attualità, economia, politica italiana

“Articolo 18, lo strappo di Monti”, di Bianca Di Giovanni

Monti sposa la linea dura sull’articolo 18. «Alcuni lavoratori sono chiusi in una cittadella, altri non hanno difese», dichiara.
Così le posizioni al tavolo sul lavoro virano verso destra. Berlusconi soddisfatto.

«L’articolo 18 è un tema centrale della discussione. È ora di passare dai miti, dai simboli, alla realtà». Con questo passaggio dell’intervista rilasciata a Repubblica Tv, Mario Monti scopre le carte del suo governo sul tavolo del lavoro: e sono carte pesantissime. Non solo per la norma sui licenziamenti senza giusta causa, che in questo modo viene imposta come prioritaria nella trattativa (al contrario di quanto si era detto finora), con un’ipotetica scadenza a fine marzo. Ma anche per una lunga serie di osservazioni sulla politica sociale, che lasciano amaro in bocca.
Come quella sul «buonismo» dei governi passati. Sarebbe questo il motivo per cui l’Italia è ridotta male. «Per decenni i governi italiani hanno avuto troppo cuore, hanno diffuso troppo buonismo sociale – dichiara il premier – soprattutto prima che arrivasse l’Europa un po’ austera a renderci più attenti». E non si ferma qui. «Anche i tecnici hanno un cuore – aggiunge -ma spesso più si eroga bontà, più si creano le condizioni che graveranno sui giovani». Insomma, serve rigore, austerità, «cattiveria», naturalmente con i lavoratori. Che dire della corruzione dilagante, dell’evasione massiccia, dell’abbandono di intere regioni del Paese nelle mani della criminalità? Nulla di tutto questo: l’Italia sta male perché si sarebbe concesso troppo ai lavoratori, che nel frattempo – va ricordato – hanno continuato a perdere potere d’acquisto, mentre una piccola fetta di società si è arricchita sempre di più.
Invece per Monti torna l’assioma: meno diritti da una parte, più dall’altra. Come una coperta tirata di qua o di là. «Bisogna dare meno tutele a chi oggi ne ha troppe ed è quasi blindato nella sua cittadella – dichiara – e darne di più a chi è in forme estreme di precariato o è fuori dal mercato del lavoro». Insomma, serve un travaso: così gli over 50 potranno starsene a casa e gli under 35 andare al lavoro. Sarebbe questa la soluzione? Per il governo (e anche per Confindustria) proprio la possibilità di reintegro nel posto di lavoro terrebbe lontani gli investimenti stranieri. Finora avevano raccontato di una burocrazia elefantiaca, di mancanza di infrastrutture, di incertezza del diritto: ma questa del reintegro finora non si era mai sentita.

CHI USA LO SPREAD
È chiaro a questo punto che il governo vira verso destra: prima Elsa Fornero che tira dritto con o senza consenso dei sindacati, poi Monti che picchia duro su chi «è blindato nella cittadella ».Non è un caso che Silvio Berlusconi annuncia al Financial Times un forte sostegno all’esecutivo Monti.
Con l’ex premier sembra esserci una luna di miele mai interrotta. Tanto che Monti ne prende le difese, dichiarando che si è esagerato ad usare lo spread per attaccare il suo predecessore. Forse non è neanche un caso che le esternazioni sull’articolo 18 arrivano a poche ore dall’incontro sul lavoro con la delegazione Pdl, tra cui anche il «falco» Maurizio Sacconi. Probabilmente il premier pensa a quella «maggioranza ampia ma purtroppo evanescente» che il giorno prima lo ha inchiodato alla prima sconfitta in un’aula parlamentare sulla responsabilità civile dei giudici.
Poi tenta un accreditamento anche a sinistra. C’è da dire che liscia il pelo alla sinistra. «In manovra abbiamo pur sempre introdotto una cosa, che non abbiamo chiamato “imposta patrimoniale” per non urtare le sensibilità di chi non gradiva quell’impostazione», spiega riferendosi alle tasse sugli immobili e sui depositi bancari.
Quanto all’equità, il premier difende le sue iniziative sulla lotta all’evasione, elemento decisivo per la redistribuzione della ricchezza. Ma è chiaro che la partita centrale per il governo oggi è il lavoro, e la supposta contrapposizione giovani-vecchi. Tanto che il premier si perita di chiarire la sua ultima gaffe sul posto fisso che sarebbe «monotono». Specifica che intendeva dire semplicemente che i giovani dovranno abituarsi a cambiare posto e luogo di lavoro. Anzi, arriva persino a consigliare ai giovani di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Per un premier di un Paese non è il massimo.
La partita europea – che pure è cruciale – resta sullo sfondo. Assicura che, dopo il rigore, cioè dopo l’entrata in vigore dell’ultima intesa sulle regole di finanza pubblica (il cosiddetto fiscal compact), con la Germania si potrà ragionare di Eurobond. Insomma, una visione di medio-lungo termine, a patto che, tanto per citare Keynes, nel lungo termine non saremo tutti morti. Sulla Tobin tax (la tassa sulle transazioni finanziarie) Monti si dice convinto che i tempi siano maturi.

