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"La resistenza del professore", di Massimo Giannini

Ora la Fase Due è cominciata davvero. Il maxi-decreto sulle liberalizzazioni ha un «valore economico» opinabile. Non sappiamo se davvero potrà far risparmiare 1.800 euro l´anno per ogni famiglia come stima l´Adiconsum, far crescere il Pil dell´1,4% come sostiene il Cermes-Bocconi, far aumentare dell´8% l´occupazione e del 12% i salari reali come prevede la Banca d´Italia. Ma sappiamo che la lenzuolata di Monti e Passera ha una «cifra politica» altissima.
Si può discutere finché si vuole sui vuoti e sui pieni di questo provvedimento. Si possono criticare le concessioni sui farmaci e sul commercio, le rinunce sulle reti ferroviarie e sull´agenda digitale, le retromarce sulle assicurazioni e sulle banche: più coraggio non avrebbe guastato. Ma quello che non si può discutere è che per la prima volta, ormai da molti anni, un governo ha l´ambizione di proporre agli italiani una prima «riforma di sistema», improntata ai principi dell´economia liberale. Una riscrittura complessiva delle regole di funzionamento del mercato, incardinata sul primato del cittadino-consumatore, e non sul potere della rendita corporativa. Un colpo d´ala che, per una volta, supera la maledizione che assillava Ugo La Malfa, quando ai tempi della Nota Aggiuntiva sosteneva che «l´Italia fa sempre riforme corporative, quindi fa controriforme». Questa, pur con tutti i suoi limiti, non lo è.
Non era affatto scontato che un´operazione di questa portata potesse riuscire a un governo tecnico che attinge la sua forza da una momentanea «convergenza» di sigle, piuttosto che da una strutturale maggioranza di partiti, e che è reduce da una prova difficile come il decreto Salva-Italia, convincente sul piano della quantità ma tutt´altro che esaltante sul piano dell´equità. C´era il rischio, elevatissimo, che il premier fosse costretto a una disonorevole ritirata. E che la sua lenzuolata diventasse un fazzoletto prima ancora di approdare sul tavolo del Consiglio dei ministri. La Vandea delle grandi e piccole lobby è risuonata da giorni, alta e forte, nelle piazze metropolitane. L´inopinata fuga di notizie sui contenuti del maxi-decreto ha allarmato le segreterie di partito, mai insensibili alle grida di dolore che si levano dalle nicchie protette della società italiana.
Le pressioni esterne sono state fortissime, trasformando le liberalizzazioni in un campo di battaglia prima ancora che il testo definitivo approdasse a Palazzo Chigi. La prova sta nella lunga notte di trattative tra ministri e capigruppo, e poi nella maratona di otto ore che si è resa necessaria perché il governo licenziasse il decreto nella sua versione definitiva. Monti ha resistito all´assedio, riducendo al minimo possibile i cedimenti alle piazze e ai palazzi. Il pacchetto di misure per la concorrenza è sicuramente parziale, senz´altro incompleto e mai abbastanza esaustivo. Ma stavolta c´è un fondo di verità nelle parole del premier, quando afferma che «ogni categoria è stata chiamata a uno sforzo di riforma», che «nessuno potrà dire che ce la siamo presa con i Poteri deboli lasciando tranquilli i Poteri forti» e che «scontentiamo tutti nella stessa misura perché in futuro siano tutti più contenti».
Su questo decreto Cresci-Italia Monti si giocava e si gioca tutte le sue carte. Se avesse perso questa partita, cedendo dall´inizio all´offensiva delle categorie sociali e finendo stritolato dalla «cinghia di trasmissione» dei partiti, avrebbe firmato il certificato di morte del suo governo. Con la preziosa copertura del presidente della Repubblica, il premier è riuscito invece a reggere l´urto. Ora può giocare le sue carte mantenendo una posizione di forza, sottraendosi ai veti politici e ai ricatti corporativi. Può affrontare la nuova fase della legislatura parlando direttamente al Paese. Aprendo finalmente l´agenda (finora miseramente vuota) della crescita e dello sviluppo. Ha le carte in regola per provarci: il suo governo si dimostra in grado di tentare quella scomposizione e ricomposizione degli interessi diffusi che in una democrazia «normale» spetterebbe ai partiti, ma che i partiti in questo momento non sono in grado di fare.
L´intera vita di questo governo si regge sul filo di questo paradosso. Le vicende di questa lenzuolata lo confermano una volta di più. È un´anomalia che andrebbe sanata. Per una prima ragione, che è «congiunturale»: il decreto va ora in Parlamento, e sarebbe un suicidio se nella fase di conversione i partiti assecondassero il rituale assalto alla diligenza. Il conflitto sociale che accompagna inevitabilmente il tentativo di modernizzare il Paese non può essere lasciato tutto intero sulle spalle di un «governo strano» e di una «maggioranza riluttante». Per vincere questa battaglia occorrono una totale assunzione di responsabilità sulle singole misure e una piena condivisione sugli obiettivi di fondo. È davvero finita, se il Parlamento di oggi diventa quello che Luigi Einaudi raccontava nel ´37: «La borsa nella quale gli avvocati dei grandi capi dell´industria, della finanza, del commercio, della navigazione, dell´agricoltura contrattano i rispettivi privilegi».
E poi per una seconda ragione, che è strutturale: l´azione di governo, per quanto o in quanto «supplente», lascia uno spazio enorme alla politica, che deve solo avere il coraggio di prenderselo. Lo invoca Napolitano, che scuote i partiti e inchioda i presidenti delle due Camere a un calendario dei lavori intorno a una nuova legge elettorale che ci consenta di superare l´ignobile «Porcellum». Lo chiede lo stesso Monti, che sollecita i leader della sua impropria e involontaria «Grosse Koalition» a «rafforzare il dialogo», a farlo fruttare e magari a non viverlo come una consultazione carbonara di cui vergognarsi di fronte al proprio elettorato. Ma mentre su questo terreno è possibile trovare d´accordo Bersani e Casini, purtroppo resta in campo, irrisolta, la gigantesca incognita di Berlusconi. La politica, nonostante i suoi bizantinismi, è semplice geometria: non è un caso se, proprio nel giorno in cui il Professore trova una più che accettabile «quadra» sul decreto Cresci-Italia, il Cavaliere torna a palesare uno dei suoi cortocircuiti tra pancia e cervello, oscura la sua vena «di governo» e riscopre la sua vena di lotta.
«La cura Monti non funziona»: questo dice Berlusconi, dimostrando il suo nervosismo per una stagione che ormai lo vede ai margini, e svelando la debolezza della sua Pdl, che sbiadisce ogni giorno di più dietro l´immagine impalpabile di Alfano. Poi aggiunge: «Presto gli italiani ci richiameranno». L´illusione è dura a morire, anche per il più patetico degli illusionisti.
m.gianninirepubblica.it

