani sa bene che quello insediato «non è certo un governo del Pd ma un governo che il Pd vuole sostenere», che «non tutto sarà collimante con quello che pensiamo noi» e che però per uscire dalla crisi può essere necessario votare misure condivise solo in parte: «Se ognuno ragionasse che vota solo se è al 100% d’accordo, non saremmo qui a fare tanta fatica. Dobbiamo dare un segnale all’Italia e al mondo che è una cosa seria».
MAGGIORANZE VARIABILI
Di Pietro, che in alcune nomine vede il «rischio di conflitti di interesse», la pensa diversamente e annuncia che l’Idv oggi al Senato e domani alla Camera darà la fiducia al governo ma poi deciderà volta per volta come vo-
tare (anche Nichi Vendola vede «segni di continuità con il passato). Questo vuol dire che in Parlamento ci saranno maggioranze variabili. Nel Pd però nessuno drammatizza, e anzi la situazione può consentire di far emergere meglio è un governo non di larghe intese ma «di emergenza e di transizione», come insiste Bersani. Non a caso Rosy Bindi, a Casini che dice che «è finita la diaspora della Dc», risponde che «oggi non è che ci siamo riunificati»: «Questo governo non è sostenuto da una coalizione ma da forze politiche che lavorano ciascuna nella propria autonomia». Un’impostazione che consente al Pd di continuare a lavorare al Nuovo Ulivo.
NO ALLA POLITICA DEI DUE TEMPI
La partita entrerà nel vivo quando si inizierà a discutere di questioni programmatiche. E Bersani, pur assicurando che il Pd potrebbe votare anche misure con cui sarà d’accordo «al 50 o 60%», mette subito in chiaro che giudica sbagliata una politica dei “due tempi”, che «senza redistribuzione non si esce dai guai», che pur nei necessari sacrifici sarà indispensabile «uno sforzo in chiave di equità», che se si vorrà mettere mano alle pensioni andrà fatto all’interno di una più complessiva riforma del welfare. Sono queste le questioni che interessano a Bersani. Come si raccorderanno Parlamento e governo (assumeranno maggior peso i capigruppo, anche quelli in commissione) e chi saranno i sottosegretari (l’ipotesi prevalente è che si cercherà tra gli ex parlamentari ma Bersani lascia la scelta a Monti e dice «no al bilancino»), sono questioni che interessano meno.

L’Unità 17.11.11

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«Noi fondamentali Ora il confronto sarà in Parlamento, intervista a Dario Franceschini di Maria Zegarelli

Capita raramente nella vita individuale e di un partito di tracciare un percorso e una strategia tanto tempo prima e di vedere che tutto si realizza così come si era immaginato». Dario Franceschini, capogruppo in una Camera dove la maggioranza era fortissima e si è assottigliata fino allo sgretolamento, non intende affatto nascondere la sua soddisfazione. «È andata come volevamo che andasse», dice poco prima di raggiungere il Nazareno per il coordinamento
del partito.
È andata proprio come volevate voi del Pd?
«Noi abbiamo lavorato affinché Berlusconi non avesse più una maggioranza in Parlamento, per dare vita ad un governo di emergenza guidato da una personalità internazionale autorevole, in completa discontinuità rispetto al passato. Oggi rivendichiamo questo risultato e in questo schema ha avuto un ruolo fondamentale il ruolo unitario del Partito democratico. Questa è stata la prova del fuoco di tenuta del Pd, perché un partito così giovane in un terremoto di queste proporzioni, è riuscito a mantenere una linea unitaria dimostrando una grande maturità che ci
consente di affrontare tutte le sfide future e saranno tante. Oggi possiamo dire che qualunque sarà la legge elettorale, qualunque sarà lo schema di alleanze il nostro è un partito
solido, impossibile da mettere in discussione e centrale».
E questa unità non sarà messa a dura prova neanche di fronte a misure che il governo Monti potrebbe decidere e voi non condividere?
«Il governo è guidato da una grande personalità ed è formato da competenze e qualità fondamentali. Ma l’esecutivo è dentrounsistema parlamentare. È evidente che noi saremo pronti a fare la nostra parte, anche sulle scelte più difficili da spiegare al nostro elettorato,ma il confronto avviene in Parlamento».
Voi avete chiesto, tra le misure, la patrimoniale, per il Pdl è una parola impronunciabile…
«Non mi sembra corretto parlare di questo prima ancora di aver sentito le linee programmatiche che il presidente del Consiglio illustrerà alle Camere per ottenere la fiducia. Quello che so per certo è che Monti potrà contare su di noi anche sulle scelte più difficili».
E su quelle scelte difficili non teme che il Pd possa perdere i consensi che ora sembrano in crescita? «Ci sono dei momenti in cui sei fortunato e l’interesse del partito coincide con quello del Paese, in altri momenti gli interessi del partito possono non coincidere con quelli del Paese e allora bisogna fare delle scelte. Noi in momenti così scegliamo per il bene del Paese».
Eppure c’è chi sostiene che in questo momento neanche al Pd sarebbe convenuto andare al voto.
«Questa è la tesi di alcuni autorevoli commentatori che tanto si appassionano alle nostre spaccature, divisioni
e difficoltà. I sondaggi da mesi, invece, dicono che con qualunque schema di alleanza il Pd oggi avrebbe vinto le elezioni. Noi, di fronte ad un Paese, esposto alla bufera dei mercati e degli speculatori, abbiamo scelto l’unica cosa di cui c’era bisogno: un governo di emergenza guidato da un uomo come Mario Monti».
Una scelta che sembra premiarvi in termini di consenso.
«I nostri elettori sono cittadini prima di tutto: si preoccupano dei loro risparmi, del lavoro perduto, del precariato. Ed è evidente che ci aiuta il fatto di sostenere un governo come questo, autorevole, ma c’è un altro elemento alla base di questi consensi: è chiaro a tutti che non è nata una nuova maggioranza politica ma c’è un governo che ha il sostegno parlamentare di forze politiche che sono avversarie e resteranno tali».
Franceschini, nessuna indicazione temporale da parte del Pd vuol dire che può finire anche prima del 2013?
«Le ragioni che ne hanno portato alla nascita ne determinano implicitamente anche la durata. Deve arrivare a fine legislatura perché questa tempesta non finirà nel giro di due mesi. Questo anno e mezzo che abbiamo davanti deve servire al Parlamento per cambiare le regole, fare una nuova legge elettorale, ridurre il numero degli onorevoli superando il bicameralismo perfetto e scrivere, dopo trent’anni, nuovi regolamenti parlamentari».
Lei mette al primo posto la legge elettorale. Berlusconi ha chiesto che non si tocchi. Davvero crede che sia possibile cambiarla?
«C’è il referendum e quindi o facciamo una buona legge elettoraleo si voterà sul quesito referendario».
Appoggio al governo Monti ma intanto si guarda alle alleanze. Come cambierà lo scenario?
«È un tema che non mi appassiona, non oggi. E comunque sono sicuro che dentro questo cambiamento di scenario che la fine del berlusconismo si porterà dietro e dopo una nuova legge elettorale il Pd avrà comunque un ruolo centrale. Ed è un garanzia per noi e per il Paese».

L’Unità 17.11.11