Da l’Unità

******

“Ma sul posto fisso ammette: una battuta infelice”, di Claudio Tito

ROMA – «Forse era una battuta che potevo risparmiarmi». Il giorno dopo l´affondo contro il “posto fisso” e le violente polemiche che ne sono scaturite, Mario Monti prova a dare le sue spiegazioni in una intervista che è stata in larga parte trasmessa anche dal sito di Repubblica. Il presidente del consiglio rettifica, dice che l´accento va messo sulla frase «un posto» ma nello stesso tempo avverte che nell´agenda del suo governo tecnico – «non mi piace questa definizione» – c´è anche «un po´ di pedagogia», la necessità di avviare il Paese verso una «modifica della mentalità». Una correzione di rotta senza la quale «faremmo il male dell´Italia». Così dal suo studio a Palazzo Chigi, rilancia sulla modifica dell´articolo 18: un´opzione che «sarebbe inutile precludersi».
L´ufficio ad angolo si affaccia su Piazza Colonna e Via del Corso e fino a pochi mesi fa era occupato da Silvio Berlusconi. Il Professore ha lasciato quasi tutto come prima. I tendaggi e la tappezzeria gialla, i divani in tinta. Ha fatto togliere due statue romane (tra cui un Bacco) e fatto appendere su una parete la foto del Presidente della Repubblica, che fino a tre mesi fa mancava. La scrivania colma di giornali, dossier e libri. Uno dei quali in bella vista: “Il capitale – Una critica cristiana alle ragioni del mercato”, di Reinhard Marx l´arcivescovo di Monaco. Che il premier incontrerà proprio oggi nella città tedesca.
Seduto su uno di quei divani elenca le priorità che deve affrontare il suo esecutivo e risponde alle domande dei lettori di Repubblica, che gli sottopone Laura Pertici. Avverte che il suo obiettivo è anche quello di far uscire «la politica dall´apnea» e che non vuole ricandidarsi nel 2013. Che sulla Giustizia pensa ad una «riforma strutturale» e non a interventi «spot« come quello sulla responsabilità civile dei magistrati che al Senato «andrà modificata». Sta studiando un sistema fiscale «progressivo» abbandonando i sogni della «flat tax». E che nell´arco dei suoi impegni c´è «presto» anche un intervento sulla Rai. Il tutto tenendo conto di essere sostenuto da un maggioranza larga ma «potenzialmente evanescente».
La sua frase sul posto fisso, intanto, ha provocato un bel po´ di reazioni.
«Mi è dispiaciuto. Alcune volte le parole sono sbagliate. Effettivamente una frase come quella, presa fuori dal contesto può prestarsi a un equivoco. Se per posto fisso si intende un posto che ha una sua stabilità e con delle tutele, ha un valore positivo. Ma io dicevo che i giovani devono abituarsi all´idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Dovranno abituarsi a cambiare spesso luogo, tipo di lavoro e paese. Questo non è da guardare con spavento. Gli italiani hanno troppa diffidenza verso la mobilità e il cambiamento. Dobbiamo tutelare un po´ meno chi è molto tutelato e quasi blindato nella sua cittadella, e tutelare un po´ di più chi si trova in una situazione quasi di schiavitù. Creare lavoro per i giovani è l´obiettivo centrale della politica economica e sociale del governo. Se ci si riesce, non significa che i giovani non possano avere quel lavoro per tutta l´esistenza. Se esistono tutele, il cambiamento è da guardare positivamente».
Molti però si chiedono se anche lei non abbia un figlio che cerca un lavoro e se non debba usare più attenzione al sociale.
«Mio figlio in effetti è disoccupato. Ma il punto è che più che i provvedimenti, va modificata la mentalità».
Forse il dubbio di molti è che lasciato un posto, non se ne trovi un altro.
«Il modello non sono gli Usa ma i paesi del nord, come la Danimarca. Ma non dobbiamo diventare tutti danesi. La tutela è data al lavoratore non al posto di lavoro. Quando non può più lavorare in quell´impresa ha una serie di ammortizzatori sociali e la possibilità di riaddestramento professionale che gli consentono di non rimanere al buio senza spiragli. Non esiste solo il lavoro dipendente, ma anche le professioni. Quando proponiamo le liberalizzazioni, abbiamo spesso reazioni seccate dall´establishment delle professioni e un appoggio dai giovani che vogliono entrare in quelle professioni».
