attualità, politica italiana

"Il test per la politica", di Franco Bruni

Oggi il governo avvia il tavolo sul mercato del lavoro.
Ha appena varato il decreto sulla concorrenza. La «seconda fase» dei suoi provvedimenti, per il rilancio della crescita, è in pieno svolgimento.

Ma la cooperazione europea, della quale l’Italia non può fare a meno, è in uno stallo che allarma anche le agenzie di rating. La settimana scorsa Monti è riuscito a far riunire i tre partiti che lo sostengono per dare un consenso congiunto a una mozione che stimoli l’Europa a darsi una mossa. Ora deve convincerli ad approvare il decreto sfruttando l’assenso di massima che hanno espresso. Ma insieme all’assenso sono apparsi segni di una incompleta responsabilizzazione dei partiti, che può causare dilazioni, complicare il tavolo con le parti sociali, indebolire Monti a Bruxelles.

C’è movimento su tutti e tre i fronti della battaglia per domare la crisi: i provvedimenti del governo, il potenziamento della cooperazione europea, il miglioramento del clima politico nazionale. Diventa più chiaro il collegamento fra i tre fronti. Gli sviluppi in sede comunitaria influenzano quelli sul fronte politico interno. Il grado di successo dei provvedimenti del governo determina l’intensità della sua influenza in Europa e la convenienza dei partiti nazionali a collaborare.

Ma su uno dei fronti, quello politico nazionale, l’attenzione e il senso di urgenza sono ancora insufficienti. In Europa c’è inerzia ma lo si dice molto e ci si scandalizza. I provvedimenti del governo sono accolti in modi controversi ma prendono corpo svelto e animano la discussione. La strategia dei partiti è invece ancora congelata, sorpresa dal cambio di governo: e di ciò poco ci si preoccupa. Prevale l’idea che, avendo litigato troppo in passato, non si può chiedere ai partiti di trovar convergenze lavorando nella stessa stanza. Ma, sia a destra che a sinistra, è pervicace la difesa dello schema di competizione politica manichea, alla rincorsa dei sondaggi e delle prossime elezioni, che ci ha portato al disastro, come non si vedesse l’ora di riprendere il futile litigio senza programmi concreti che ha reso surreale lo scenario politico italiano degli ultimi anni. La permanenza del bipolarismo è data per scontata nonostante la coesione dei poli si riduca.

È lo stesso Monti a chiamare «strano» il suo governo, ma sulla sua stranezza qualcuno esagera, qualcuno mormora addirittura di sospensione della democrazia, confondendo quanto dispone la Costituzione, circa il rapporto fra elezioni, partiti, ruolo del Parlamento e ruolo del governo, e il modo in cui questi rapporti sono stati interpretati negli ultimi anni, secondo cui il governo, non solo il Parlamento, «dev’esser quello eletto dai cittadini». Persino una persona lucida come il sindaco di Milano ha detto all’«Infedele» che lo strano governo deve finire non più tardi dell’estate «altrimenti distrugge la sinistra». Eppure proprio Pisapia è stato votato anche perché è stato apprezzato un certo suo grado di convincente stranezza. È forse la conservazione della «sinistra», proprio di quella che c’è e che non è chiaro cosa sia, un buon criterio per decidere la fine della legislatura? Manca il coraggio di proporre una riflessione radicale, nell’interesse del buon governo del Paese, sui cartellini della politica e dei partiti.

Si dirà che occorre dar tempo per far sbollire il fumus delle insolenze e delle baruffe intorno a Berlusconi. Si dirà che altrove nel mondo battaglieri bipolarismi sopravvivono utilmente nonostante l’incertezza sul significato di destra e sinistra. Si dirà che per una migliore qualità della competizione politica occorre una nuova legge elettorale, ma che questa dipende dalla qualità della competizione che si vuol veder all’opera, e che dunque la lentezza dei progressi è quella del cane che insegue la sua coda: diamogli tempo per riuscire a prenderla e giocarci contento. Si dirà che il bipolarismo ha i suoi difetti ma lo spettro del passato, il grande centro inamovibile, trasformista e democristiano, è peggio del bipolarismo falso e drogato. Si dirà che il sostegno a Monti è la prova che la politica italiana non è inerte, che il dialogo fra i partiti sta prendendo corpo e il governo sta ottenendo per il Paese la fertile tregua di riflessione per il quale è stato nominato. Sono tanti i modi per giustificare la lentezza dell’evoluzione del quadro politico, alla quale non è certo l’economista che può suggerire la strada migliore.

Ma l’economista può dire che gli altri due fronti della battaglia, i provvedimenti del governo e i progressi dell’Europa, sono necessari ma non sufficienti per garantire la fiducia degli investitori nell’Italia. Se anche Monti prende misure perfette e l’Europa ci circonda di solidarietà, per puntare sull’Italia occorre puntare almeno sul suo prossimo decennio. Ciò richiede fiducia nei meccanismi della politica italiana che subentreranno quando lo strano governo avrà terminato il suo mandato. Se i meccanismi rimarranno malati e inadeguati ai tempi, le manovre e le riforme in corso saranno insostenibili, verranno smontate e smentite, e qualunque solidarietà europea andrà sprecata. Soprattutto, la sfiducia dei cittadini nella politica continuerà a mangiarsi la civiltà del Paese.

Dovrà allora prolungarsi o rinnovarsi la tregua, con altri governi «strani»? Speriamo di no. Ma per inventarsi una nuova e sostenibile normalità, proprio perché non è cosa facile da fare, occorre impegnarsi subito di più, almeno con la stessa urgenza, coraggio e fantasia che stiamo chiedendo ai politici europei. I leader dei partiti rinnovino senza pudori i loro incontri in una stessa stanza e preparino un gioco politico pulito, credibile e concreto per il futuro. Se per farlo non bastasse il periodo che ci separa dalle prossime elezioni, si prendano, senza sprecarlo, altro tempo, dando anche alla prossima legislatura qualche connotato «strano», meno strano di Monti ma abbastanza strano per promettere autentica volontà di innovazione.

dawww.lastampa.it