attualità, politica italiana

"La moneta unica e i suoi paradossi", di Tito Boeri

Lo sta già facendo da mesi senza poterlo dire. Se avesse annunciato apertamente le sue intenzioni, non avrebbe avuto bisogno di fare tanto. È questo il paradosso in cui si dibatte la Banca Centrale Europea. Un paradosso attorno al quale si gioca il futuro dell´euro. La Bce sta svolgendo da più di un anno un ruolo di prestatore di ultima istanza per i governi dei Paesi contagiati dalla crisi del debito pubblico. Compra i loro titoli di stato sul mercato secondario. In altre parole, non li compra direttamente dai governi, come invece ha fatto la Bundesbank all´asta dei Bund di mercoledì scorso, ma li acquista da banche e investitori stranieri che vogliono disfarsi dei titoli di stato di paesi in difficoltà. Con questi interventi, la Bce evita che ci sia un mercato senza compratori e che, dunque, i rendimenti dei titoli di stato schizzino ulteriormente verso l´alto trasformando quelle che dovrebbero essere temporanee crisi di liquidità, difficoltà nell´emettere titoli di stato a rendimenti sostenibili, in crisi di insolvenza. Ma questi continui interventi sono solo un palliativo e come tutti i palliativi a lungo andare si rivelano inutili. Da quando l´Italia è stata investita direttamente dalla crisi del debito e non ha saputo reagire con la tempestività che ci veniva richiesta, i pur continui interventi della Bce sono solo la premessa di nuovi interventi, immancabilmente al di sotto di quanto verrebbe richiesto per convincere gli investitori a tornare a comprare i nostri titoli di stato.
La crisi è diventata sistemica, non più solo circoscritta ad alcuni paesi. Bisogna in Italia passare dalle parole ai fatti dimostrando davvero di saper fare le cose che i mercati da tempo ci chiedono, come ridurre la spesa pensionistica e aggredire l´evasione fiscale. Dobbiamo al più presto anche adottare misure per rilanciare la crescita, come una svalutazione fiscale, che riduca le tasse sul lavoro, dunque i prezzi cui i nostri prodotti possono essere venduti all´estero, finanziando questa riduzione con un inasprimento delle tasse sui consumi, l´Iva, che renderebbe più costose le nostre importazioni.
Sono tutte misure fondamentali per migliorare strutturalmente i nostri conti pubblici, ridurre i nostri squilibri verso l´estero e convincere l´opinione pubblica tedesca che questa volta stiamo facendo sul serio. Ma dobbiamo sapere sin d´ora che non basteranno senza un´azione forte a livello europeo. Il contagio ormai è troppo esteso. Si scommette non più sul ripudio del debito in singoli Paesi, ma sulla crisi dell´euro nel suo complesso. Questo spiega anche perché i rendimenti dei titoli di stato di paesi sino a ieri ritenuti sicuri, come Finlandia e Germania, stiano da due giorni salendo rapidamente, ci danno la ragione per cui l´asta dei Bund di mercoledì sia andata deserta forzando la Bundesbank a intervenire in prima persona violando le stesse regole che vorrebbe imporre alle altre banche centrali. Dopo aver imparato cosa sono gli spread, gli italiani faranno bene d´ora in poi a guardare oltre, perché ora che i rendimenti salgono anche in Germania una riduzione dello spread con i bund non implica affatto una riduzione del costo del nostro debito.
Per ridurre i rendimenti dei titoli di stato in tutta l´area dell´euro ci vorrebbe l´annuncio da parte della Bce di un programma massiccio di acquisto di titoli di stato sul mercato secondario. Dovrebbe coinvolgere una frazione significativa del debito pubblico dell´area (almeno 1.000 miliardi di euro, poco più della metà del debito pubblico italiano) e venire programmato per un periodo di tempo sufficientemente lungo da permettere alla politica europea di definire le forme più stringenti di coordinamento annunciate al vertice di giovedì.
Il solo annuncio di un programma di questo tipo lo renderebbe in gran parte non necessario. Così funziona con le aspettative dei mercati: si avvitano su se stesse, finendo per autorealizzarsi, per plasmare ciò che hanno di fronte. Una crisi di sfiducia alla lunga legittima questa sfiducia, nel senso che porta al fallimento di interi stati o addirittura di un sistema monetario. Per questo oggi ci vogliono metodi forti e convincenti, anziché acquisti svogliati di titoli pubblici. Una Bce che continua a intervenire senza dirlo, malvolentieri, finisce solo per imbottirsi di titoli di stato, tossici perché destinati immancabilmente a perdere valore, riducendo il capitale dell´istituto di Francoforte. Una garanzia diventa tanto più costosa quanto meno è credibile.
Sin qui la Bce non poteva impegnarsi in un programma di questo tipo. Non ne aveva le basi legali e poi c´erano i vincoli politici imposti dall´opinione pubblica tedesca, ancora memore dell´iperinflazione tra le due guerre, terrorizzata ad ogni monetizzazione del debito altrui. Ma ormai è la Bundesbank in prima persona a monetizzare il debito e i limiti legali agli interventi della Bce sono stati superati dall´escalation della crisi. Il Trattato impedisce alla Banca Centrale Europea di intervenire a sostegno di stati insolventi, ma la Bce deve per statuto garantire la stabilità dei mercati finanziari. Quando anche paesi come la Finlandia e la Germania incontrano crescenti difficoltà a finanziarsi, è evidente che un intervento sistematico su tutti i paesi avrebbe principalmente la funzione di evitare il tracollo dell´intero sistema. Si può impedire alla Bce di lottare per la propria stessa sopravvivenza? Il tracollo dell´euro porterebbe inevitabilmente ad una profonda recessione in tutti i paesi e, con essa, a una deflazione. Sarebbe come il 1933 dopo il 1929. E quindi è un esito che va evitato a tutti i costi anche in nome della stabilità dei prezzi. Al vertice di giovedì Angela Merkel si è impegnata a non commentare le decisioni e le prese di posizione della Bce. Non basta. Deve essere a fianco anche dell´altro Mario quando questi parlerà forte e chiaro. Parafrasando una canzone di James Brown, potrebbe sussurrargli “Just say it”.

La Repubblica 26.11.11