Però le banche chiedono un posto fisso per concedere un mutuo.
«Lo so. Ma occorre creare più occasioni di lavoro per i giovani. Meglio avere più occasioni di lavoro tutelato e meno trincerato, ma averne di più. E i posti sono di più o di meno se il Paese è più o meno competitivo. Bisogna far sì che le aziende si espandano. Perché poi escludere che un giovane voglia fare l´imprenditore? Non saranno tutti Bill Gates, ma far nascere in un garage un´impresa come ha fatto Gates in Italia non è semplice. Per questo abbiamo introdotto la ssrl per agevolare l´imprenditoria dei giovani».
Il nodo però resta sempre lo stesso: cambierete l´articolo 18 dello statuto dei lavoratori?
«In passato era una punta di una spada offensiva o il centro di uno scudo difensivo. Il nostro scopo è passare dai simboli e dai miti alla realtà pratica. Contemperando la garanzia di certi diritti con forme che non scoraggiano le imprese dall´assumere maggiormente. Dobbiamo compararci a livello internazionale. L´Italia, nei decenni passati, si è distinta con la perfezione dei diritti in astratto, ma spesso è stato un Paese più “ideale” che pragmatico. Il tutto si è tradotto in una scarsa garanzia».
Lei teme che l´articolo 18 faccia perdere gli investimenti stranieri?
«L´articolo 18, per come viene applicato, sconsiglia l´investimento di capitali stranieri e italiani. Il governo non ha potere di intervento su come la giustizia è amministrata, ma ci possono essere chiarimenti o modifiche legislative che danno dei nuovi paletti a chi deve amministrare la legge. Non so dire se entro marzo sia essenziale una modifica o no. Si tratta di un mosaico e non sarebbe utile precludersi di usare ogni tessera di quel mosaico».
Le banche intanto hanno preso soldi dalla Bce e per molti cittadini si limitano ad acquistare bot i cui interessi saranno pagati dai cittadini.
«Ne comprano abbastanza poco rispetto ai soldi in prestito dalla Bce. Fanno più prestiti alle imprese e tengono molta liquidità presso la stessa Banca centrale europea. Il sistema bancario esce da un momento di debolezza e è quindi comprensibile che si vogliano tutelare. Il cittadino ha interesse che facciano prestiti a imprese e anche che acquistino titoli di stato. È stato detto da più parti che questo governo non è stato incisivo sulle banche. Non è vero. Il mondo bancario è stato disturbato dalla norma che impedisce ai membri del cda di una banca di sedere in un cda di un´altra banca. Questo vale anche per le assicurazioni. Questo modo di essere nei salotti della finanza ha spesso portato a scarsa concorrenza tra banche. E pure a prestiti alle imprese con tassi più alti. Inoltre il governo precedente si era dichiarato contrario alla Tobin tax, noi abbiamo cambiato posizione e ci siamo dichiarati favorevoli allo studio e alla introduzione della tassa a livello europeo.
Ci si arriverà davvero?
«Questa può essere la volta buona. La dimensione delle transazioni finanziarie è un fattore che colpisce. Il sistema finanziario che in passato ha combinato tanti guai, può contribuire a risanare.
Il termine spread è diventato di uso comune. Quale pensa sia a questo punto la soglia accettabile?
«Lo spread è stato usato in modo esagerato come arma contundente contro Berlusconi e si esagera a usarlo, quando scende, come andamento di buona condotta. Certo e un indicatore. Dal nove novembre – quando sono stato raggiunto proprio a Berlino da una telefonata del capo dello Stato – è sceso di duecento punti. Siamo soddisfatti ma non ci basta. Questa diminuzione non riflette ancora pienamente la messa in sicurezza dei conti italiani, ma riflette il rischio eurozona. Le decisioni prese anche nell´ultimo consiglio europeo, dovrebbero favorire una discesa. I tassi sono troppo altini sui titoli a lungo termine: i mercati sono fiduciosi nel breve periodo, ma temono un fattore di rischio politico con le elezioni. Confido molto che finito questo governo al più tardi nella primavera 2013, saranno cambiate abbastanza cose in Italia. Lo vediamo già quotidianamente nel rapportarsi delle forze politiche. Credo che sarà un sistema politico che quando tornerà al potere, sarà più civile, disteso, più capace di prendere decisioni nell´interesse generale del paese».
