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"Incerti in politica, realisti in economia", di Roberto D'Alimonte

Con il governo Monti è iniziata una nuova fase della politica italiana caratterizzata da grande incertezza e fluidità degli orientamenti politici. Cresce l’area dell’astensionismo e della indecisione. Molti elettori, soprattutto nel centrodestra, sono disorientati. Ma sulla politica economica e sull’Europa il nuovo governo può contare su alcuni punti fermi. Gli italiani non vogliono l’uscita dall’Euro e sono disponibili ad accettare nuove regole su fisco, mercato del lavoro e liberalizzazioni.

I sondaggi sono strumenti imperfetti. Soprattutto in tempi di grandi cambiamenti vanno presi con molta cautela. Detto ciò, fa comunque impressione vedere che solo il 22% degli elettori che oggi esprimono una preferenza per un partito voterebbero per il Pdl. Questo è il risultato più sorprendente dell’indagine demoscopica Cise-Il Sole 24 Ore effettuata nei giorni immediatamente successivi all’insediamento del governo Monti. Non è un dato del tutto nuovo perché sono mesi che tutti i sondaggi registrano il declino elettorale del Pdl ma un valore così basso non si era ancora visto. Rispetto ai tempi d’oro il partito di Berlusconi ha perso più di un terzo del suo elettorato. Alle elezioni politiche del 2008 aveva ottenuto alla sua prima prova il 37,4% dei voti alla Camera. Anche nel 2009 alle europee era andato bene prendendo il 35,2%. La discesa è cominciata dopo il 2010 e non si è più fermata. Con la formazione del governo Monti ha toccato il punto più basso. Si fermerà qui? Lo sgretolamento del Pdl ha raggiunto il punto di non ritorno? Non è possibile rispondere con i dati a disposizione a queste domande. Molto dipenderà dalle iniziative che prenderanno Alfano e Berlusconi. E molto dipenderà anche dall’azione del governo Monti e dalle ripercussioni che avrà sulla base del Pdl e sulla coesione del suo gruppo parlamentare.

Stiamo entrando in una “terra incognita”. Quello che si può dire è che i legami tra il Pdl e i suoi elettori si sono fortemente allentati. L’analisi dei flussi lo conferma. Il 32% degli elettori che lo hanno votato nelle politiche del 2008 dichiara oggi che non andrebbe a votare mentre il 12% non sa che fare o non risponde alla domanda sul voto. Sono dati preoccupanti per la leadership del Pdl ma non ancora definitivi. Potrebbero indicare che siamo alla vigilia della scomposizione del blocco elettorale forgiato da Berlusconi a partire dal 1994. Ma potrebbero anche essere la fotografia di una crisi temporanea legata a una fase difficile del centrodestra. Molti elettori sono disorientati ma la maggior parte di loro non ha ancora trovato nuove destinazioni. Per ora si rifugia nell’astensione e nella indecisione. Le delusioni sono molte, le conversioni poche. Un nuovo partito di centrodestra potrebbe forse fermare l’emorragia. Ma non è detto. In ogni caso per capire il futuro della politica italiana la variabile più importante è proprio la tenuta del Pdl o del partito che lo sostituirà.

Al momento i beneficiari della crisi del maggior partito del centrodestra sono quasi tutti gli altri partiti e soprattutto il Pd. Il partito di Bersani arriva al 32,7% nelle intenzioni di voto. È un risultato non molto lontano dal picco toccato con Veltroni nel 2008. È un dato importante ma va ben interpretato per evitare facili illusioni. La domanda da farsi è: la crescita di voti del Pd è il risultato di un allargamento della sua base elettorale o no? La risposta è negativa. I dati del sondaggio Cise dell’aprile scorso davano il Pd al 27,8 % e oggi lo danno al 32,7% ma questo non vuol dire che oggi ci siano più elettori democratici di ieri. Gli elettori democratici sono gli stessi ma sono aumentati gli astensionisti e gli indecisi e allora i voti al Pd, e agli altri partiti, pesano di più sul totale dei voti validi perché la base di calcolo si è ristretta.

Per capire la dinamica elettorale reale occorre guardare alle percentuali calcolate sul totale degli elettori, cioè comprendendo anche gli astensionisti e gli indecisi, e non sul totale dei voti validi. A questo servono i due grafici in pagina in cui si ricostruisce questa dinamica confrontando i risultati dei due sondaggi Cise. In Aprile il Pd raccoglieva il 16,5% delle intenzioni di voto, a Novembre ne raccoglie il 15,2%. È questo confronto che ci dice che gli elettori sono più o meno numericamente gli stessi. Ma nello stesso arco di tempo la percentuale dei voti validi è scesa dal 57,8% al 45,7% mentre gli astenuti sono saliti dal 17,7% al 22% e gli incerti dal 4,3% al 8,3%. È cresciuta significativamente tutta l’area del non voto alimentata in gran parte dallo sgretolamento del Pdl. Gli elettori del partito di Bersani sono sempre quelli. Gli elettori del partito di Berlusconi sono sempre meno. In questo quadro di incertezza e di fluidità la solidità dell’impianto organizzativo ed elettorale del Pd gli consente di emergere come il primo partito italiano senza bisogno di conquistare nuovi elettori. Se il quadro non cambierà per il Pd le future elezioni potrebbero essere un successo. Ma è troppo presto per fare previsioni. E in ogni caso per vincere con le attuali regole elettorali non bastano i partiti. Ci vogliono le coalizioni. E questa è una altra storia ancora tutta da scrivere.

Il Sole 24 Ore 27.11.11