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“Il governo batta un colpo”, di Vittorio Emiliani

Il presidente Monti non può non dare corso, al più presto, all’iniziativa sulla “governabilità” della Rai prima della scadenza dell’attuale consiglio di amministrazione annunciata su Raitre e l’altro ieri a Bruxelles, in sede europea. Come richiede la lettera di denuncia scritta dal presidente dell’azienda di Stato, Paolo Garimberti. E come sollecitano le chiare dimissioni del consigliere Nino Rizzo Nervo.
Non era mai successo che la Rai, cioè la più grande azienda di informazione, intrattenimento e cultura del Paese, venisse asservita da una ex maggioranza di governo, divisa su tutto, ridiventata autosufficiente e funzionante soltanto in Viale Mazzini 14. Non era mai successo che, con un chiaro atto di rottura, il direttore generale portasse in consiglio, contro il parere del presidente, le nomine strategiche del direttore del Tg1 attribuito ad un giornalista già pensionato (e quindi non suscettibile di rinomina) portato dal Pdl, e del direttore della testata TgR ad un giornalista voluto dalla Lega Nord, in funzione delle prossime amministrative, delle elezioni del 2013 o di un possibile voto politico anticipato. Non erano mai successe tante cose negative in Rai da quando Berlusconi è “sceso in campo” col fine primario di difendere aziende, interessi, patrimoni di famiglia. Ma soprattutto non era mai accaduto, da quando l’Eiar mussoliniano divenne la Rai Radio Televisione Italiana, che una legge come la Gasparri tuttora vigente facesse diventare l’emittente di Stato una dépendance del premier e dei partiti di maggioranza, pronti a metterla al guinzaglio.
Ora quella maggioranza non è più tale e Berlusconi circola più per le aule del Palazzo di Giustizia di Milano che non a Palazzo Grazioli o a Montecitorio. Ora una maggioranza che riunisce tutti i partiti, fuorché la Lega, sostiene il governo Monti e il suo programma. In forza della legge tuttora vigente, la Rai-Tv è del Tesoro e Mario Monti ne è l’azionista di maggioranza. Tant’è che, di fronte a milioni di telespettatori, ha promesso (vista la situazione di precarietà in cui versa la Rai) novità importanti a breve. Novità a garanzia del servizio pubblico ovviamente.
Dopo il colpo di mano in Rai della resuscitata maggioranza Pdl-Lega Nord e del suo direttore generale, milioni di utenti si attendono dal presidente e ministro dell’Economia quelle novità “interessanti”. Questo CdA Rai deve scadere a fine marzo con l’approvazione dei bilanci. Sarebbe gravissimo se decidesse, ancora a maggioranza, di ritardare questa operazione sino a fine giugno. Petruccioli e Cappon, nel 2008, fecero correttamente approvare i bilanci il 1° aprile per dire che la loro corsa era finita. Monti può assumere più di una iniziativa: dal richiamare il consigliere nominato dal Tesoro al far rispettare la scadenza di fine marzo, al porre mano ad una prima riforma della governance, allo stesso commissariamento. Ma deve dar corso all’iniziativa, annunciata e promessa, che ha in mente. Senza indugio.

L’Unità 02.02.12

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L’asse Pdl-Lega per non cambiare la Rai”, di Fabrizia Bagozzi

Il terremoto a viale Mazzini diventa un problema sul tavolo di Monti
Maccari e Casarin imposti dal resuscitato tandem Pdl-Lega alla direzione del Tg1 e delle testate regionali. Con un voto a maggioranza ottenuto a muso duro anche contro la volontà esplicita del presidente della Rai che ha votato no. Un consigliere in quota centrosinistra, Nino Rizzo Nervo, che si dimette per protesta.
Lo showdown andato in scena martedì nel cda mostra che – sia pur con molti se e qualche ma – il mood Monti funziona in parlamento, ma non riesce a sfondare la barriera del suono di viale Mazzini e delle sue radicate consuetudini. Dal conclave in cui la vecchia maggioranza di centrodestra ha portato a casa i suoi desiderata non sono arrivati nomi condivisi, come vorrebbe la nuova stagione. Facendo esplodere, oltre a una crisi formale (il Pd non sostituirà Rizzo Nervo), la questione incandescente della governance Rai, a poco più di due mesi della scadenza del vertice. Fa notare Paolo Gentiloni, responsabile del forum Itc del Pd: «La crisi della Rai è giunta a un punto di non ritorno. Se il governo intende intervenire per salvare il servizio pubblico, non c’è più un giorno da perdere».
E che Mario Monti abbia aperto sul tavolo il dossier Rai lo ha detto lui stesso più volte, prima ospite da Fabio Fazio, l’ultima volta due giorni fa al termine del consiglio Ue. La tempesta in viale Mazzini e l’atteggiamento assunto dal consigliere del tesoro Petroni hanno reso il trattamento della questione ancora più urgente. Ma il premier, che a Che tempo che fa era sembrato più possibilista su un intervento diretto («mi dia qualche settimana e vedrà»), lunedì notte a Bruxelles ha precisato: il governo si occuperà della Rai «nei limiti delle competenze, nella sua qualità di azionista e regolatore, entro le scadenze stabilite che si stanno avvicinando». Parole che non fanno pensare a decisioni straordinarie, mentre i tempi per entrare in medias res con una norma – un decreto o un disegno di legge – si fanno sempre più stretti: il cda scade il 28 marzo, e gli eventi di mertedì rendono più difficile la proroga dell’attuale consiglio di amministrazione.
Mentre si fa sempre più forte il pressing per dare un segnale di svolta, dal Pd e dagli stessi vertici Rai: nei giorni scorsi ha chiesto un incontro a Monti il presidente del cda Paolo Garimberti. Ma se in un primo tempo, per quanto informalmente, il Pdl non aveva sbarrato le porte a eventuali proposte di cambiamento che arrivassero dall’esecutivo, la blindatura in viale Mazzini dà l’idea di una maggioranza che, ancorché vecchia, quando si tratta di Rai, gioca di sponda per tenere saldamente le posizioni strategiche.
Da questo punto di vista, la soluzione gradita alla coppia Pdl-Lega è una proroga dell’attuale cda, direttore generale incluso. Ma è un’opzione decisamente improbabile. In alternativa, meglio andare a votare con le regole della legge Gasparri, con le quali gli alleati del tempo che fu pensano ancora di potersi giocare una partita.
Non a caso un uomo di fiducia di Berlusconi come Antonio Verro ha scelto di rimanere consigliere di un cda in scadenza anziché trasferirisi a Montecitorio. Anche se il rinnovo dei vertici a condizioni date porta con sé l’incognita di un nuovo e diverso consigliere espresso dal tesoro che, al netto del presidente (proposto dal governo e votato dai due terzi della Vigilanza), può cambiare gli equilibri in Rai, e non a vantaggio del centrodestra.
Quanto al Pd, di votare il rinnovo con la legge Gasparri non vuole neppure sentire parlare. Ma il rischio, oggi, è proprio questo.

da Europa quotidiano 02.02.12