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"Visco: Investire in conoscenza è una variabile chiave della crescita", da Tuttoscuola

Investire in conoscenza è “una delle variabili chiave” per rilanciare la crescita in Italia. L’esortazione arriva dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che, intervenendo al XX congresso dell’Aimmf sottolinea i ritardi italiani “rispetto ai principali paesi avanzati, sia nei tassi di scolarità e di istruzione universitaria, sia nel livello delle competenze, dei giovani come della popolazione adulta”.

Si tratta di “questione antica”, è vero, rileva Visco, ma i numeri sono impietosi. Secondo i dati Ocse nel 2009 il 54% degli italiani di età compresa tra i 25 e i 64 anni aveva conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 73% della media Ocse. I laureati erano meno del 15%, la metà rispetto alla media Ocse. Un’indagine sulle competenze funzionali e alfabetiche condotta nel 2003 mostra come l’80% degli italiani di età compresa tra i 16 e i 65 anni non sia in grado “di compiere ragionamenti lineari e fare inferenze di media complessità estraendo e combinando le informazioni fornite in testi poco più che elementari. Sono, in pratica”, dice Visco, “analfabeti funzionali”.

Si tratta, rileva il governatore, di “ritardi gravosi, ancor più in un Paese che, come il nostro, registra da tempo un deficit di crescita. è per questo”, osserva ancora Visco, “che le politiche dell’istruzione non devono semplicemente mirare a colmare i divari con le economie più avanzate. Devono ambire a invertirne radicalmente il segno”.

Le risorse sono però scarse. Alla metà del decennio scorso l’investimento in conoscenza in Italia era pari al 2,4% del Pil, contro una media Ocse del 4,9%. I docenti sono vecchi. Nel 2009 appena il 9% degli insegnanti nella scuola secondaria superiore aveva meno di 40 anni contro il 25% in Germania, il 34% in Francia l’oltre 40% di Regno Unito e Stati Uniti. All’università i docenti più giovani erano il 16% contro il 30% in Francia, il 39% nel Regno Unito e il 47% in Germania.

Eppure le misure disponibili indicano che l’istruzione è un investimento redditizio anche in Italia. Ma soltanto poco più della metà dei giovani italiani considera vantaggioso conseguire un’istruzione avanzata. Si tratta della quota più bassa tra tutti i Paesi dell’Unione europea. Tutto ciò, avverte Visco, “aggrava il peso degli ostacoli, spesso finanziari all’investimento in istruzione”. E “la forte corrispondenza tra le origini familiari e le scelte scolastiche che ne discende comprime la mobilità sociale”.

Ma investire in conoscenza non è importante soltanto sotto il profilo dell’economia. “I benefici di una maggiore istruzione”, afferma il governatore, “si estendono a molte altre dimensioni della vita umana”. E “di particolare rilevanza sono gli effetti positivi sulla diffusione dell’illegalità”.

Insomma, si tratta di un investimento che “può contribuire in modo profondo all’innalzamento del senso civico e del capitale sociale: valori in sè, indipendentemente dai loro effetti positivi sulla crescita. In questo”, conclude Visco, “l’investimento in conoscenza è un fattore di coesione sociale e di benessere dei cittadini”.

da Tuttoscuola

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Visco: I giovani esclusi dalla crescita. “Salari di ingresso fermi ai livelli di decenni fa. Serve investire nella conoscenza”, di LUCIO CILLIS

Giovani e crescita, salari d´ingresso nel mondo del lavoro, istruzione e riequilibrio duraturo dei conti pubblici. Il nuovo governatore della Banca d´Italia, Ignazio Visco, nel suo primo intervento pubblico dopo la nomina alla guida di Palazzo Koch, interviene sui nodi che reputa cruciali per ridare fiato all´economia e alla credibilità del Paese.
Il primo affondo di Visco va incontro alle aspettative tradite di milioni di giovani italiani, sempre più stretti tra contratti di breve durata e retribuzioni da fame che destabilizzano l´intero sistema: «I salari di ingresso nel mercato del lavoro oggi, in termini reali, sono su livelli pari a quelli di alcuni decenni fa», dice senza mezzi termini da Catania. «I giovani che si affacciano sul mercato del lavoro – aggiunge – sembrano esclusi dai benefici della crescita del reddito occorsa negli ultimi decenni» e i loro salari sono vicini a quelli degli anni Ottanta. Dai giovani alle necessarie riforme strutturali, il passo è breve e porta allo studio, all´istruzione, agli investimenti in conoscenza, «una delle variabili chiave» per rilanciare la crescita in Italia.
Inoltre, anche in presenza di interventi pesanti, come quelli adottati dal governo Berlusconi nel corso dell´estate, il conseguente miglioramento dei conti pubblici non è tale da allontanare da solo lo spettro della crisi: «Per ottenere un riequilibrio strutturale e duraturo, è necessario che il Paese torni a crescere». Il numero uno di via Nazionale individua anche i meccanismi della nostra economia da rivedere e mettere a punto: «Il difetto di crescita italiano è in buona parte riconducibile al ritardo e alle incertezze con cui il sistema produttivo ha risposto negli ultimi venti anni alle sfide dell´innovazione tecnologica, dell´affermarsi sulla scena mondiale di nuove economie, del deciso aumento dell´integrazione europea».
E «l´ingresso nell´Unione europea», rileva Visco, «ha fatto venir meno gli effimeri guadagni derivanti dalla svalutazione nominale del cambio, ci ha imposto un maggior rigore fiscale per rispettare i patti europei». Per questo l´Italia è chiamata a recuperare il terreno perduto. «Innalzare il potenziale di crescita» dice il governatore, «richiede interventi ad ampio spettro: tra questi una riforma degli istituti dell´economia per stimolare l´attività di impresa e l´inserimento durevole nel mondo del lavoro, soprattutto delle donne e dei giovani».
L´economia italiana va resa, quindi, «più inclusiva», devono essere eliminate «le barriere che si frappongono inutilmente all´attività produttiva, così come le barriere che legano i destini delle persone alla loro origine familiare». Bisogna agire, insiste il neo-governatore, «per la rimozione dei vincoli, delle rendite di posizione, delle restrizioni alla concorrenza e all´attività economica». Punti critici dove si gioca una delicatissima partita.
Ma c´è un´altra debolezza cronica dell´Italia. Ovvero «la scarsa concorrenza», che «contiene i livelli produttivi e occupazionali in molti settori, deprime la competitività e la capacità innovativa dell´intero sistema, frena il ricambio di un tessuto produttivo ancora troppo frammentato, impedisce ai talenti di esprimersi», cioè ai giovani di prendere il sopravvento entrando di diritto, e con retribuzioni correlate ai nostri tempi, nel mondo del lavoro.
Per cambiare registro, infine, Visco chiede «il superamento del dualismo del mercato del lavoro che può essere raggiunto attraverso una riforma organica della regolamentazione e della protezione sociale» e «assetti della contrattazione più decentrati e flessibili».

da repubblica.it