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Il Pd sfida il governo «Intesa con i sindacati oppure votiamo no», di Andrea Carugati

Il Pd non ci sta. L’uno-due Monti Fornero sui temi del lavoro ha parecchio irritato i democratici. E se la battuta del premier sul posto fisso viene derubricata appunto ad una battuta da Pierluigi Bersani, l’uscita del ministro del Welfare sulla riforma del lavoro («Andremo avanti anche senza accordo con i sindacati») scatena una sollevazione.
«Per quanto mi riguarda il lavoro stabile può diventare noioso, ma per chi ce l’ha. Per chi non ce l’ha è desiderabile», dice il segretario. «Non inchiodiamo Monti a una battuta», aggiunge. «Non sarà questo a far venire meno la nostra fiducia nel premier». Non tutti hanno voglia di sdrammatizzare: «Una battuta infelice», taglia corto Nicola Zingaretti. «Monti ha detto una sciocchezza», va giù duro Nicola Latorre.
Ma è soprattutto il sinistro annuncio sull’articolo 18 del ministro Fornero ad irritare i democratici. E il seminario su lavoro e precarietà organizzato ieri pomeriggio alla sede Pd del Nazareno da Cesare Damiano e Pierpaolo Baretta diventa uno sfogatoio dei tanti malumori che covano contro il governo dei professori. Il più esplicito è Sergio D’Antoni, non certo un estremista: «Fortuna che c’è il governo Monti che ci ha liberato dalla barbarie di Berlusconi», premette sornione. Poi attacca: «Il dibattito sul posto fisso? Roba di vent’anni fa, per favore finiamola e si parli di cose serie. Il Pd deve difendere la ritrovata unità sindacale, o c’è l’accordo con le parti sociali o sul lavoro non votiamo niente. Visto che Fornero manda segnali, anche i nostri devono essere chiari», chiude l’ex leader Cisl tra gli applausi della platea. D’accordo con lui anche l’ex Cgil Paolo Nerozzi, appena un poco più diplomatici Damiano e Stefano Fassina. Dice il responsabile economico del Pd: «Un testo non condiviso con i sindacati troverà molti problemi in Parlamento». E Damiano: «Questo governo non mi sembra molto portato alla concertazione, e non vorrei che dal dialogo si passasse al monologo. Se dopo aver fatto un atto unilaterale sulle pensioni, ne arrivasse un altro sul lavoro, sorgerebbero molti problemi politici, e in Parlamento la maggioranza potrebbe restringersi…».
FASSINA CONTRO MONTI
Fassina, più prudente sulle conseguenze parlamentari dello stentato avvio della concertazione, picchia duro sul concetto di «apartheid» nel mercato del lavoro evocato mercoledì sera da Monti. «È un termine dell’estremismo neoliberista di destra, una parola violenta e offensiva che parte da un’analisi infondata della realtà». «Chi sarebbero i “segregazionisti bianchi” che impediscono l’ingresso nel mercato del lavoro ai “neri”? Gli operai in cassa integrazione? Perché il ministro Passera non si fa un giro tra i “garantiti” di Eutelia, di Porto Torres, di Termini Imerese?». E ancora: «Il premier conosce bene i mercati delle merci e dei servizi, ma c’è un deficit di conoscenza del mercato del lavoro: qui non si tratta di merci ma di persone». Sull’articolo 18, Fassina è ancora più esplicito: «C’è una strumentalizzazione della condizione giovanile, i precari sono solo la punta dell’iceberg di un mondo del lavoro che in questi anni è regredito nella sua totalità, a partire dai salari dei cosiddetti garantiti». «L’articolo 18 non c’entra nulla, è solo una questione ideologica», insiste. «E se il governo vuole attaccarlo per recuperare competitività nell’area euro riducendo ancora il costo del lavoro almeno abbia il coraggio di dirlo».
Anche Rosi Bindi è molto netta: «Il tempo delle battute e degli annunci è finito per tutti». La ricetta avanzata dal Pd è quella tedesca, come ribadisce D’antoni: «Ammortizzatori universali, partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’azienda, uso intelligente del parttime. In questo modo hanno risollevato l’economia dell’ex Ddr».
Anche sul capitolo pensioni il Pd punta i piedi. «Fornero ha detto che la questione è chiusa, per noi non è così», insistono Damiano e Fassina. «E non lo sarà finché ci saranno lavoratori che rischiano di restare nel limbo senza lavoro e senza pensione». L’ex ministro del Lavoro ribadisce il netto no alla proposta Ichino sul contratto unico: «Non ha senso neppure parlare di una distinzione tra chi è già dentro e chi entrando perderebbe l’articolo 18». Mentre Marco Follini si colloca sul fronte opposto: «La nettezza di Monti pone il Pd di fronte ad un bivio. Se la mediazione non si troverà, dovremo comunque prendere una posizione chiara e netta».

L’Unità 03.02.12