da La Repubblica del 21 gennaio 2012

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“L’Albero Scosso”, di Dario Di Vico

Per chi ha a cuore l’apertura della società italiana ieri è stata una giornata importante. Mai l’albero era stato scosso così, mai in un colpo solo un governo aveva preso una serie di provvedimenti di liberalizzazione tanto larghi e destinati a toccare tutte le categorie. Il sistema Italia per ripartire ha bisogno di un’iniezione di concorrenza e ci si è messi nella condizione di assecondare questo processo. Modalità e tempi di attuazione delle singole misure sono differenti tra loro e di conseguenza l’attuazione richiederà particolare vigilanza per non venir meno al principio di equità.
Altrettanta applicazione l’esecutivo dovrà porla nel rapporto con gli operatori dei settori liberalizzati. Per il retaggio delle tradizioni il mercato è percepito come una penalizzazione e non come occasione di crescita della categoria e delle singole persone. La paura è nemica della libertà anche nella sfera economica e se si può, con un sovrappiù di pedagogia, contribuire a vincerla si investe sul capitale umano. Quindi se con i tassisti, che pure avevano meritato il cartellino rosso, il governo ha saputo fare opera di ascolto, è bene che una eguale considerazione sia riservata, ad esempio, ai professionisti.
Bene ha fatto Mario Monti a prendere di petto uno dei nodi della scarsa competitività del sistema Italia, il costo dell’energia. Le prime scelte compiute in materia di gas vanno nella giusta direzione e la loro corretta applicazione, legata allo scorporo della Snam dall’Eni, va incoraggiata. Rimane, caso mai, il rimpianto che pari determinazione non si sia avuta per i petrolieri, i servizi postali, il trasporto ferroviario e il rapporto tra banche e clienti. Con un pizzico di ottimismo pensiamo però che al governo non mancheranno occasioni future per completare l’opera.
Due misure ci preme sottolineare per la doppia valenza, concreta e simbolica. La possibilità di creare start up guidate da giovani, con un capitale di un euro e struttura giuridica semplificata, rende esplicita la finalità prima delle liberalizzazioni nella nostra società ingessata: includere le nuove generazioni e responsabilizzarle nella creazione di valore. Altrettanto significativa è l’istituzione del Tribunale delle imprese, destinato a velocizzare l’esame del contenzioso e renderci più attrattivi agli occhi di quegli investitori esteri che hanno sempre lamentato la farraginosità del nostro sistema giudiziario.
Dal ridisegno dei poteri e delle competenze nel settore strategico dei servizi un ruolo chiave viene ad assumerlo la costituenda Authority delle reti e dei trasporti. L’ampiezza delle materie che ricadranno sotto la sua giurisdizione rende, di conseguenza, ancora più delicata la scelta degli uomini e del modus operandi. Di un nuovo Moloch faremmo volentieri a meno.

dal Corriere della Sera del 21 gennaio 2012