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"Il passaggio obbligato degli eurobond", di Marco Causi*

Il Commissario europeo Olli Rehn ha confermato ieri a Montecitorio che la nuova governance economica dell’Unione non arretra di un millimetro sul fronte del rigore di bilancio nei paesi più vulnerabili agli elevati debiti pubblici. Ha annunciato il tempestivo utilizzo delle procedure di allarme
preventivo (early warning) findal primo giorno in cui entreranno in vigore le nuove regole, il 13 dicembre, con il Belgio nel mirino. Ha confermato lo stretto monitoraggio sui conti pubblici italiani. Ma l’Europa non può non interrogarsi: quale credibilità ha un’area monetaria incapace di influenzare i tassi di interesse di primarie attività finanziarie denominate nella sua valuta, e lascia fare alla speculazione più o meno quellon che vuole? Questo è un problema per tutti, non solo per i paesi ad alto debito.
Olli Rehn ha esposto il pensiero della Commissione europea sulle modifiche dei trattati, proponendo un doppio binario: poche e chirurgiche innovazioni da fare presto e un cantiere più ampio di riforme che necessita di più tempo. Ha ricordato che la Bce può utilizzare, anche a trattati invariati, margini di azione che ricadono sotto la sua indipendente decisione, come ha già fatto Trichet. Ha affermato che nella fase di “braccio preventivo” delle nuove regole di coordinamento la Commissione deve raccomandare ai paesi in avanzo di bilancia dei pagamenti e con debito pubblico non troppo elevato politiche espansive della domanda interna.
Ha riconosciuto che nella discussione pubblica europea si ricorre troppo spesso a semplificazioni, come ad esempio nel caso degli eventi storici della Germania negli anni ’20 e ’30. La crisi sociale che favorì l’ascesa di Hitler non discende dall’iperinflazione dei primi anni ‘20, ma piuttosto dal drammatico aumento della disoccupazione a partire dalla crisi del ’29, sommato con le riparazioni di guerra e l’inesistenza di politiche di contrasto monetario. Ha convenuto cioè sul fatto che la Germania ha sofferto più per l’inefficace funzionamento del sistema monetario dell’epoca, il gold standard (a cui l’attuale eurozona assomiglia, purtroppo, molto) che per l’iperinflazione. Ne segue, ma questa è una mia aggiunta, che un ruolo importante deve essere giocato, nella presente fase storica, dalla buona cultura e dalla buona politica tedesca, in modo da orientare con rigore gli umori dell’opinione pubblica di quel paese. Direi anzi che questo vale per tutti, compresi i francesi e noi italiani: un frutto avvelenato della superficiale gestione della crisi negli ultimi quindici mesi da parte dei governi di centro-destra dei grandi paesi europei è un crescente rimpallo nazionalistico che va al più presto fermato.
Jaques Delors ha affermato che gli Stati dell’euro devono pensare al rigore, ma che l’Unione deve pensare alla crescita. È questa la gamba più debole della nuova governance europea decisa fra marzo e ottobre. Gli eurobond hanno una funzione non solo in termini di stabilità, ma anche di crescita. Vedremo fra pochi giorni le proposte della Commissione, che si è fatta comunque apprezzare per l’iniziativa sull’imposta sulle transazioni finanziarie, a sostegno della quale hanno
lavorato in prima linea gli europarlamentari italiani del PD. Insomma: qualcosa si sta muovendo in Europa. Qualche spazio si apre nel monolite cultural-politico che ha impedito da molti mesi una discussione vera sui problemi dell’euro. Spazi su cui inserire l’iniziativa di un’Italia tornata a partecipare al processo europeo con il ruolo che le spetta e con una ritrovata autorevolezza. Ma l’appello finale non può che essere: il tempo è ormai poco, le decisioni necessarie per salvare l’euro sono urgenti.

*parlamentare pd

L’Unità 26.11.11