attualità, politica italiana

"La prova dei fatti", di Paolo Guerrieri

L’andamento dei mercati negli ultimi due giorni ha offerto segnali contrastanti sulla capacità di tenuta dei nostri conti pubblici, confermando il rischio molto elevato che permane sul futuro del nostro Paese. Di qui la rinnovata sfida per il governo Monti di varare al più presto misure per rilanciare il potenziale di crescita della nostra economia.

Nelle aste dell’altro ieri, a fronte della forte domanda di titoli del Tesoro a sei mesi, il rendimento si è dimezzato, mentre un calo altrettanto significativo ha interessato le scadenze a tre anni. Sono diminuzioni che testimoniano una ritrovata fiducia, almeno nel breve termine, sulle prospettive dei nostri conti pubblici. Ma negli stessi giorni il tasso dei titoli di Stato a più lunga scadenza, pur registrando un lieve calo, è rimasto su livelli elevatissimi, e l’ormai famoso spread rispetto ai titoli decennali tedeschi ha superato abbondantemente la minacciosa quota di 500 punti. In questo caso il segnale è opposto, ovvero di una perdurante elevata incertezza e tensione che continuano a gravare sulla parte a medio-lungo termine del nostro debito. E per una molteplicità di ragioni: l’elevato stock di debiti, l’enorme volume dei titoli in scadenza l’anno prossimo e la recessione destinata ad aggravarsi nei prossimi mesi.
Il nostro tallone d’Achille era e resta l’elevatissimo rapporto debito/pil che continua a oscillare intorno al 120%. Va assolutamente corretto. La manovra del governo Monti ha mirato soprattutto a far scendere il numeratore di quel rapporto, con misure prevalentemente incentrate sul lato delle entrate e delle tasse (oltre il 75%). Ne è conseguito un aumento delle entrate sul pil ben oltre il 50 cento e della pressione fiscale oltre il livello record del 47 per cento. Come ha ribadito Monti nella conferenza stampa di ieri, ogni futuro spazio di intervento andrà incentrato a questo punto sul denominatore e su come far crescere il pil. Solo la crescita sarà in grado di assicurare che il nostro Paese possa assicurare nel tempo la sostenibilità del suo debito pubblico. Ed è evidente che questa è la vera sfida che incombe sul nuovo governo e ne determinerà in larga misura le sorti future.

In proposito da Monti ci si poteva aspettare qualcosa di più. Sia sulla visione di insieme e sia sulle più importanti misure che il governo si accinge a varare già a partire da gennaio. È stata comunque offerta una lista di possibili interventi, attualmente al vaglio dei ministri competenti, in qualche modo scontata, pur se largamente condivisibile, dal momento che spazia dalle liberalizzazioni alla concorrenza, dalle infrastrutture alle nuove regole per il mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, agli interventi nel campo della ricerca e dell’istruzione.
È ovvio che il rilancio della crescita non dipenderà dalle singole misure prese in sé, ma dal disegno organico complessivo in grado di assicurarne coerenza interna ed esaltarne l’efficacia. Fino ad ora è mancato e va rapidamente disegnato. Ovviamente, senza aspettarsi miracoli e particolari risultati a breve, ma con la fondata speranza di poter incidere sui processi di ristrutturazione in atto e sulle opportunità che si apriranno nel corso del prossimo anno in quel processo di «distruzione creatrice» che le fasi di recessione portano sempre con sé.
A questo riguardo, Monti ha teso a ribadire più volte che la manovra non può certo servire da sola a rianimare una congiuntura ormai preda della recessione. Ci vogliono una risposta e un’azione europee all’altezzai. Non si può che convenire. Suggerendo soprattutto due cose da chiedere nei prossimi incontri ai partner europei e in primis alla Germania. In primo luogo che si tenga conto della recessione nel fissare gli obiettivi in termini di saldo di bilancio e riduzione dello stock di debito per i prossimi due anni, come peraltro stabilito nel nuovo patto di stabilità europeo e ribadito anche nell’accordo fiscale da ratificare il prossimo marzo. In presenza di una recessione assai dura è molto probabile che non riusciremo a conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, pur registrando un surplus primario e un saldo strutturale consistenti. Sarebbe sbagliato e addirittura deleterio a quel punto intervenire con nuove misure correttive dei saldi nominali, destinate a aggravare la recessione e di qui peggiorare il risultato di bilancio.

In secondo luogo, va chiesto con forza che la firma del nuovo accordo sulla disciplina fiscale – fortemente voluto dalla cancelliera Merkel – sia accompagnato da adeguate misure per la crescita a medio termine dell’area europea, oltre all’aumento a breve delle risorse a disposizione del Fondo salva stati (Efsf) in favore della liquidità dei paesi. Sono tutti spazi vitali da cercare di conquistare in Europa. La serietà del governo Monti e la ritrovata credibilità del nostro paese potrebbero essere spese proficuamente in questa direzione.

L’Unità 30.12.11