attualità, politica italiana

"Quella foto di gruppo dal fuoco al gelo", di Filippo Ceccarelli

Posto che la formazione di una classe dirigente rimane «un mistero divino», come diceva Guido Dorso per il Mezzogiorno, ci sono sempre ministri che vanno e ministri che vengono. Ma nel tempo delle visioni a distanza cambia soprattutto la loro immagine, con il che basta accendere la tv per comprendere che dal Berlusconi quater al governo Monti si registra un´escursione termica che non solo non ha precedenti, ma a livello espressivo segnala un avvicendamento perfino esagerato. Dal fuoco al gelo.
Volti, sguardi, abiti, posture, acconciature, professioni, emozioni, ambizioni: mai ricambio è apparso più radicalmente antropologico. E certo non è un documento ufficiale, ma per cercare di rendere conto del chi, del come e del perché nel precedente Gabinetto venivano affidate le cariche di governo può essere istruttivo ricordare il modo nel quale l´organo super-ufficiale del berlusconismo, Il Giornale, espose il curriculum dell´ultimo ministro nominato alla fine del luglio scorso, onorevole Anna Maria Bernini: «Molto religiosa, è maniaca dei fioretti. Ha “sedotto” il Cavaliere anche grazie a un´intonazione perfetta per una voce che canta pezzi jazz, classici come Summertime, che la nuova ministra delle Politiche comunitarie ha prodotto in pubblico, accompagnata al pianoforte da Francesco Paolo Sisto, suo collega pidiellino della Giunta per le Autorizzazioni». E se non basta, è bene sapere che Berlusconi cominciò a «trovare simpatico» e quindi a prendere in considerazione la candidatura di Lorenzo Bini Smaghi per la Banca d´Italia saputo che era un ottimo ballerino di shake. O almeno così è stato scritto.
Ora lo shake, i fioretti e le seduzioni musicali non paiono per nulla al mondo rientrare nell´orizzonte distintivo dei nuovi ministri, che ieri al giuramento sono tutti apparsi molto seri, molto composti, anzi molto ingessati. Mentre il giorno della partenza il precedente esecutivo fu designato dal Foglio: «il governo del Buonumore».
Vero è che le condizioni erano diverse, ma almeno un ministro il Cavaliere lo nominò in differita negli studi di Porta a porta, davanti a un enorme cartello su cui si poteva leggere: «Tutto già fatto». Molto semplice fu lo sketch: c´era La Russa al telefono e il suo futuro presidente lo chiamò con enfasi «signor ministro»; lieti di aver assistito a una solenne investitura-intrattenimento (investainment), tutti i presenti compreso Vespa si sciolsero in un´allegra risata. Poco dopo Berlusconi annunciò che in certi momenti di crisi era necessaria una «visionaria follia». E´ una citazione di Erasmo ripetuta alla noia, pure nella modalità di esaltazione dialogante con la folla.
Dopo aver letto la lista al Quirinale, a una domanda dai risvolti istituzionali, il neo-presidente rispose mimando l´espressione: «E che ci ho scritto in fronte “giocondo”?». A distanza di tre anni e mezzo, osservando la sorvegliata e anche un po´ grigia processione dei professori viene da chiedersi se si sentirà la mancanza del mimo, della follia erasmiana e delle risate risonanti di continuo nello studio di Vespa.
Una volta chiamato dinanzi a Napolitano e alla Costituzione, prima di giurare La Russa accennò uno scherzo con il Cavaliere a proposito della sua barba, tagliarla o non tagliarla, doveva esserci di mezzo una scommessa. Quando venne il turno di Ronchi il neoministro intese distinguersi con un plateale segno della croce, tornando poi in platea a smanettare sul telefonino. Invece Bondi non se ne voleva più andare. Lievemente piegato, impossessatosi della mano di Berlusconi, «grazie, grazie, grazie» diceva senza mollare la presa, al punto che il presidente dovette congedarlo con un segno: va bene, basta così, vai, vai. Dopo di che si seppe che il dicastero affidatogli, la Cultura, aveva reso felice la mamma di Bondi: «Fin da piccolo Sandro ha avuto un libro in mano. Ma ha paura dell´aereo». E di altro, forse, avrebbe dovuto aver paura.
Per quanto riguarda le ministre donne, si trova scritto che il Cavaliere le presentava come «le mie bambine». L´aver nominato la Carfagna ebbe come immediato riscontro il celebre titolo della Bild: «Mamma mia, è la ministra più bella del mondo». Adesso con i tedeschi le questioni sono un po´ più complicate, e delicate, e anche peggio. Ma più in generale, soffermandosi con il senno di poi sul copioso e stralunato flusso segni di quell´esordio – riemergere di troni e corone, viaggi presidenziali con spettacolini del Bagaglino inclusi, ministre additate come cavie di botox, sottosegretari che appena in carica andavano da Klaus Davi a raccontare di aver subito molestie da bambini – c´è davvero da mettersi le mani nei capelli. E forse solo la noia dei tecnici ha il potere di riscattare quel vano putiferio.

