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“Orfini: La Rai va a picco”, di Natalia Lombardo

Ieri il Cda della Rai si è riunito per la prima volta senza il consigliere Rizzo Nervo, ed è stata rinviata la grana del piano Fiction sforbiciato di 30 milioni. L’onda lunga dello strappo sulle nomine ha prodotto un paradosso: Angelo Maria Petroni, il consigliere che rappresenta il Tesoro ma che è ancora convinto di rispondere a Tremonti, non solo non dà conto di questo, ma in una lettera al presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli, accusa il presidente Garimberti di «delegittimare l’azienda» nel contestare la spaccatura del consiglio e l’ingovernabilità della Rai. Altro fronte polemico dal Veneto, dove il Governatore leghista, Luca Zaia, ha detto di non pagare il canone perché non ha la tv, ma anche perché «non vale il prezzo».

Pier Luigi Bersani ha a cuore la sorte della tv pubblica, e il Pd «non parteciperà» al rinnovo del Cda con le regole della legge Gasparri, avverte Matteo Orfini, responsabile cultura e informazione del Pd.

Il Pd considera la situazione in Rai un’emergenza democratica. Quali iniziative sono state messe in campo?

«Premetto che non si tratta di una “normale” crisi della Rai, né della banale per quanto esecrabile lottizzazione. Qui un Cda in scadenza ha nominato a maggioranza i direttori delle principali testate, nonostante i presidenti della Rai e della Vigilanza chiedessero nomine condivise. Una situazione non più sostenibile, quindi daremo battaglia sul piano parlamentare e su quello pubblico. Presto in un question time chiederemo a Mario Monti nei panni di ministro del Tesoro, quindi l’azionista, cosa ne pensa del voto del suo rappresentante nel Cda, Petroni. Poi chiederemo ai presidenti e ai capigruppo delle Camere che vengano messe in calendario la nostra proposta di legge, e le altre, per cambiare la governance Rai».

Perché passi serve però una condivisione, e l’accordo col Pdl non c’è.

«Certo che serve una condivisione, anche per una riforma minima. Se questa non si trova chiederemo all’azionista, il Tesoro, di interessarsene».

Gasparri lo grida in modo strumentale, ma effettivamente due sentenze della Consulta limitano il potere di intervento del governo sulla tv pubblica. Cosa può fare Monti?

«Non potrà fare un decreto, ma una proposta di legge sulla quale cercare la condivisione in Parlamento sì. O, nel caso più drammatico, commissariare la Rai: la crisi economica è nota, e c’è una paralisi gestionale».

Ma il governo potrebbe anche far rinnovare il Cda con le attuali regole della Gasparri. Il Pd lo accetterebbe?

«Noi non partecipiamo, e spero che lo facciano anche l’Idv e il Terzo Polo. Si possono anche nominare persone autorevoli, ma il Pd non ci sta a rinnovare un parlamentino che non funziona e discute giorni per decidere le vicedirezioni dei Tg. Molti sono affezionati a questo sistema, anche nel Pd, ma non ci stiamo. Quindi, se noi non parteciperemo, il governo sarà obbligato a intervenire. Se ci tiene a mostrarsi coraggioso non vorrà che la Rai venga distrutta così».

Il presidente Garimberti ha fatto bene a chiedere un incontro a Monti?

«Il presidente Rai, al di là di quel che dice Gasparri, ha tutto il diritto di parlare con l’azionista. Piuttosto, Garimberti e Van Straten dovrebbero essere più coerenti: dicono che il consiglio è “ingovernabile” ma poi rimangono dentro. Insomma, cos’altro deve succedere?».

Quali saranno le iniziative pubbliche?

«La prossima settimana, forse una iniziativa in un teatro vicino alla Rai. Vogliamo denunciare che il ruolo servizio pubblico non è garantito da un così catastrofico direttore generale, e contestare le enormi diseguaglianze retributive: ci sono precari pagati poche centinaia di euro e top manager che continuano ad avere compensi altissimi anche quando non svolgono più la funzione. Per dire, un ex dg perché deve continuare a percepire lo stesso stipendio da direttore generale? E questo mentre a Rai Corporation si licenziano senza giusta causa 40 dipendenti (negli Usa non c’è l’articolo 18…) e si affidano le loro funzioni all’esterno. Poi a Viale Mazzini si pagano mega consulenze a pensionati, come Minoli, che tra l’altro non ha ancora risposto sul caso Agrodolce».

Quindi come li vede i 300mila euro a puntata per Celentano a Sanremo?

«Be’, la Rai non può dare chachet così alti in una situazione del Paese così difficile, non si possono sprecare soldi pubblici, si chieda alle star di venire incontro. Celentano farà beneficenza? Bravissimo, ma la faccia con i soldi suoi».

L’Unità 03.02.12