L´euro non rischia di rimanere debole fino a quando non ci saranno gli Eurobond?
«L´euro è una creatura adolescente, ma è un giovane robusto che ha dato prova di grande forza. C´è stato un problema nella gestione dell´eurozona. Io sono tra quelli che considerano gli eurobond importanti. I tedeschi pensano che non lo siano, anzi li giudicano nocivi perché deresponsabilizzerebbero i singoli paesi. Io e Merkel siamo d´accordo sul fatto che una volta perfezionato ulteriormente il meccanismo della disciplina di bilancio, si potrà guardare più serenamente da parte tedesca agli eurobond. E anche l´euro si rafforzerà».
I lettori si lamentano per tagli ai fondi per la scuola e la ricerca. E anche della qualità del sistema universitario.
«Questo è un governo che non ha molti soldi. Ma su questo cercheremo di non tagliare. Sbagliano le università quando vedevano solo nella carenza di fondi la ragione di comparazioni sfavorevoli con il resto del mondo. Ci sono altre tare che hanno bloccato la qualità delle università italiane. La quasi totale mancanza di concorrenza, un sistema di governance lasciato nelle mani dei professori. Con il rettore eletto dagli stessi professori, massimo spazio alle tutele delle corporazioni e scarsa voce agli studenti e alle famiglie.
Lei consiglierebbe a un suo amico o a un parente di andare a studiare all´estero
«Anche all´estero. Se hanno sufficienti mezzi, suggerirei di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Consiglio a chi vuole essere un protagonista, di fare la scuola e l´università in Italia e fare periodi di stage alle università estere. E un periodo di specializzazione all´estero. Un percorso a segmenti multipli».
Andrà avanti sul valore legale della laurea?
«Si e lanceremo una consultazione pubblica, tutti potranno dare un parere. Vogliamo contemperare la certificazione di certi studi senza dare troppo peso al voto di laurea perché da per scontato che tutte le facoltà diano la stessa preparazione. È una forma di equivalenza superficiale. È importante che si possano scegliere le università. La concorrenza è uno stimolo – ad esempio – a non assumere come professore un parente del preside».
Alcuni la accusano di non aver dato il segno dell´equità al suo governo.
«Si guardi a quello che abbiamo fatto. Abbiamo reso più difficile fare pagamenti in contanti, abbiamo introdotto la trasparenza sui conti bancari, misure contro la criminalità. La lotta all´evasione è molto rafforzata. Ci dispiace se qualche volte la sensibilità e colpita da certe operazioni incisive ma necessarie. Abbiamo riaperto i conti dello scudo fiscale e messo una tassa sugli scudi nella protesta di buona parte della borghesia.
E l´Ici per la Chiesa?
«È un punto importante. Un tema che stiamo approfondendo e stiamo andando avanti nell´approfondimento».
Ma lei non teme che il suo governo tecnico non abbia un cuore, sia poco attento al sociale?