La Repubblica 17.11.11

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“Se cala il sipario sull´era del talk show”, di FRANCESCO MERLO

Forse si farà un talk show sulla morte del talk show ma è sicuro che il professor Mario Monti non andrà a cucinare il risotto da Bruno Vespa. Che l´ammiraglio Giampaolo Di Paola non frequenterà “Servizio Pubblico” di Santoro per litigare in diretta con i pacifisti e che la signora Anna Maria Cancellieri non chiederà a Fabio Fazio di recitare anche lei, per par condicio, il suo bravo elenco. E non è solo un problema di buona educazione, di un altro stile, di una diversa antropologia. I nuovi ministri sono funzioni e non carriere politiche, sono capacità e competenze tecniche e non casacche, sono gatti che devono solo acchiappare il topo e dunque non hanno colore. E si capiva benissimo ieri quando Monti ha presentato il governo e ha risposto alle domande con lunghe frasi molto corrette ma evasive, immobile, le mani bianche bianche, senza alcuna emozione, mai niente fuori posto, una funzione appunto quasi incorporea.
Il governo del Presidente cala dunque il sipario sull´era del dibattito pulp. Perde di interesse il confronto-scontro tra Alfano e Bersani e non solo perché entrambi i segretari appoggiano Monti ma perché, pur mantenendo i loro importanti ruoli, hanno perso la vetrina ed è probabile che diventino persino cerimoniosi. Sicuramente vanno nell´archivio delle memorie d´epoca i «dovresti vergognarti» e «i mi consenta», i vaffanculo, quello di La Russa e quello di Vendola, le urla di Rotondi, gli strepiti della Santanché, il «vada a farsi fottere» di D´Alema. Finisce lo spettacolo di sbranamento e calci in bocca che più di tutto ha convinto gli italiani di essere migliori dei loro rappresentanti politici e ha legittimato lo stesso ricorso ai tecnici.
Certo, dietro la funzione tecnica dei vari Passera, Profumo e Severino si intravedono le persone, e alcune potrebbero anche dover trattenere un carattere vanitoso o salottiero e magari pure litigioso, ma le funzioni non hanno addosso il grasso della politica, hanno il silenzio e la misura come orizzonte, e perciò non arrederanno i ministeri, non arriveranno con gli scatoloni per fare casa e alcova ma solo ufficio, non hanno le clientele e vedremo se Monti nominerà un portavoce, un capufficio stampa, e quanti portaborse gli gireranno attorno. Sappiamo che si sono scatenate le damazze dei salotti romani, è lì che si fanno le prove dei talk show, i posti a tavola corrispondono alle culture di riferimento come a Ballarò, il casting è laborioso come a Porta a porta. E´ il generone romano che definitivamente viene sparecchiato insieme ai tele-ring.
Per adesso i cronisti televisivi non dispongono neppure di quelle immagini in movimento che in gergo si chiamano «la macchia», il repertorio da far partire quando si pronunzia un certo nome. E si capisce che al tg1 di Minzolini siano sbandati visto che nel giro di qualche giorno sono tornati in redazione gli epurati e gli autosospesi. Per loro anche il “panino” è diventato un problema.
Probabilmente sono difficoltà a tempo, saranno risolte. E´ invece sicuro che questi ministri non potranno mai partecipare ai dibattiti televisivi di forte risonanza arcitaliana, esagerati ed esagitati, in perenne emergenza che hanno fatto capire al Paese l´imbarbarimento della classe dirigente. La differenza infatti tra questi governanti e i loro predecessori è la stessa che c´è tra gli occhi e la vista, tra la mano e la prensilità, tra l´aggettivo e il sostantivo, tra l´apparire e l´essere.
