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"Assegnisti o ricercatori?", di Luca Schiaffino

Attuando quanto previsto dalla legge 240, il MIUR ha creato una nuova pagina (link) per la pubblicazione, in italiano ed in inglese, dei bandi da ricercatore a tempo determinato emanati dalle università e dagli enti di ricerca. La consultazione del sito fornisce diverse interessanti informazioni sullo stato dell’università italiana e sull’applicazione della cosiddetta “riforma”.

Spulciando laboriosamente fra gli avvisi (per qualche misterioso motivo il sito non fornisce alcuna informazione riguardo la tipologia, RTDa o RTDb, di ciascun bando) è possibile, ad esempio, osservare come la tenure track decantata dai sostenitori della riforma sia pressoché scomparsa dal panorama accademico (link). Un altro aspetto interessante che balza immediatamente agli occhi è la presenza di un campo “titolo”, che a volte riporta semplicemente e correttamente la dicitura “Selezione pubblica per ricercatore a tempo determinato”, mentre nella maggior parte dei casi specifica addirittura un tema di ricerca.

L’articolo 24, comma 1, della legge 240 afferma che il contratto con il ricercatore stabilisce le modalità dello svolgimento dell’attività didattica e di ricerca. Evidentemente qualcuno ha pensato di sfruttare questa previsione non per definire il modo in cui i destinatari dei contratti saranno tenuti ad operare all’interno delle strutture dell’ateneo, ma per legare i singoli posti allo svolgimento di un “progetto di ricerca”, che si trasforma di fatto in una sorta di profilo del candidato.

Si tratta di una scelta quanto meno discutibile, visto che più avanti la stessa legge 240 afferma che i bandi di questo tipo devono contenere unicamente la “specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari”.

Esistono argomentazioni pro e contro l’opportunità di inserire profili dettagliati nei bandi. I favorevoli tendenzialmente si appellano alla necessità di assumere persone in grado di soddisfare le esigenze didattiche e di ricerca specifiche dell’ateneo e alla circostanza che i profili sono un’abitudine ampiamente consolidata in altri paesi. I contrari vedono in questa prassi un ostacolo all’introduzione di nuove tematiche di ricerca nei dipartimenti e soprattutto uno stratagemma per ritagliare il bando attorno al curriculum del futuro vincitore (in effetti molti bandi sono talmente dettagliati da suscitare più di un sospetto, tanto più che la Carta Europea dei Ricercatori, il cui rispetto è esplicitamente richiesto dalla legge 240, afferma che “gli annunci non dovrebbero richiedere competenze così specifiche da scoraggiare i potenziali candidati”).

Un’altra stranezza presente in diversi bandi (e relativi regolamenti di ateneo) è la comparsa di “prove seminariali”, “accertamento di conoscenze e competenze” in ambiti molto specifici, “giudizio collegiale comparativo” in relazione alle prove sostenute e alle linee di ricerca specificate dal bando, laddove invece la legge 240 recita testualmente (art 24, comma 2): “Sono esclusi esami scritti e orali, ad eccezione di una prova orale volta ad accertare l’adeguata conoscenza di una lingua straniera.”

L’abolizione delle prove scritte e orali risponde alla chiara intenzione, da parte del legislatore, di eliminare spazi di manovra che potrebbero essere utilizzati per orientare gli esiti concorsuali. Anche questo è un tema discusso, e in parte collegato alla tematica dei profili, con argomentazioni pro (maggiore trasparenza concorsuale) e contro (poca flessibilità da parte delle commissioni nella valutazione dei candidati, eccessivo peso degli indicatori bibliometrici, approccio ragionieristico alla valutazione).

Comunque la si pensi (e le due questioni meritano certamente un dibattito approfondito) resta il fatto che la legge 240, attualmente in vigore, non prevede la specificazione di tematiche di ricerca e di profili dettagliati nei bandi ed esclude la possibilità di sottoporre i candidati a prove scritte e orali. Sarebbe allora opportuno che il sistema universitario, anche al fine di evitare di fornire argomentazioni a campagne denigratorie spesso per molti altri versi immotivate, evitasse di scrivere una pagina di abitudine all’inosservanza delle leggi che, fatto salvo il diverso ordine di conseguenze, nei suoi elementi di base non risulta poi molto diversa dalla tolleranza verso le rotte spericolate che ha causato il disastro navale di questi giorni.

da http://www.roars.it