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"Italia, troppi primati negativi", di Guelfo Fiore

Mandare a quel paese le agenzie di rating, ammettiamolo, dà gusto. Soprattutto se a farlo con noi sono i mitici “mercati”, fregandosene delle bocciature distribuite con irritante prodigalità. Compiuta però la gradevole operazione non è che ci ritroviamo meno malconci di prima. Forse la serie B assegnataci da Standard&Poor’s, in attesa che le sorelle la imitino, non è meritata, ma in quante altre classifiche l’Italia sta messa proprio male.
Non avranno, queste graduatorie, le stesse conseguenze delle retrocessioni decise da “Qui, Quo e Qua” – come le spernacchia Romano Prodi – però non ci fanno fare lo stesso una bella figura. E alla fine, sommate, danno materia agli estensori di outlook negativi e giustificano mortificanti downgrade.
Per cominciare, la più fresca, fornita qualche giorno fa dal ministro Severino alle camere: da noi occorrono in media 1210 giorni per conoscere, in primo grado, l’esito di un processo civile, siamo all’ultimo posto tra i paesi Ocse; secondo il “Rapporto doing business” l’Italia è al 157° posto su 183 paesi censiti per il recupero di un credito commerciale: occorrono 1210 giorni contro i 394 della Germania o i 399 dell’Inghilterra. Ecco l’inappellabile sentenza del ministro della giustizia: «L’inefficienza della giustizia civile può essere misurata in termini economici come pari all’1% del Pil», una robetta da 12 mld di euro, all’anno.
Un’altra graduatoria solo in apparenza meno svantaggiante per un moderno funzionamento del “sistema paese”: in Italia esistono 230 km di rete metropolitana (75 a Milano, 52 a Napoli, 38 a Roma, etc) mentre nella sola Londra sono 408, a Madrid 310, a Parigi 213 e Berlino 152. In un ipotetico scontro diretto Madrid batte Roma otto a zero.
Vediamo un pò come siamo messi a capelli bianchi: l’indice di vecchiaia, ovvero il rapporto tra ultrasessantacinquenni e ragazzi fino ai 15 anni (dati 2007) è pari a 143, quindi dopo la Germania (146,4%) siamo il paese più vecchio d’Europa mentre il valore medio dell’Ue è 108,6. E sul fronte opposto, dei nuovi nati? Ecco un primato che proprio non fa piacere: in Italia (dati 2008) le donne diventano madri più tardi, 31,1 è l’età media al parto, il valore più alto nell’Ue a 27.
Continuando: da molti anni, nascono meno di 600mila bambini l’anno (561.944 nel 2010), negli anni Settanta erano circa 900mila/l’anno; la fecondità è di circa 1,4 figli per donna, peggio di noi, nell’Europa a 27, Germania, Portogallo, Polonia, Ungheria e Romania.
Ritorniamo all’economia. Dando la parola al governatore della Banca d’Italia Draghi: «Le imprese italiane sono in media del 40 per cento più piccole di quelle dell’area euro. Fra le prime 50 imprese europee per fatturato sono comprese 15 tedesche, 11 francesi e solo 4 italiane». Il 95 per cento delle aziende ha meno di dieci dipendenti, le grandi imprese manifatturiere con oltre 250 addetti sono un terzo di quelle tedesche. Ancora Draghi, così ci capiamo: «La nostra produttività ristagna perché il sistema non si è ancora bene adattato alle nuove tecnologie, alla globalizzazione». A proposito di produttività, nei dieci anni precedenti l’esplosione della crisi internazionale, la produttività per ora di lavoro è cresciuta in Italia del 3 per cento contro il 14 per cento dell’area euro. E la competitività? Siamo piazzati al 48° posto (dati 2010), tra Lituania e Montenegro, la Germania è quinta, l’Inghilterra dodicesima, la Francia quindicesima.
Chiudiamo con la crescita economica: nel decennio 2001/2010 abbiamo realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell’Ue con un tasso medio annuo di appena lo 0,2 per cento contro l’1,3 per cento registrato dall’Ue e l’1,1 per cento dalla zona euro.
Ed ora una spruzzata di tasse. L’evasione dell’Iva è tra più alte d’Europa: viene evasa il 36,39 per cento di quella che si dovrebbe pagare, ci supera solo la Spagna col 39,5 mentre Francia e Germania stanno tra 8 e 10 per cento. La pressione fiscale? Con i dati 2009 (oggi abbondantemente superati grazie alle ultime manovre) solo la Francia chiede di più ai suoi cittadini nell’Unione europea, 7438 euro l’anno contro i 7359 dell’Italia, tutti gli altri seguono. Naturalmente il calcolo sarebbe corretto se tutti i cittadini italiani pagassero ma poiché viene stimata un’evasione totale tra i 120 e 150 mld di euro l’anno, quelli che pagano – i soliti noti – pagano molto di più dei 7359 euro che la statistica gli assegna.
Soldi che vanno, soldi che vengono. Per esempio, sotto forma di aiuti alla famiglia: nel 2009 alle politiche per la famiglia è stato destinato l’1,4 per cento del Pil, siamo agli ultimi posti in Europa con Spagna e Portogallo, mentre la media europea è 2,1 per cento; Germania, Francia, Austria spendono il doppio.
Dell’occupazione, anzi della disoccupazione, sappiamo tutto: complessiva, giovanile, femminile, meridionale. Precari. E poi generazione neet (i giovani che non studiano né lavorano) e quelli che hanno rinunciato a cercare un’occupazione: occhio solo a chi squaderna (capitava col governo precedente) quell’8,6 per cento di disoccupati dicendo, con un accenno di sorriso, che siamo sotto la media Ue, in questo caso è bene ricordare che aggiungendo cassintegrati a zero ore, neet e quant’altro la suddetta “media Ue” ce la lasciamo abbondantemente alle nostre spalle. Con le classifiche non si finirebbe mai.
Ma già queste, senza pretesa scientifica, un’idea l’hanno resa. E non è proprio incoraggiante. Nè, vestendo i panni dei ragazzi e dei giovani, foriera di stima per le generazioni che li hanno preceduti. Al di là della speranza che sappiano fare di meglio (e non dovrebbe essere assai complicato) forse è bene far sapere loro che le famiglie italiane sono insuperabili certo su tante cose ma anche su questa: hanno un debito pari al 59,9 per cento del reddito disponibile contro l’89 per cento della virtuosa Germania, il 76 per cento della Francia, il 91 per cento medio dell’area euro, il 145 per cento della Gran Bretagna e il 155 per cento degli Stati Uniti. Fino ad ora è una delle condizioni che ci ha permesso di non affondare. E scusate se è poco.

da www.europaquotidiano.it