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"Sanità, una responsabilità da condividere", di IGNAZIO MARINO*

Caro Direttore, è giusto che un ospedale al termine di un ricovero dimetta il paziente consegnandogli un documento che riassuma le spese che il Servizio sanitario nazionale ha sostenuto per lui? La Regione Lombardia e la Regione Piemonte hanno deliberato che nei prossimi mesi ogni paziente, al momento di congedarsi dall’ospedale riceverà, oltre alla lettera di dimissioni, il conto: una nota a due voci dove saranno registrate separatamente la somma eventualmente pagata dal paziente e i costi sostenuti dal servizio pubblico. E’ una scelta che non ha mancato di aprire un dibattito, in primo luogo tra i medici. E’ stato osservato che parlare di costi può essere umiliante per il malato e controproducente per il medico che non dovrebbe essere distolto dalla sua missione con questioni finanziarie. Sono osservazioni non prive di fondamento, eppure occorre avere la serietà di ripetere che quando si parla di salute si parla anche di risorse che non sono, neanche in questo campo, infinite. Lo sanno bene i medici di famiglia, da anni invitati a evitare prescrizioni inutili e superflue, ed è bene che ne siano consapevoli anche i cittadini. Se la spesa sanitaria va razionalizzata, allora è saggio coinvolgere e responsabilizzare in questo processo proprio gli utenti del servizio sanitario.

L’obiettivo non è certo quello di convincerli a non curarsi, o a curarsi di meno, ma quello di ragionare tutti, operatori e utenti, in termini di utilità/inutilità di una prestazione o di un servizio. Prima ancora di bilanci o di tetti di spesa, il criterio cui fare riferimento deve essere quello dell’appropriatezza della cura e dunque della necessità di un intervento sanitario. A prescindere dai costi, se una prestazione è necessaria, va garantita. Se non lo è, è saggio, se non doveroso, evitarla anche perché sottrae risorse economiche preziose per interventi irrinunciabili.

Nel nostro Paese si sprecano fiumi di denaro per i cosiddetti ricoveri inappropriati: in altri Paesi il paziente fissa la data dell’operazione con il proprio chirurgo, poi si fa visitare dall’anestesista e dagli altri specialisti e il ricovero avviene solo la mattina del giorno stabilito per l’operazione. Si ha idea di quanto si risparmia? In Italia, solo in Friuli Venezia Giulia il malato è ospedalizzato la notte prima dell’intervento; nel Lazio i giorni in più precedenti l’intervento sono in media tre, nel Sud in generale diventano 4 o 5, al costo di mille euro al giorno. E questo per 400.000 interventi programmati ogni anno. Inoltre, potendo scegliere, qual è il malato che opterebbe per stare in una stanza con quattro o cinque letti quando potrebbe stare a casa sua sino al giorno dell’operazione? E quei soldi così sprecati non saranno disponibili per coprire le spese di un esame diagnostico o per ridurre il ticket su di un farmaco. E’ in questa logica che i cittadini possono essere invitati a partecipare in prima persona ad una riflessione sulla spesa sanitaria. In questo modo potranno avere voce in capitolo ed esprimersi sulle scelte di politica sanitaria delle strutture pubbliche. E’ quanto accade in molti paesi occidentali dove si parla di consumer-driven health care e dove gli utenti dei servizi sanitari possono pronunciarsi attraverso appositi comitati. Potremmo pensare all’istituzione di Comitati consultivi di Controllo, costituiti e gestiti da cittadini appartenenti ad una Asl, che potrebbero esprimersi sulla programmazione sanitaria, suggerire modifiche o miglioramenti nell’individuazione delle priorità nell’uso delle risorse. Sarebbe un significativo passo avanti per una maggiore trasparenza ed efficienza del servizio sanitario. E per una democrazia partecipata.

* Chirurgo, presidente della Commissione parlamentare di Inchiesta sul Servizio sanitario nazionale

da La Stampa del 24 gennaio 2012