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La «fiducia» dei precari a Monti: «Più diritti per uscire dalla crisi», di Maria Grazia Gerina

Chiara, trent’anni la prossima settimana, lo dice tutto d’un fiato: «Sono una psicologa precaria, lavoro da sei anni nei centri d’igiene mentale, sempre con contratti di sei mesi, due mesi, un mese. A volte anche senza contratto. Mi pagano ogni quattro mesi, quando va bene. Non ho diritto a ferie retribuite ma ho il dovere di pianificarle, non ho diritto alla malattia eppure mi ammalo, non ho diritto alla gravidanza, eppure a trent’anni, un figlio lo vorrei avere, non ho diritto alla pensione, eppure un giorno invecchieremo anche noi precari…». Antonio viene da Torre del Greco, è uno dei fondatori di “Giovani in movimento”: «Eravamo tutti studenti, dieci anni dopo ci siamo guardati in faccia e ci siamo resi conto che eravamo tutti quanti precari». Giulia, 32 anni, e Rita, 34, sono rispettivamente ingegnere e architetto. A partita Iva. Le società per cui lavorano le pagano come se fossero lavoratrici autonome. E però: «Abbiamo orari di lavoro da rispettare – a molte di noi spesso viene chiesto anche di timbrare il cartellino – come qualunque lavoratore dipendente, solo che i contributi ce li paghiamo da sole», raccontano. I datori di lavoro risparmiano il 50% sui costi. Loro, invece, ci perdono, soldi e diritti. «Io sono “fortunata” perché vengono pagata 12 mesi, anche le tre settimane estive in cui lo studio chiude, per molte di noi non è così», racconta Rita. Ferie non pagate, stipendi da fame. «Anche 8euro lorde quando va male». E il peggio viene quando resti incinta. «Il contributo di maternità, che ci siamo pagate, è una miseria: l’80 per cento dei 5 dodicesimi del nostro reddito di due anni prima ». Quantificato:«Una amica ha appena avuto un figlio: prende 500 euro al mese». Storie di ordinaria precarietà. Basterebbe fermarsi un minuto ad ascoltarle per capire che questo paese non può andare avanti così. E però quello messo insieme, durante la prima assemblea nazionale dei precari che il 9 aprile scorso sono scesi in piazza per dire «Non più» e ieri si sono ritrovati a Roma per dare forma stabile alla loro protesta, non è solo il racconto autobiografico di una generazione.
L’USCITA DALLA PRECARIETÀ Il filo rosso che, sotto l’insegna «Il nostro tempo è adesso», unisce le storie di vita di una generazione precaria, non è il bisogno di trovare sfogo. Èmolto di più. Il tentativo di comporre un discorso pubblico sulla precarietà. Fatto di proposte concrete, su cui aprire, da subito, il confronto con il nuovo esecutivo. «La precarietà fa parte del sistema che ci ha portato dentro la crisi, per uscirne occorre redistribuire i diritti, non scatenare guerre tra garantiti e non», spiega Ilaria Lani, portavoce della campagna Cgil «Giovani non più disposti a tutto». Il secondo tempo della mobilitazione costruita nella primavera scorsa, è la nuova campagna d’autunno lanciata, ieri, all’indomani dell’insediamento del nuovo esecutivo. Con l’obiettivo di aprire subito un confronto con il governo. «Ci aspettiamo che Monti che parla tanto di giovani sia interessato a confrontarsi concretamente con i giovani e i precari di questo paese ».Chehanno messo nero su bianco le loro proposte anti-crisi.Undecalogo per far ripartire il paese. Primo: a un lavoro subordinato deve corrispondere un contratto subordinato e il lavoro autonomo va pagato di più. Poi: a chi cerca lavoro va garantito un «reddito minimo d’inserimento» e a chi lo perde «continuità di reddito». Anche per quanto riguarda i contributi ai precari va garantita continuità. Maternità e paternità devono essere considerati diritti universali. Così comel’idennità di malattia.Epoi: formazione continua, diritto di voto e di sciopero e, infine, canoni agevolati per non restare senza casa. Il governo Monti starà a sentirli? «Questo governo ha riaperto la dialettica dentro al parlamento e io penso che voglia riaprire il dialogo anche fuori dal parlamento», ragiona Fausto Raciti, segretario dei Giovani democratici, presenti in buon numero all’assemblea dei «Non più»: «L’esecutivo Monti dovrà affrontare per forza certi temi, se vuole tenere unito il paese davanti alla crisi».

L’UNità 20.11.11