«Non tocca a me dire se abbiamo un cuore buono. Di certo lo abbiamo. Alcune cose aridamente enunciate dimostrano che c´è attenzione al sociale. Perché l´Italia è ridotta un pò male? Perché per decenni i governi hanno avuto troppo cuore, troppo buonismo sociale. Soprattutto prima che arrivasse l´Europa austera a renderci più attenta. Aveva ogni anno un disavanzo pubblico del 7, 8 o 10 per cento. I governi politici erano un cuore esuberante, dicevano: “ma sì questa istanza sociale è giusta, questa rivendicazione è giusta”. La somma delle spese pubbliche annuale era superiore alle somme delle entrate e anno dopo anno il debito pubblico cresceva. La società si appagava della sua generosità verso i deboli. Il debito pubblico gravava su persone che allora non votavano o non erano ancora nate. Sono i giovani di oggi che non trovano lavoro. Nel cuore buono va tenuto presente che più è buono e più le condizioni future graveranno come i l piombo. Anche per questo i giovani non trovano lavoro oggi. Un governo tecnico – termine che non mi piace anche se non è un governo politico, spero sia un governo – ha il compito di spiegare che ciò che sembra sgradevole ha l´intenzione di riequilibrare le cose e di far ripartire la macchina della produzione italiana con attenzione al sociale. A dicembre abbiamo introdotto di fatto una cosa che non abbiamo chiamato patrimoniale per non urtare la sensibilità nella nostra ampia ma potenzialmente evanescente maggioranza. Una parte non gradiva questa impostazione, ma abbiamo introdotto molte imposte sul patrimonio. È giusto avere attenzione all´equità, ma se ci presentassimo con il cuore saremmo più simpatici e faremmo il male dell´Italia e dei giovani».
A proposito di Maggioranza. Come vanno i rapporti con Berlusconi e con il Pdl?
«Il presidente del Pdl si è dimostrato un elemento di stabilità e responsabilità. Il mio compito è fare uscire la politica dall´apnea. Fare dei semilavorati per loro. E poi saranno i partiti ad andare avanti».
Ieri, però, li ha dovuti chiamare a Palazzo Chigi. Come è andata con i segretari?
«Qualcuno di loro mi chiede di mettere a disposizione un po´ di risorse proprio da investire sul sociale. Di farlo ora dopo i decreti salva-Italia e Cresci-Italia. Noi non abbiamo tanti soldi anche se qualcosa faremo. Ma la nostra idea è che si debbano prendere decisioni per cambiare mentalità. Ad esempio sul fisco».
Cioè?
«Io credo che le risorse possano essere recuperate con un sistema fiscale progressivo, abbandonando il sogno della flat tax».
Anche sulla Giustizia cambierete? La norma sulla responsabilità civile sta creando scompiglio nella sua “evanescente” maggioranza.
«Un giornale straniero ha parlato della prima sconfitta del governo. In effetti è così anche se non era una nostra proposta. La mia posizione è quella del ministro Severino. Quella norma va modificata, non servono provvedimenti spot».
Servono riforme complessive?
«Certe misure vanno messe in una riforma strutturale che noi già stiamo facendo. Basti pensare alle carceri e al diritto penale e civile. Ecco, serve una riforma strutturale. Anche se il nostro raggio d´azione non può riguardare tutto».
In che senso?
«Il nostro programma è chiaro. Le questioni etiche, le riforme istituzionali o la legge elettorale, lo ius soli per gli immigrati vanno lasciate al confronto dei partiti in parlamento».
Al Senato proprio la commissione giustizia sta però bloccando le liberalizzazioni?
«Sono molto preoccupato ma vedrete non andrà in quel mondo. Terremo duro».
La sua maggioranza glielo consentirà?
«Penso di sì ma noi dobbiamo sempre tenere presente che bisogna bilanciare il cambio di passo con la tenuta della coalizione che non è politica».
Non è il momento di intervenire sulla Rai?
«Non è stata una priorità fino ad ora, ma adesso lo diventerà. Sicuramente è un problema che non eluderemo. Dobbiamo tenere presente le competenze del governo e del Parlamento. Ma interverremo. Ho già visto il presidente della Rai Garimberti e lo rivedrò».
Nel 2013 si concluderà il lavoro del suo governo. Se, dopo le elezioni i partiti le chiedessero nuovamente un impegno in politica, lei accetterebbe?
«Vorrebbe dire che non ho fatto un buon lavoro. Io devo preparare il terreno per i politici. Vanno bene anche dei semilavorati. Del resto io credo che le cose stiano già cambiando, tutti si accorgono che le cose sono diverse. E io, anche se sono senatore a vita, non ho mai fatto politica».

