economia, lavoro

"Classi sociali, i ricchi sempre più su ora guadagnano 10 volte più dei poveri", di Luisa Grion

IL DOSSIER. Le misure del governo. I dati diffusi dall´Istat collocano l´iniquità economica italiana al di sopra della media dei Paesi dell´Ocse
Il reddito del 10% di popolazione più benestante è di 49.300 euro, mentre al 10% più povero ne vanno 4.877

Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. In Italia l´ascensore sociale si è rotto, le categorie di reddito sono sempre più chiuse e il divario fra classi – invece di diminuire – aumenta.
La tendenza accomuna quasi tutte le economie sviluppate, ma da noi la distanza è superiore rispetto alla media dei Paesi Ocse. Uomini e donne non salgono più i gradini della scala sociale e restano aggrappati alla ringhiera anche al momento delle nozze: il matrimonio tende a «polarizzare» i redditi. Il medico sposa quasi sempre il medico, l´avvocato dice «sì» solo all´avvocatessa, l´operaio all´operaia. Ricchi con ricchi, poveri con poveri: una dura legge che nemmeno la favola bella di Cenerentola riesce a contrastare. Oggi i principi azzurri e le ricche ereditiere non rappresentano più la soluzione del problema: ce lo dice l´Ocse nel suo rapporto «Divided we stand», una spietata analisi sulla crescita delle ineguaglianze sociali presentata ieri all´Istat.
UNO A DIECI
Le cifre indicate dallo studio dettano una tendenza netta: nel 2008, anno degli ultimi dati disponibili (e periodo comunque antecedente alla fase più pesante della crisi), il reddito medio del 10 per cento di popolazione più ricco del Paese era di oltre dieci volte superiore a quello del 10 per cento più povero (49.300 euro contro 4.887). A metà degli anni Ottanta il rapporto era di 8 a 1: il gap sta quindi peggiorando. Non è un fenomeno solo italiano, sia chiaro: il divario fra più e meno abbienti, sottolinea l´Ocse, sta aumentano in quasi tutti i paesi europei. Francia a parte dove – come in Giappone – il quadro è rimasto più o meno stabile, il differenziale è salito anche nella ricca Germania e nell´evoluta penisola Scandinava (passando dall´1 a 5 degli anni Ottanta all´attuale 1 a 6). Imbarazzante l´1 a 17 degli Stati Uniti, drammatico – pur se in netto miglioramento – il dato del Brasile dove i più ricchi hanno redditi cinquanta volte superiori a quelli dei più poveri.
I MEGLIO E I PEGGIO PAGATI
Più sei pagato, più lavori, più ti arricchisci: a guardare le tabelle dello studio Ocse par di capire che le occupazioni di basso livello difficilmente evolvono e permettono il riscatto. Secondo gli studi dell´Ocse in Italia (ma la tendenza è confermata anche negli altri paesi) quantità e qualità del lavoro vanno di pari passo. Dalla metà degli anni Ottanta ad oggi il numero annuale di ore di lavoro effettuate dai dipendenti meno pagati è passato dalla 1580 alle 1440 ore. Anche fra i lavoratori meglio pagati la quantità è diminuita, ma in minor misura, passando dalle 2170 alle 2080 ore. Faticare, quindi, non basta. Ed essere lavoratore dipendente non aiuta: a differenza di molti paesi Ocse in Italia la diseguaglianza sociale va di pari passo con l´aumento dei redditi dei lavoratori autonomi. La loro quota sul totale della ricchezza è aumenta, negli ultimi trenta anni, del 10 per cento.
CENERENTOLA E ALTRI RIMEDI
Cos´è che fa aumentare la diseguaglianza? Il livello minimo di istruzione, certo, la bassa percentuale di lavoro femminile, lo storico divario fra Nord e Sud. Ma non basta. Il gap di casa nostra è causato anche dalla tendenza degli italiani a celebrare unioni fra caste: i principi azzurri non vanno più in cerca della loro Cenerentola e questa mancanza di fantasia ha contribuito per un terzo dell´aumento delle diseguaglianze di reddito. Cosa fare per invertire la tendenza? L´estensione dei servizi pubblici non basta più: istruzione, sanità e welfare riducono il gap, ma in modo meno incisivo rispetto al passato (di un quarto nel 2000, di un quinto oggi). La svolta, suggerisce l´Ocse, per l´Italia passa attraverso una riforma del fisco e della previdenza, il potenziamento degli ammortizzatori sociali e delle politiche di sostegno al reddito.