Escono dunque dalla scena della televisione italiana, insieme a Berlusconi, grande regista della comunicazione truccata e al tempo stesso sbracata, le telefonate in diretta contro «le cosiddette signore», l´invito a Iva Zanicchi di lasciare subito lo studio, e diventano duri i tempi non solo per i presenzialisti come Di Pietro, Cicchitto, Gasparri, Gelmini, Casini, Polverini…, convinti che la loro importanza politica si misuri in minutaggio televisivo, ma anche per i conduttori che perdendo i loro campioni esaltati non avranno più la garanzia dello share, dell´audience, dell´ascolto. Hanno costruito la loro fortuna con le esibizioni dei gladiatori realizzando spettacoli indimenticabili di pop politico, e basta ricordare il dialogo stralunato tra la Santanché e Celentano. Ma adesso, non potendo più ricorrere ai paroloni e alle parolacce di Brunetta e alle rispostacce della Bindi, i bravissimi colleghi potrebbero finalmente dimostrarci che si può fare giornalismo politico anche senza eccitare con il forcone il divo, il mezzodivo o la mezzacalzetta. E potrebbero dunque farci vedere, magari solo per un po´, quei bellissimi programmi che certamente sanno fare e che tante volte hanno promesso.
Vanno definitivamente in soffitta o meglio in cantina i cosiddetti caratteri, come Stracquadanio, la Brambilla, Lupi e Crosetto, e ovviamente con loro i giornalisti, le stelline e le macchiette del sabato e della domenica, gli opinionisti supplenti del week end, sempre madidi e sconvolti ma alla fiera del ribasso con i loro tic, in maniche di camicia come Bocchino e compulsando il tablet per mostrarsi in perenne contatto con “il popolo della rete”.
Certo, ci sono almeno due rischi. Il primo è che possa sparire non solo lo show ma anche il talk. E´ ovvio che i tecnici si chiudano nella gravitas, in un impegno che è serio e che non consente chiacchiere. Debbono realizzare risultati senza tenere calda la piazza, senza rendere conto alla propria tifoseria. L´afasia naturale di un esecutivo che ha poco da dire e molto da fare potrebbe diventare mancanza di trasparenza con i cittadini ridotti come i parenti che aspettano fuori dalla sala operatoria. Arriverà il referto. Prima, solo bollettini sanitari, solo comunicati.
Poi c´è un altro pericolo. Tecnici, saggi, professori, esperti: la politica è un´infezione che in Italia ha sempre contagiato tutti. Giulio Tremonti per esempio era un tecnico, eletto nelle liste del Patto Segni cominciò a trasformarsi in un politico. Altri come Antonio Martino e Giuliano Urbani subirono l´operazione chirurgica sui divani di Montecitorio, come era già capitato del resto a Bruno Visentini e a Giuliano Amato, allo stesso Giovanni Spadolini, a Giuliano Vassalli, a Guido Carli, a Carlo Azeglio Ciampi, e persino a Francesco De Lorenzo, medico e professore illustre che fu, come si dice, prestato alla politica, divenne ministro della Sanità e Dio sa se fu un errore.
Ma in fondo la televisione servirà anche a questo: a mettere a dura prova le eventuali fragilità di questi tecnici, perché «la vanità – dice Al Pacino – è il mio peccato preferito». Indimenticabile fu Lamberto Dini che non solo sbarcò in tv, ma portò pure la sua signora.

La Repubblica 17.11.11