da la Repubblica

******

Il sindacato: “Chi scoraggia gli investimenti è Monti che così suggerisce ai capitali di non investire da noi” , di Giovanna Casadio

La Cgil insorge: “Il premier offende i lavoratori” . I Democratici attaccano sull´articolo 18: affermazioni sorprendenti. Di Pietro: una truffa

ROMA – «Chi scoraggia gli investimenti è Monti suggerendo con le sue affermazioni ai capitali di non investire». La Cgil è sul piede di guerra, ma anche Cisl e Uil sono in fibrillazione. Monti ritiene che in Italia siano troppe le tutele sul lavoro e che tutto ciò renda il mercato stagnate, anzi scoraggi gli investimenti? «Al presidente del Consiglio piacciono gli esempi estremi – contrattacca il sindacato di Susanna Camusso – ma parlare di troppe tutele per chi è “blindato nella sua cittadella”, è non solo sbagliato, non vero, ma anche un po´ offensivo verso quei lavoratori». Un atto d´accusa che Fulvio Fammoni, segretario confederale traduce in una domanda diretta: «Monti conosce la condizione reale del lavoro? In tre anni abbiamo perso centinaia di migliaia di posti».
Le parole del premier sono benzina sul fuoco di scioperi già indetti dalla Fiom (Landini: «L´articolo 18 esca dal tavolo della trattativa»), mentre la minoranza interna della Cgil pensa a uno sciopero generale. Però la piattaforma unitaria del sindacato per ora regge, e mercoledì prossimo i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Camusso, Bonanni e Angeletti hanno in programma un incontro, poco prima del tavolo con le imprese. Il tam tam di Fornero e Passera ha preparato il terreno alla svolta sul mercato del lavoro, che Monti ha ormai lanciato. Il clima sociale e politico si surriscalda.
Il Pd frena e avverte che così non va. Bersani ha ribadito che si può essere innovativi sul lavoro senza cancellare l´articolo 18, anche se ritiene sia meglio per il momento lasciare che esca una proposta dal confronto tra governo e parti sociali. Teme l´effetto domino. I partiti insomma facciano un passo indietro. Di Pietro invece accusa: «Le dichiarazioni di Monti sembrano un´intimidazione e una truffa mediatica. Le ragioni della crisi economica e occupazionale in Italia non sono certo causate dall´articolo 18, ma dal fatto che lo Stato ha accumulato quasi duemila miliardi di debito e da una classe politica allo sbando». Casomai le tutele vanno estese – secondo il leader di Idv – non certo tolte. Altolà da Vendola: «Il governo è guidato da un conservatore di destra». E anche il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina taglia corto: «Quelle di Monti sono affermazioni sorprendenti perché infondate». Nelle file democratiche ci sono opinioni divergenti. Cesare Damiano afferma che se il governo non trovasse un accordo con i sindacati, allora si aprirebbe un problema politico in Parlamento, e a Monti: «Sull´articolo 18 sbaglia». Al contrario Piero Ichino è convinto che, se anche non ci fosse condivisione, il governo non debba rinunciare alla riforma del lavoro. I Radicali propongono di procedere pragmaticamente, varando ad esempio una moratoria triennale sull´articolo 18. «Nelle imprese fino a 30 dipendenti», suggeriscono Pannella e De Lucia. Nel centrodestra tutt´altra musica. Brunetta entusiasticamente dichiara: «Togliamo questo tabù che ingessa». Quagliariello rincara: necessarie riforme coraggiose.

da la Repubblica