da La Repubblica del 25 gennaio 2012

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“Italia, ricchi e poveri”, di Jolanda Bufalini

La distanza sociale aumenta. Classe media italiana in difficoltà anche per la spesa. Una delle raccomandazioni della ricerca: investire sul capitale umano, cioè su scuola e formazione

I precari dell’Istat che «hanno fornito gli indicatori e le misure della diseguaglianza », protagonisti e, al tempo stesso, oggetto della ricerca dell’Ocse sulle diseguaglianze, hanno salutato il ministro Elsa Fornero con uno striscione nell’Aula magna dell’Istituto di Statistica, ispirato al titolo della ricerca: «Precarious We Stand». Un inflessibile Enrico Giovannini non ha dato loro la parola ma il ministro ha assicurato: «I precari di tutta Italia sono nel cuore del governo». Viviamo in un paese dove i poveri restano poveri, i ricchi sposano i ricchi, dove le diseguaglianze sono aumentate anche negli anni in cui cresceva l’occupazione, smentendo l’idea che «i benefici della crescita economica ricadano sulle classi meno abbienti e che una maggiore diseguaglianza stimoli la mobilità sociale». È il profilo dell’Italia che emerge dalla presentazione, fatta da Stefano Scarpetta, della ricerca comparata fra i paesi Ocse in cui si cerca risposta all’interrogativo: «Perché le diseguaglianze continuano a crescere?». Dice Scarpetta che della povertà in Italia preoccupa la sua «persistenza», che i matrimoni fra persone dello stesso ceto «contribuiscono per un terzo all’aumento delle diseguaglianze». In Italia la crescita della diseguaglianza è all’apice dagli anni Novanta ed è superiore alla media Ocse: nel 2008 il reddito medio del 10% più ricco del paese era di 49.300 euro,10volte di più del reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), venti anni fa la differenza fra ricchi e lavoratori poveri era invece di sette punti. Se si allarga lo zoom e si guarda all’insieme il quadro è ancora più fosco: negli Stati Uniti i ricchi hanno 18 volte di più rispetto ai redditi minimi, in Brasile la differenza è pari a 50. Non solo, i maggiori guadagni in alcuni paesi sono raccolti dallo 0,1 per cento della popolazione: negli Usa la quota di reddito familiare netto per l’1%della popolazione più ricca è più che raddoppiata, passando dall’8% nel 1979 al 17 % nel 2007. Solo alcuni paesi in via di sviluppo come la Turchia hanno ridotto il differenziale mentre anche nel Nord Europa le differenze sono aumentate, solo in Francia e Giappone sono rimaste stabili. RIVOLUZIONE TECNOLOGICA Passando dalla fotografia alle cause si scopre che la globalizzazione (cioè l’aumento degli scambi e degli investimenti stranieri) non sono la causa diretta del maggiore gapmentre le riforme del mercato del lavoro, come l’aumento dei contratti atipici, hanno ampliato la platea degli occupati ma anche ridotto i salari. Un fattore che ha influenzato, invece, direttamente le disparità è la rivoluzione tecnologica. Di qui una delle raccomandazioni della ricerca: investire sul capitale umano, cioè su scuola e formazione perché i lavoratori più qualificati hanno visto incrementare rapidamente i loro redditi mentre i meno qualificati sono rimasti indietro. E la sfida, per i paesi Ocse «è creare posti di lavoro qualitativamente e quantitativamente migliori». C’è un altro fattore che ha aumentato le disparità, l’esigenza di contenere la spesa di welfare: minore protezione sociale, minore capacità redistributiva delle politiche fiscali, meno previdenza, meno assistenza. Di qui la sottolineatura dell’Ocse: agire sulla qualità dei servizi gratuiti come la sanità e l’istruzione. E sulla leva fiscale, «perché le quote crescenti di reddito per le retribuzioni più elevate suggerisce che la capacità contributiva è aumentata» e con la recessione «le politiche di sostegno sono molto importanti».

da l’Unità